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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Senza cena

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STORIE D’ATLETICA, … IL PERCHÉ DI “SENZA CENA”

 

berra 


“Ahimé, Mardonio,

contro quali specie di uomini
ci hai mandato a combattere,
uomini che non per denaro diputano le loro gare,
ma per l’onore, …”

Questa frase di Erodoto (tratta dal libro VIII, 26-3, delle Storie) – attribuita a Tritancteme, figlio di Artabano – è l’incipit di “senza cena” ed è riportata in greco sulla copertina, sotto una foto in controluce di Attila Viragh, Roberto Frinolli, Nino D’Alessandria, mentre corrono in riva al mare di Ostia. Quasi un’anticipazione della ben più celebre immagine di “Chariots of fire” di Hugh Hudson del 1982.

Ma più che a Erodoto e ai classici greci del IV e V secolo a.C., “senza cena” era dedicato “al giovane sangue”, quei ragazzi che hanno calcato le piste in terra e pozzolana degli anni Cinquanta/Sessanta.

Cos’è stato – o meglio, cosa ha significato – “senza cena” per l’atletica italiana? Un modesto opuscolo di un’ottantina di pagine pubblicato in poche copie da Alfredo Berra [1928-1998] nell’estate del 1960, alla vigilia dei Giochi di Roma. Contiene, tra l’altro, la storia del suo autore, arrivato a Roma da Torino il 7 maggio 1951, chiamatovi da Bruno Zauli e Pasquale Stassano, dopo un intervento critico al Congresso di Ancona come delegato del Piemonte. Con l’incarico di occuparsi del settore statistico della FIDAL e di collaborare con il “Corriere dello Sport” per l’atletica leggera.

E’ anche la storia della faticosa affermazione di un’idea. E del primo seme dell’atletica leggera nella Scuola, in coincidenza pratica col progetto di Zauli. Erano, quelli, tempi di estrema morigeratezza e di cinghie strette, quando il poco superfluo era già un lusso, nel senso che c’era poco da mangiare e ancor meno avanzava per lo sport e, a maggior ragione, per il più povero degli sport.

Berra, quel tempo, lo avrebbe ricordato in rare occasioni, e di malavoglia, ma solo dopo aver smesso le sembianze da affamato “profugo polacco” per le opulenze professionali della “Gazzetta”, avviate all’indomani degli Europei di Belgrado (1962), chiamato a Milano dal sergente di ferro Gualtieri Zanetti che ne era il direttore (il quale Zanetti, impossibilitato a fare il CT della nazionale di calcio, … straripava nel dirigere la “rosea”, senza dimenticare però d’aver corso i 100 metri vicino agli 11” in torride sfide contro Giuseppe Melillo, che a sua volta – più o meno nello stesso periodo – dirigeva il “Corriere dello Sport”).

Giornali di una volta, compitati da giornalisti di una volta per lettori di una volta, … per l’atletica di una volta.

L’introvabile “senza cena” è conservato da una generazione di pochi sopravvissuti che vi trova, specchiata in poche pagine, la propria giovinezza e, in bell’ordine, i nomi di coloro che l’hanno condivisa. Un lascito comune di appartenenza: aver fatto parte di quel sogno, consente oggi di ritrovarsi, giovani e complici, ad un’età che – per chi ce l’ha fatta – oscilla ormai intorno ai settanta. Con un solo rimpianto (come scrisse Renato Funiciello sul letto di morte): “l’impossibilità di trasmettere ad alcuno la ricchezza di quegli anni di povertà.”

Perché l’essenza di quell’opuscolo resta soprattutto la storia di un sogno: costruito e alimentato giorno per giorno, quando tra i campi d’atletica romani ci si muoveva a piedi e poteva capitare, neanche tanto di rado, di dover andare a letto … senza cena. In tempi di supponente sociologismo un tanto al chilo, di stucchevoli e rugginose ideologie, ricordare quell’epoca ormai sepolta può sommessamente aiutare, per chi vuole, a non affogare nelle banalità e nella volgarità del presente.


Nella foto: un 19.enne Alfredo Berra in veste di speaker sul campo di Alessandria, 20 luglio 1947, per l’incontro internazionale di marcia Italia-Svizzera, quattro uomini gara.

 

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