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Zeno Colò [1920-1993]
Sci alpino
 
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(gfc) Stilisticamente non poteva certo dirsi un esempio, ma per la sua epoca fu considerato il migliore discesista al mondo. Un “maledetto toscano” tagliato con l’accetta, di quelli che piacevano a Malaparte: mai una parola di troppo, a volte scontroso, qualche altra rude, ma tranquillo di indole, misurato, modesto. In gara sfoderava nervi di acciaio, un controllo eccezionale del gesto tecnico che accoppiava a un’audacia senza limiti. Col suo nome, rapido come una rasoiata, seppe imporre il segno a tutta l’epoca romantica dello sci, quella che ha preceduto l’esplosione tecnologica dei Sailer, Killy, Thoeni, fino ai formidabili equilibrismi di Alberto Tomba. Ma Colò era aperto anche alle novità: fu tra i primi a sperimentare le solette in materiale sintetico e, sul piano tecnico, ad adottare, oltre che perfezionare, la posizione a uovo.

Il periodo agonistico più proficuo, per lui, fu quello che va dal 1948 al ‘52. Era intorno ai trent’anni, ma c’era stata di mezzo la guerra anche se neanche quella lo aveva fermato del tutto: internato in Svizzera nel 1943, aveva continuato a gareggiare e vincere con l’azzeccato soprannome di “Blitz”. E in Svizzera, a Saint-Moritz, c’era tornato nel 1948 per le prime Olimpiadi del dopoguerra. S’era già fatto un nome nelle prove del celebre Kandahar, ma ai Giochi non fu assistito dalla medesima fortuna: in Discesa libera, tradito dalla foga, spaccò la punta di uno sci infilatosi in una cunetta e fu costretto a fermarsi. Per quel battesimo olimpico poco di più gli riuscì di fare in Slalom speciale, concludendo sì la gara, ma solo al 14° posto.

Il 1950 fu l’anno del riscatto consumato ai Mondiali di Aspen, quando Zeno seppe imporsi come il “numero 1” al mondo con gli sci ai piedi. Sulle nevi del Colorado riuscì ad orchestrare un vero capolavoro, l’acuto più alto della sua carriera: in tre giornate trionfali vinse dapprima lo Slalom gigante, quindi dovette contentarsi della medaglia d’argento nello Slalom, e infine conquistò il secondo titolo in Discesa, la specialità che fu sempre la “sua” gara. Nessun altro sciatore italiano riuscirà più a tanto in occasione di un appuntamento iridato. Due anni più tardi eccolo ad Oslo per le Olimpiadi norvegesi con il ruolo riconosciuto di grande favorito. Neppure la tremenda pista ghiacciata di Norfjell riuscì a fermarlo. Stravinse, domando la pista e dominando gli avversari: nella Libera staccò il secondo, l’austriaco Othmar Schneider, di quasi due secondi diventando il primo azzurro della neve a vincere un titolo olimpico e il primo sciatore al mondo ad affermarsi sia ai Mondiale che ai Giochi.

Ma all’apice della carriera incappò in un penoso provvedimento di squalifica, una vicenda mai chiarita a fondo. L’accusa, al solito, era di professionismo per aver dato, un po’ ingenuamente, il nome a un modello di scarponi della Nordica e a una tuta di nuova concezione della Colmar. Era il 1954 e Colò dovette rinunciare ai Mondiali svedesi di Åre: vi andò solo come allenatore-accompagnatore, accettando di fare da apripista in Discesa libera e ottenendo in quell’occasione il secondo miglior tempo in assoluto della rassegna. La sua storia sulla neve si concluse con quella medaglia mai vinta.  

Figlio di un boscaiolo dell’Abetone, venuto al mondo nel 1920, Colò iniziò a familiarizzare con gli sci ancor prima di andare a scuola. A 16 anni era già nella Nazionale Giovanile e cominciava la sua straordinaria carriera punteggiata da una lunga serie di primati. Il primo porta la data del 9 maggio 1947 quando a Cervinia – sulla base misurata di 100 metri – toccò la velocità di 159,292 km orari, uno straordinario record mondiale stabilito con sci di legno senza lamine e con l’abbigliamento in uso a quel tempo, maglione fatto in casa e pantaloni alla zuava. E privo di casco. Infine, nella sua bacheca, resta l’insuperato record dei 20 titoli italiani, il primo ottenuto nel 1941 e l’ultimo nel 1955. Nel febbraio del 1956 non gli fecero portare la fiaccola olimpica all’interno dello stadio del Ghiaccio di Cortina: dovette accontentarsi di una frazione interna, una umiliazione mai dimenticata.

Molto amareggiato uscì di scena, tornandosene all’Abetone per dedicarsi all’insegnamento, e all’Abetone negli anni Settanta tracciò le tre piste che portano ancora il suo nome. Invecchiò lontano dai riflettori, tra pochi amici e molti estimatori. Nel 1987 subì l’asportazione di un polmone e due anni più tardi il Governo si ricordò della sua indigenza assegnandogli il vitalizio “Bacchelli”. Si è spento nel 1993 per le conseguenze di una operazione non riuscita.

 
• 1950 – I Mondiali di Aspen
Slalom gigante [14-2]. 1. Zeno Colò (Ita) 1’54“4; 2. Fernand Grosjean (Sui) 1’55”2; 3. James Couttet (Fra) 1’55”6.
Slalom [16-2]. 1. Georges Schneider (Sui) 2’06“4; 2. Zeno Colò (Ita) 2’06“7; 3. Stein Eriksen (Nor) 2’08“0.
Discesa libera [18-2]: 1. Zeno Colò 2’34”4; 2. James Couttet (Fra) 2’35”7; 3. Egon Schöpf (Aut) 2’36“3.

(revisione: 8 Giugno 2012)