Atletica / Considerazioni in vista degli Assoluti di Rovereto

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Martedì 15 Luglio 2014

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LUCIANO BARRA

Finita la scorpacciata calcistica bisogna rituffarsi nella realtà sportiva italica che entusiasmante proprio non è. A fine anno prometto un’analisi dettagliata dello status di salute in vista di Rio 2016, sperando che chi ha in mano le briglia si renda conto che va cambiato passo. Intanto, oer l'atletica, a fine settimana sono in arrivo i Campionati Italiani, aperitivo prima del piatto forte degli Europei di Zurigo di metà agosto. Resto un forte sostenitore dell’attuale presidente della FIDAL Alfio Giomi per un semplice motivo: lui, rispetto ai suoi predecessori, ha una passione e un fuoco interiore di cui l’atletica Italiana ha assoluto bisogno. Ma questo è sufficiente per far risorgere la nostra atletica? Certo che no. Servono le necessarie risorse e una struttura tecnica adeguata. Dal punto di vista delle risorse la FIDAL paga 8 anni di cura dimagrante da parte di un CONI che non riconosceva l’importanza dell’atletica come “madre culturale” di tutte le discipline sportive. Tutto ciò profittando dell’assenza fisica della FIDAL a livello politico-nazionale.

La situazione per me più grave è quella tecnica. E mi spiego citando una lista di atleti di cui non abbiamo a pieno notizie tramite i loro risultati: Tumi – Manenti – Abate – Dal Molin – Benconsme – Chesani – Tamberi – Stecchi – Schembri – Cattaneo – Romagnolo – Trost. E di altri ancora per cui i risultati non hanno giustificato titoli sui giornali: Galvan – Greco – Donato – Caravelli – Borsi – Dervach – La Mantia. Un discorso a parte, poi, meriterebbero gli ottocentisti Benedetti e Milani, i coatti maratoneti Meucci e Lalli, Andrew Howe, Marco Fassinotti e altri.

Per me, senza entrare nel dettaglio, la lista degli atleti, infortunati o spariti, sta a dimostrare solo una cosa: che il modello tecnico attuato dalla FIDAL non funziona. Si tratta di un modello che non ha alcun riscontro il altre federazioni nel mondo o, comunque, in quelle a noi più simili. Più che un modello mi pare una strategia per lasciare gli atleti alle loro società e, soprattutto, ai loro tecnici personali. Una scelta politica e non tecnica.

Il grande patrimonio delle Società Militari che nel passato sono state la grande forza dell’atletica italiana, e non solo, con strutture tecniche di primordine, non esiste più. Anche loro, per svariati motivi, lasciano gli atleti a casa e si accontentano di averli per quelle poche manifestazioni societarie di loro stretto interesse. Fa piacere leggere che Carlo Vittori, uno che ne “capisce”, abbia di recente scritto di aver visto ai Campionati Studenteschi/Giovanili giovani atleti di grande potenzialità. Ma se non esiste una struttura tecnica federale che li aiuti a maturare, e a crescere, è difficile pensare che questa potenzialità si trasformi in quello che serve. Dispiace vedere altri Paesi (notate l’Olanda, la Polonia) che non hanno le nostre risorse sono in grado di sfornare campioni ogni anno.

Io spero che dopo Zurigo, sperando proprio di non uscirne con le ossa rotte, il mio amico presidente della FIDAL, con l’intero suo Consiglio, si renda conto che il modello va cambiato, che servono Capi Settori e, se necessario, tecnici stranieri. Senza che ciò significhi dover “umiliare” i tecnici sociali o personali. In conclusione, fa sorridere sentire Isinbayeva o Bondarenko parlare bene del loro allenamento a Formia, luogo che gli atleti (e tecnici) italiani non sanno neppure dove si trovi.