Orlandi

Print

© www.sportolimpico.it / Biografie


Carlo Orlandi [1910-1983]

Pugilato



(gfc)
Secondo non pochi esperti, i pugili italiani esibitisi ai Giochi di Amsterdam, possono ritenersi nel complesso inferiori solo a quelli visti a Roma ’60. Tre vittorie e un terzo posto: questo il bilancio che rimase scritto in bacheca alla chiusura del torneo olimpico. Il gruppo formato da una ventina di pugili s’era preparato su lago di Segrino, sotto le cure di Carletto Czerni, commissario tecnico, e di Giuseppe Zanati che fungeva da allenatore. L’obiettivo era di vendicare i soprusi subiti quattro anni prima a Parigi. Le speranze erano riposte su un terzetto di indomiti ventenni: il piccolo etrusco Tamagnini e i lombardi Toscani e Orlandi. Non andarono deluse. Sarebbero stati loro a vincere le tre medaglie d’oro. Un terzo posto lo avrebbe conquistato Cavagnoli che durante le selezioni aveva fatto fuori un certo Aldo Spoldi. Ma tra tutti loro, chi aveva maggiormente impressionato era stato Orlandi.

“El negher” di Porta Romana, come lo chiamavano i milanesi per il colorito olivastro della pelle, è stato un autentico fantasista del ring. Da bambino, assalito da un mastino, aveva riportato una menomazione che gli aveva ridotto le capacità uditive e di parola. Forse per reazione aveva cercato il riscatto nel pugilato. Campione italiano dilettanti nel 1928, nella semifinale di Amsterdam, aveva respinto l’assalto del campione uscente –, il roccioso danese Hans Nielsen, che possedeva l’esperienza di un “pro” e picchiava come un massimo –, e tenuto a distanza in finale l’americano Stephen Halaiko. Due anni più tardi, tra i professionisti, era già il “numero 1” dei Leggeri in Italia, scalzando il più pericoloso dei fratelli Venturi, Enrico, il romanino di cui si vantavano combattività e resistenza.

Atticciato e muscolato nel fisico, spalle larghe, sguardo accigliato, i capelli nerissimi secondo la moda divisi da una profonda scriminatura centrale, era un combattente nato, mai domo. Entrato nella colonia di Carlo Bosisio, aveva conquistato il primo titolo il 5 ottobre 1930 superando ai punti in 15 round l’elegante Anacleto Locatelli e l’aveva difeso sia contro Saverio Turiello che contro lo stesso Locatelli, fino a quando la Federazione glielo aveva revocato. Una storia poco chiara, siamo a fine gennaio del 1932, un combattimento in Sud America contro l’irruento Justo Suarez, detto “El Torito”, non portato a termine: un ritiro che non piacque alle autorità sportive del tempo, che lo sanziarono quasi fosse un attentato alle “virtù della stirpre” e che gli costò il ritiro del titolo tricolore e la squalifica di un anno. Un epilogo inatteso perché Orlandi, che cercava notorietà su una piazza importante, com’era allora Buenos Aires, aveva già subito un paio di sconfitte poco chiare.

Una beffa per Carletto quella squalifica, ma anche un motivo e uno stimolo in più di riscatto. Era infatti maturato il tempo per tentare l’avventura europea. “Campione di stile e di generosità”, come lo definivano i giornali, il 17 marzo 1934 aveva raggiunto lo scopo superando ai punti sul ring di casa il francese François Sybille. Difendendo vittoriosamente il titolo qualche tempo più tardi contro Richard Stegemann. A quel punto poteva candidarsi alla sfida mondiale contro Tony Canzoneri, ma per farlo doveva prima battere al Vigorelli il cubano Pedro Montanez, altro pretendente al titolo: un combattimento dal quale uscì sconfitto per KO e che segnò l’inizio della sua discesa.

“Per otto riprese Orlandi signoreggia ed anche l’inizio della nona è a suo favore; ma, erroneamente, convinto d’aver ormai placato la furia del rivale, ecco che si scopre: Montanez allora lo assale con due colpi tremendi e Orlandi è al tappeto, stroncato”. Era il 13 luglio del 1935: poco dopo, nell’ottobre di quell’anno sfortunato, il titolo europeo se lo prese quell’attaccabrighe del ring che era Enrichetto Venturi. Il quale, assieme a Locatelli, Tamagnini, Turiello e Aldo Spoldi, formava la pattuglia dei suoi avversari d’elezione, in anni di grande abbondanza e qualità per la boxe italiana.

Pur tra alti e bassi, titoli italiani persi e riconquistati, Orlandi restò sulla breccia fino al biennio1941-42, quando gli riuscì ancora di strappare a Michele Palermo la corona dei Welters. L’ultimo incontro lo disputò nei cupi giorni del giugno 1944 riportando una vittoria ai punti in sei riprese contro un certo Biagini. Da dilettante aveva sostenuto 120 incontri. Da professionista arrivò a toccare quota 125 con un bilancio di 97 vittorie e 9 verdetti nulli.

Poi il dopoguerra quando le luci si spensero e il ring piombò nel buio dell’incertezza. Caduto in miseria e ricoverato in un ospizio per indigenti, il ragazzo d’oro di Amsterdam passò in solitudine gli ultimi anni della sua vita, con la sola compagnia della malinconia dei suoi ricordi. Di lui e delle sue gesta, secondo un diffusa vulgata, si sarebbe ricordato soltanto l’antico rivale Turiello che di tanto in tanto gli spediva dall’America un po’ di soldi, appena sufficienti per tirare avanti fino ai settant'anni.

(revisione: 30 marzo 2014)