Beccali

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Luigi Beccali [1907-1990]

Atletica


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(gfc) Al suo nome resta legata la prima vittoria italiana nel mezzofondo olimpico. Ed è ancora oggi l’unico europeo ad aver vinto i 1500 metri sia ai Giochi Olimpici (Los Angeles 1932) che ai campionati continentali (Torino 1934). Ma soprattutto resta uno dei principali interpreti al mondo del “miglio metrico”, come si diceva, i 1500 metri dei quali detenne per alcuni anni il primato mondiale.

Misurato con l’ottica del suo tempo, Beccali è stato un mezzofondista compiutamente moderno. Probabilmente il primo in assoluto. La sua arma migliore, neppure tanto segreta, fu la capacità di poter reggere il ritmo prima di esprimere finali devastanti. All’epoca – siamo nella prima metà degli anni Trenta – per ragioni fisiologiche (la moderata intensità negli allenamenti) e psicologiche (i radicati timori per la tenuta alla distanza), anche i maggiori corridori erano soliti affrontare i 1500 ad una andatura più o meno cadenzata fino a prodursi negli ultimi 300 nello sprint finale. “Mai bruciarsi prima del tempo”: questo il saggio slogan ereditato dalla tradizione britannica per corridori che si sfidavano nell’incerto confine tra fondo e mezzofondo.

Fedele come tanti a quello schema mentale, Beccali vinse l’Olimpiade di Los Angeles grazie al 41”7 con cui coprì gli ultimi 300 metri, un finale insolito per quei giorni. Per di più, il chè non gusta, non gli faceva difetto il coraggio in gara. Come capitò nel duello con Jack Lovelock ai Mondiali Universitari (Torino 1933), un confronto che ha fatto storia, quando passò a condurre dopo 675 metri nel tentativo di sfiancare sul ritmo l’avversario, temuto proprio per i suoi finali impetuosi. In quell'occasione il neozelandese si accodò sulla scia fino all’ingresso dell’ultimo rettilineo, quando tentò il sorpasso. Ma l’italiano seppe reagire adeguatamente andando a vincere nel tempo di 3’49”2 (eguagliando in tal modo il record mondiale del francese Ladoumègue) contro un 3’49”8 di tutto rispetto ottenuto da Lovelock.

Gran parte di merito per i successi colti di Beccali va attribuita a Dino Nai, un coraggioso e ombroso medico veterinario che iniziò a sperimentare con lui – e su di lui – nuove e insolite teorie di preparazione (si diceva, con qualche fondamento e un po’ di malizia, che fossero maturate ai bordi degli ippodromi americani). Considerato che l’allievo era un atleta dal fisico compatto, ma non certo un superdotato (Beccali era in effetti un normotipo alto 1.69 per 60 chili di peso), Nai provò ad aggiungere una più consistente “tenuta” alle già cospicue doti naturale di velocità che l’allievo era in grado di esprimere con facilità. Fu un successo al quale non risultò estraneo la sintonia assoluta creatasi tra i due.

Il professor Desiderio "Dino" Nai, – ch’era nato in Veneto nel 1884 e che scomparirà in Valle d’Aosta, quasi novantenne, nel 1973 – in gioventù era stato modesto velocista e tra i fondatori della sezione atletica della gloriosa “Pro Patria” (ora scomparsa). Cronometrista e giudice (è stato lui il creatore del Gruppo Giudici Gara della FIDAL), professore universitario, specialista in medicina veterinaria, ma soprattutto Nai era uno scienziato e, come tale, possedeva in buona misura curiosità e voglia di sperimentare (avrebbe fatto anche parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche).

Una borsa di studio l’aveva portato per alcuni mesi alla Columbia University dove aveva avuto modo di osservare da vicino i sistemi d’allenamento degli atleti americani. Metodiche che avrebbe sperimentato e adattate su Beccali a partire dall’inverno 1926-27 dopo che, rientrato a Milano, ne aveva valutato le possibilità e proposto di allenarlo. “Senti, io non sono un allenatore, – aveva detto – la sola cosa che ho fatto è stata di allenare un cavallo. Però, assieme qualcosa di buono si può realizzare”, aveva detto tutto d’un fiato. Il giovanotto aderì di buon grado, in uno di quei non infrequenti casi di comunione di intenti che hanno fatto la fortuna dello sport italiano. E qualcosa di buono, infatti, si realizzò.

