Ottorino Mancioli

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Ottorino Mancioli, … lo Sport in punta di matita
 
 
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(gfc) Nel fine settimana era in programma a Milano (Arena) un convegno su Ottorino Mancioli coordinato dal giornalista Walter Brambilla. Vi dirò più avanti chi è stato Mancioli. Qui mi preme ricordare d’averlo conosciuto molto bene, e frequentato, ai tempi della trasformazione del bollettino federale “Atletica” in una vera rivista illustrata. Operazione voluta da Pasquale Stassano, carismatico capo-ufficio stampa della FIDAL, stretto collaboratore di Bruno Zauli. Di quella operazione – malgrado fossi digiuno di esperienze giornalistiche – mi incaricò Stassano, sia pure sotto la sua guida. Alla FIDAL ero arrivato nell’inverno del 1964 quando lo stesso Stassano e l’allora presidente federale Giosuè Poli, un compassato gentiluomo d’altri tempi, mi avvicinarono al campo dell’Acqua Acetosa – il mio giardino delle delizie – proponendomi di andare a lavorare da loro. “Abbiamo bisogno di giovani, …”, fu quella la stesura del mio contratto, se vogliamo dirla così. Ebbe così inizio la mia bella avventura nel mondo dello sport.

Questa lunga premessa per dire che a quel convegno m’avrebbe fatto piacere partecipare e, in tal senso, m’ero adoperato con Corrado Montoneri – mio vecchio sodale al CUS e noto grafico e pubblicitario a Milano – che di quel convegno mi aveva parlato sotto l’albero delle ciliegie. La cosa non ha avuto seguito. E qui si potrebbe aprire una parentesi sul come venga vissuta e gestita da noi l’ampia e articolata materia della storia dello sport, che pare da sempre appaltata a un ristretto cerchio di persone, tutte molto meritevoli certamente, ma un po’ refrattarie a nuovi ingressi. Argomento questo che, eventualmente, riprenderemo ma che ora ci porterebbe fuori tema.

Quindi, torno a Ottorino Mancioli [1908-1990], secondo Gianni Brera “il più completo fra gli interpreti dello sport nell’arte”. Non per nulla molti disegni di Mancioli orneranno per anni la “Gazzetta” diretta da Brera. Tra i due sarà anche intenso uno scambio epistolare intimo e senza veli. Chi sia stato Mancioli ce lo facciamo però dire da Giampiero Mughini che ne scrisse a metà degli anni Novanta:

“Di professione Mancioli era medico, ma al dipingere aveva sempre dato molto di sé. Nella matita aveva non l’oro, ma sicuramente l’argento vivo, tale era la felicità del tocco, la rapidità della raffigurazione, la capacità di scegliere l’essenziale nel dare il senso di un volume o di un movimento. […] Fascista Mancioli lo fu con coerenza, e lo rimase fino agli ultimi anni della sua vita, che furono anni di rancpre e di isolamento ma nei quali mai lasciò cadere la sua vorace matita. Da fascista Mancioli andò da volontario in Spagna, e di quell’esperienza sono pieni gli album conservati nella (sua) cantina romana. Più tardi combattè a El Alamein, dove una pallottola Thompson gli paralizzò la mano per tre anni. Negli anni del dopoguerra gli bruciava, ed è difficile non dargli ragione, che l’Italia avesse dimenticato i ragazzi morti a El Alamein e a Bir-el-Gobi, e questo perché avevano indossato la camicia nera. Da El Alamein gli rimase il tema della ‘sete’, che torna in certi suoi schizzi degli anni Cinquanta. Anni nei quali gli fu molto amico, e molto ne utilizzò il talento di illustratore, Gianni Brera. Erano stati alla scuola di paracadutismo assieme. In politica erano su sponde opposte, ma questo non intralcia i rapporti tra uomini leali”.

Posso aggiungere che Mancioli aveva fatto atletica nel GUF romano allenato da Zauli. I due, da medici entrambi, si ritroveranno nella divisione Fiamme Nere durante la guerra di Spagna. Anche per questo, i disegni di Mancioli apparvero per anni sul settimanale diretto da Zauli (saranno suoi anche le copertine dei volumi della collana tecnica edita dalla FIDAL all’inizio degli anni Quaranta). Si potrebbe continuare, ma certo la figura di Mancioli sarà stata sviscerata molto meglio dal convegno milanese. Qui mi preme ricordare solo il mio breve percorso assieme a lui. Dicevo, al momento di dar vita alla rivista, Stassano aveva fatto ricorso a due dei suoi migliori amici, Mancioli e lo stesso Brera.

Con il primo ricordo lunghe e prolisse riunioni serali nella stanza di Stassano, al terzo piano del Palazzo delle Federazioni di viale Tiziano (dove m’era stata ricavata una scrivania); col secondo alcuni incontri conviviali da Gigetto a viale Flaminia, quando Brera passava da Roma per il calcio. Entrambi fecero da padrini al varo dell’impresa (perché tale era, se pensate che questo avveniva quasi mezzo secolo fa, con mezzi tecnici ben lontani dagli attuali). Brera vergando interviste di pregio sui maggiori atleti del momento. Mancioli illustrando l’inserto tecnico (pieghevole) che era al centro del giornale. Io mi occupavo della “cucina” e del resto, compresi estenuanti viaggi in tipografia che allora era in pieno centro, in via del Corso, a due passi da Palazzo Chigi. Una bella scuola.


Il primo numero della nuova rivista vide la luce nel marzo 1968. In copertina Renato Dionisi in omaggio al primo +5 della nostra asta avvenuto in una indoor bolognese. Tra le tante firme di pregio (Quercetani, Brera, Berra, Romeo, Massara, ecc.) c’era anche quella di Eddy Ottoz con un’analisi su altitudine e tartan di Città del Messico (qualche mese più tardi vi vincerà il bronzo olimpico). Ben presidiato era il settore tecnico con contributi di Oberweger, Riccioni, Russo, Arcioni, Carnevali, August Kirsch, un giovane Enrico Arcelli che a volte firmava anche racconti fantastici con uno pseudonimo).

La matita di Mancioli apparve nel numero di maggio, con un disegno (e un testo) che illustrava l’inserto dedicato al disco. Mancioli scriveva: “L’atleta è già opera d’arte, o combinazione occasionale di cromosomi? E l’arte stessa, nella sua pratica, è manifestazione creativa ed anche di sport, se si vuol considerare il quantum d’impegno, di molta parte di sé, anche fisica, per raggiungere risultati di vitalità e dinamica, conditi da una certa armonia e da un pizzico di dosato tecnicismo. Accostamento sport-arte-cultura? Non ci sarebbe da perdere, …”.


Quella collaborazione andò avanti per alcuni mesi, interrotta dalla morte di Poli. Con l’arrivo di Nebiolo, Pasquale Stassano venne progressivamente accantonato. E anche quell’esperienza di grande respiro ebbe termine. La federazione imboccava altre strade, più larghe e spaziose, indirizzate verso l’atletica-spettacolo. Cosa conservo di quella frequentazione con Mancioli? Un ricordo gradevole, una personalità straripante, una signorilità di fondo e soprattutto un grande amore per l’atletica (e lo sport in genere). Mi sono rimasti anche alcuni di quegli schizzi, che – timoroso di chiedere – mi vennero regalati con magnanimità rinascimentale.

Nella foto, “L’allenatore”, tecnica mista su cartone, s.d. (prob. 1940).