I sentieri di Cimbricus / E noi stronzi rimanemmo a guardare

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Mercoledì 24 Novembre 2021
 
maxxi 
 
Pare che non ci resti altro da fare in questo piccolo mondo dove prospera, anzi impera, il canone conformista che oggi è il primo e unico abito che è necessario, o meglio è obbligatorio, indossare per sperare in un minimo di considerazione.

Giorgio Cimbrico

Si può cominciare con il titolo del film, in uscita, del geniale Pif, Pierfrancesco Diliberto, nato come me sotto il segno dei Gemelli – “E noi stronzi rimanemmo a guardare” – e si può continuare con un’altra etichetta, quella appiccicata dalla FIDAL sulla festa che, il 7 dicembre, arriverà a quattro mesi dalle vittorie di Tokyo: Awards.

Ho provato ad usare la parola come acronimo e ci ho perso un pezzo di notte insonne per costruire qualcosa: “As Winner Athletics Reach Different Stages” e “After Wait Athletics Roar Dominant Selfness”. L’una e l’altra delle brevi composizioni, sintetiche come un haiku vergato su carta di riso, possono dar l’idea di una scalata, di un orgoglio ritrovato dopo lunga attesa, di un ruggito come quello regalato dal vecchio leone della Metro Goldwyn Mayer.

Festa dell’Atletica era vecchio, banale, impolverato. Awards dà l’idea di red carpet che, ci scommetto, verranno stesi all’ingresso del MAXXI (museo di arte contemporanea, non lontano dall’Auditorium e dal Flaminio abbandonato), presieduto da Giovanna Melandri. Già, anche i musei hanno cambiato nome, sono diventati sigle (MANN è il museo archeologico di Napoli, tanto per fare un esempio) e infatti la Tate Modern di Londra si chiama Tate Modern e la National Gallery National Gallery.

Con tutti questi atleti performanti e confidenti (sono cresciuto in un Paese scomparso in cui i confidenti erano quelli che rivelavano fatti o notizie interessanti per le indagini alla polizia o ai magistrati), con tutti questi top runners, top walkers, considerati i tronfi di Sapporo, e con un top jumper che ha commosso il mondo ma non ha smosso l’asetticità della ex IAAF, era la normalità che dovevamo attenderci: il canone conformista che oggi è il primo e unico abito che è necessario, obbligatorio indossare.

Detto per inciso, è sbagliato. Un award è un premio che viene assegnato dopo una consultazione che prevede una mobilitazione più o meno grande. L’Oscar è un (Academy) award, il Bbc Personality o the Year è un award, quelli che la ex Iaaf assegnerà il 1° dicembre sono award. Ho persino votato io, che non sono nessuno.

Questo è un riconoscimento ai campioni di Tokyo, ai loro allenatori, a tutti quelli che hanno reso più che brillante, indimenticabile, un anno in cui hanno trovato accesso riscatto, valore, lavoro, buona sorte. Ed è per questa somma di ragioni, di cause, di congiunzioni favorevoli che continuo a pensare che un semplice brindisi ferragostano, nel fresco palpitare di quello che era appena stato, sarebbe stato meglio di un’attesa più lunga di quella di Madame Butterfly. Meglio una piccola, artigianale festa che un MAXXI Award.

                               ooOoo

Pensierino della sera – E’ un mondo che non prevede oblio o prescrizioni o perdono. Poco fa leggevo che Michael Vaughan, ex-capitano dell’Inghilterra di cricket, è stato sollevato dalla BBC dall’incarico di commentatore delle Ashes, la serie di test tra Inghilterra e Australia, una delle chanson de geste nate in epoca vittoriana. Pare che nel 2009 abbia fatto un commento a sfondo razzista. Comincio a esser terrorizzato: se dal passato compare chi sostiene che le abbia sfiorato una natica durante una festicciola con grammofono e 45 giri, sono fregato.