Personaggi / Sessantanni fa moriva il conte Alberto Bonacossa

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Giovedì 7 febbraio 2013

Quest’anno il mondo dello sport dovrà ricordare il cinquantenario della morte di Bruno Zauli, il creatore dello sport italiano nel dopoguerra e anima vibrante dei Giochi di Roma ’60. Nato ad Ancona nel 1902, Zauli è scomparso a Grosseto, nel dicembre del 1963, mentre inaugurava l’ennesimo Campo Scuola destinato all’atletica leggera. Ma dovrebbe anche ricordare i 60 della scomparsa di un altro illustre dirigente dello sport italiano: il conte Alberto Bonacossa che si era spento dieci anni prima, il 29 gennaio del 1953. Vorremmo sbagliare, ma pare che nessuno – tra quanti avrebbero dovuto – abbia sottolineato tale coincidenza.
Nobiluomo di stampo antico, Bonacossa ha diritto a figurare tra i maggiori protagonisti dello sport del Novecento del quale è stato entusiasta promotore e, soprattutto, generoso mecenate. Cooptato nel CIO nel maggio 1925, è stato il primo italiano a venire eletto nella Commissione Esecutiva nella quale è rimasto dal 1935 al '52.

Pioniere del ghiaccio (per oltre un decennio è stato campione italiano di artistico in coppia con la moglie Marisa), ne ha presieduto la federazione dal 1924 al ’26 in uno con quella di motociclismo, alla cui guida rimase dal 1914 al ‘31. Negli anni a cavallo della Grande Guerra ha promosso la diffusione del tennis partecipando in questa disciplina anche ai Giochi del 1920. Non per nulla si deve a lui il primo manuale italiano sul gioco redatto a quattro mani con il conte Giberto Porro Lambertenghi, suo fraterno amico e sodale che doveva perire nella Grande Guerra, uscito da Hoepli nel 1914. Tra l’altro nel 1923 fece costruire a Milano, e a proprie spese, la grandiosa sede del Tennis Club, inaugurata il 12 aprile, e la prima pista coperta per il ghiaccio, aperta il 28 dicembre. Nell’estate del 1932, mentre erano in corso le Olimpiadi di Los Angeles, aveva acquisito “La Gazzetta dello Sport”, la cui proprietà fa ancora oggi riferimento alla famiglia. Quale autorevole membro del Comitato Internazionale Olimpico, dopo il secondo conflitto mondiale, facendo leva sulla stima di cui godeva, ha promosso con successo il ritorno dell'Italia nell'arengo olimpico, presiedendo nel contempo le federazioni di ghiaccio e motociclismo.

Fattosi da parte durante il Fascismo, nell'estate 1943, su nomina del governo Badoglio, fu per breve tempo Commissario del CONI, avviando una ricostruzione presto interrotta dagli eventi bellici. Un lavoro che tentò di completare nei deserti uffici sotterranei dello Stadio del PNF (nella stessa area dove oggi sorge il Flaminio), ma che venne bruscamente interrotto dal ritorno a Roma delle armate tedesche. E, come ha scritto il figlio Cesare (“Vita al sole di Alberto Bonacossa”), lasciò tutto a metà per ritirarsi “a Brunate in un doloroso raccoglimento, coltivando soltanto la sua passione per i libri antichi e ordinando la sua raccolta di francobolli sportivi. Uscì da tale isolamento soltanto quando, cessate le ostilità, occorreva riallacciare, facendo fulcro sui personali rapporti di amicizia e di simpatia, i contatti dell’Italia nel mondo internazionale dello sport”. Contatti che, in sintonia con l’opera di Bruno Zauli, di lì a poco – nel 1955 – avrebbero portato all’assegnazione a Roma dei Giochi Olimpici del 1960. Un coronamento di sforzi e di dedizione che il conte Alberto Bonacossa non vide. Era infatti scomparso da due anni, il 30 gennaio 1953. Nel rispetto di sue disposizioni, è stato sepolto nella tomba di famiglia di Brunate. Era nato il 24 agosto 1883.

Alla sua morte così ne ricordò la figura e le opere “Lo Sport Illustrato”, il settimanale della “Gazzetta”, all’epoca diretto da Carlo Villa. “È stata ricordata tutta la sua vita, sono state rievocate le sue prestazioni atletiche, eminenti in molte discipline sportive, le più elette, consone al suo spirito ed al suo censo, da pioniere talvolta, ma non chiuse nel riserbo di un nobile nome e di una grande fortuna. Anzi, l’uno e l’altra al servizio di virili ideali, furono elementi cooperanti all’espressione di una limpida e serena personalità, squisitamente signorile e socialmente umana, facile per connaturale sensibilità spirituale, all’incontro coi grandi, in Italia e fuori, ed alla confidenza con chiunque lo avvicinasse sui campi sportivi, nei circoli e nel mondo giornalistico dello sport, che lo ricorda anche editore e collaboratore del primo quotidiano sportivo italiano, di molteplici periodici e pubblicazioni tecniche. […] Ricordava e ricordava. Momenti di vita sportiva, incontri ed episodi ch’egli avrebbe un giorno riordinato e raccolti per un suo libro sportivo. […] Sorridente rievocò contrasti che l’avevano appena sfiorato: perché quando uno s’irrita e vuol trascinarvi nell’offesa, bisogna dar tempo alle passioni di placarsi e dalle passioni non bisogna lasciarsi agganciare. Di questa evangelica saggezza ci doveva lasciar testamento”.

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