I primi anni di atletica di Beccali erano stati senza sprazzi. La prima vittoria – il 19 luglio 1925 – la ottenne in una corsa su strada di 3 chilometri e mezzo conclusa con 50 metri sul secondo. A quei tempi il mezzofondo italiano portava i nomi di Garaventa, Davoli e Ferrario, uomini di grande generosità ma dai modesti riscontri tecnici. Dopo aver assolto il servizio militare, “Ninì” esordì sulla scena internazionale ai Giochi di Amsterdam, senza peraltro andare oltre le batterie dei 1500 metri, distanza nella quale – in quello stesso 1928 – risultò comunque il primo in Italia a bucare il muro dei 4 minuti (3’59”6).

La cura Nai, dopo alcune stagioni interlocutorie, diede i suoi primi frutti proprio nella primavera dell’anno olimpico 1932: già in maggio Beccali presentò le sue credenziali correndo all’Arena i 1500 in 3’52”2, ben 5 secondi sotto il suo precedente personale. Con quel tempo, il migliore al mondo per la stagione, Beccali si presentò a Los Angeles dove, peraltro, non veniva annoverato tra i favoriti. E questa valutazione, secondo Nai, non era da considerarsi negativa. Ma in quel 4 agosto – che il giorno seguente un giornale californiano avrebbe definito ”Italy’s Day” –, Beccali si impose con assoluta autorevolezza stabilendo il nuovo record olimpico (3’51”2).

Il suo anno migliore resta, in ogni caso, il 1933. Pochi giorni dopo aver eguagliato a Torino il “mondiale” dei 1500, nel corso di un acceso confronto con l’Inghilterra sulla familiare pista di 500 metri dell’Arena, lo migliorò ancora fermando i cronometri a 3’49”0 con stravaganti parziali per giro di 1’15”2, 1’21”0 e 1’12”8. Che fosse molto migliorato in velocità, lo si comprese meglio sul finale di stagione quando, in un tentativo di primato allo Stadio Berta di Firenze – stimolato anche dalla fiammante Balilla posta in palio –, con 1’50”3/5 avvicinò il record mondiale degli 800 metri e stabilendo, dopo poche settimane, con 2’10”0 quello delle 1000 yarde (pari a metri 914,40), all’epoca distanza riconosciuta a tutti gli effetti. (Per quel regalo venne posto sotto inchiesta e fu necessaria una lettera del presidente della IAAF, lo svedese Sigfried Edstrom, per scongiurare una squalifica). 

Nel 1934 non ebbe problemi a imporsi sui 1500 nella prima edizione degli Europei disputati proprio a Torino. Dopo aver ridotto notevolmente l’attività nel 1935 per dedicarsi al conseguimento di un diploma da geometra, riprese la preparazione per poter difendere il titolo ai Giochi del 1936. Nel frattempo i suoi rapporti con Nai s’erano allentati anche per le pressioni del californiano Boyd Comstock il quale, da qualche tempo, aveva assunto la responsabilità tecnica della Federazione e che praticava teorie diverse di allenamento. In ogni caso a Berlino, benché avvertisse ormai di trovarsi alla fine della carriera, Beccali concluse al terzo posto correndo in 3’49”2 battuto da Lovelock, che nell’occasione portò a 3’47”8 il limite mondiale, e dal potente americano Cunningham, secondo in 3’48”4.

In qualche misura, la gara di Berlino fu il canto del cigno di Beccali. Nell’inverno seguente si trasferì in America dove fece la conoscenza dei “legni” nelle indoor, riuscendo a correre il miglio in 4’09”0 (un tempo che all’epoca costituiva il record europeo al coperto). Quel contatto con la realtà americana, non solo sportiva, – proprio mentre sull’Europa si addensavano fosche nubi di guerra – lo convinse a stabilirsi per sempre a New York, dove si dedicò con alterne fortune a un impresa di importazione e commercio di vino. Si fece vedere in Italia solo a partire dagli anni Cinquanta per brevi e nostalgiche vacanze: in uno di questi rari ritorni la morte lo colse a Rapallo nell’agosto del 1990. Era nato a Milano, dalle parti di Porta Nuova, il 19 novembre del 1907. A pochi passi dalla palestra della “Pro Patria” con la cui maglia blu ha gareggiato per tutta la vita sportiva.

(revisione: 22 Aprile 2014)