Girardengo

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Costante Girardengo [1893-1978]


Ciclismo


(gfc)
Il primo Giro d’Italia dopo la Grande Guerra, quello del 1919, fu “nebuloso, misterioso, ancora avvolto nei tetri fumi di ben altre battaglie”. Il seguito della corsa era affidato ai camion dell’Esercito, gli unici ancora in grado di marciare. Alla partenza s’erano allineati 66 corridori, qualcuno era scomparso nella bufera della guerra, come il bersagliere Carlo Oriani che aveva vinto l’edizione del 1913. Ad arrivare dopo 3000 chilometri furono solo in 15: primo il grande Girardengo che aveva vinto sette delle dieci tappe. Aveva già ventisei anni. 

Costante Girardengo, che il colorito gergo dei tifosi ribattezzò subito “Gira”, aveva esordito come gregario al Giro del 1913 con la squadra della “Maino” accettando di correre senza stipendio. I primi soldi li aveva intascati andando a vincere in solitudine la lunghissima Bari-Campobasso. Era quello un momento di svolta generazionale per il ciclismo italiano. Girardengo era tra i più accreditati a raccogliere l’eredità dei vecchi campioni. Non era solo Giovanni Maino a credere in questo giovane novese magro e intraprendente, ma lo dicevano i fatti. “Gira” aveva infatti chiuso quel primo anno da professionista conquistando la maglia di campione nazionale: un titolo che nessuno sarebbe più riuscito a strappargli fino all’avvento di Binda, nel 1926.

Un piemontese dalla faccia pulita e sveglio di spirito, sempre con il sorriso sulle labbra, ma col carattere inciso nel nome di battesimo, Girardengo era nato nel 1893 a Novi Ligure, non molto lontano da dove – ventisei anni più tardi – sarebbe apparso quel Fausto Coppi che da lui avrebbe ereditato il titolo di “Campionissimo” col quale lo applaudirono le folle di quei tempi. Un titolo che gli venne cucito addosso da Emilio Colombo, dopo la sua prima vittoria al Giro ottenuta malgrado un maligno attacco di “spagnola”. Girardengo restò il dominatore del ciclismo italiano per una dozzina d’anni. Aveva cominciato a correre a sedici anni, dopo aver comperato per novanta lire una bicicletta marca Castagneri, passando al professionismo nel 1912. Vinse molto in Italia, non altrettanto all’estero dove spesso dovette contrastare, praticamente da solo, potenti e organizzate coalizioni straniere.

Negli anni del suo maggior splendore non ebbe praticamente rivali sulle strade di casa. Il solo Gaetano Belloni, che per questo se n’ebbe l’appellativo di “eterno secondo”, tentò vanamente di contrastarlo. Girardengo fu un corridore dal registro praticamente completo, eccezionale come velocista, straordinario come passista, formidabile come scalatore, imprendibile come discesista: doti che, tutte assieme, lo collocano tra i più grandi di ogni epoca. Nel corso della carriera, in gran parte rubata dalla guerra, ma egualmente lunga (gareggiò fino ai 43 anni vincendo ancora una tappa Arsoli-Roma nel Giro d’Italia del 1935), ottenne il record di 126 vittorie su strada e l’incredibile numero di 965 affermazioni su pista, tra le quali molte e popolari “Sei Giorni”.

Girardengo ha stabilito due primati difficilmente superabili: ha vinto sei volte la classica di primavera Milano-Sanremo ed è stato nove volte campione d’Italia. Non ha mai invece partecipato al Tour de France nè vinto il Campionato del Mondo. Nell’edizione inaugurale, quella del 1927, si classificò secondo alle spalle di Alfredo Binda. La rivalità tra questi due grandi campioni appassionò per molti anni le folle dei tifosi anticipando quella che, anni dopo, avrebbe diviso gli italiani in “bartaliani” e “coppiani”.

Nel 1929, ai Mondiali di Budapest, i due si controllarono con tanta prudenza da lasciarsi staccare irrimediabilmente fino all’inevitabile ritiro di entrambi. Uno scandalo che la Federazione punì con sei mesi di squalifica. Per il vecchio “Gira” non ci furono più occasioni di riscatto. Chiuse un’impareggiabile carriera con una brutta caduta al Giro del 1936, l’ultimo. Poi rientrò nell’ombra. Si spense nel 1978.

(revisione: 17 marzo 2014)