Ranking 2021 / Mondo: il giovanotto che apri' le porte del cielo

Print

Lunedì 1° Novembre 2021


warholm-tokyo 


Ecco i nostri “Magnifici Sette”, valutazioni e analisi non statistiche che mettono davanti a tutti il ragazzo che spiana gli ostacoli, primo tra gli scandinavi, nativi e d’adozione. Non se n'abbiano a male quelli di WA, ma intanto un certo Jacobs ...

Giorgio Cimbrico

1. – Karsten WARHOLM (NOR)
E’ nella storia, come Roger Bannister che mise un 3 davanti al Miglio, come Forrest Towns che introdusse il 13 nei 110hs, come Sergei Bubka, 6 invece che 5. Il norvegese che urla, che si prende a schiaffoni, che confessa di ricercare la notte prima degli esami la pace dell’infanzia trascorsa in un borgo di bellezza esemplare, ha sorvolato il giardino appena irrigato dei 46” per andare a tracciarne un altro, la dimensione dei 45” che, banale dirlo, rappresenta ancora un non agevole obiettivo per chi corre la distanza senza ostacoli.

Oggi è arduo dire se saprà ripetersi o se quel tempo, 45”94, è frutto, con i tempi dei piazzati, specie quello di Rai Benjamin, di quella che Beaumarchais battezzò la “folle giornata”. Nell’anno perfetto il piccolo rammarico di non aver tolto a Thomas Schönlebe il record europeo dei piani che tira avanti dai Mondiaii di Roma 1987. Era ancora prosciugato dalla gioia, dallo stupore ed è giustificato.

2. – Marcell JACOBS (ITA)
Contrariamente a WA, un tempo IAAF, inseriamo il gardesano di El Paso spedendolo in un zona molto alta, quella che merita. Volatine e volatone da febbraio ad agosto: un titolo europeo, una miglior prestazione mondiale di stagione, una frazione di staffetta alla Lewis, alla Bolt, il primo affacciarsi nella dimensione del sub 10”00 a metà maggio a Savona, il faccia a faccia con i grandi a Montecarlo e a Stoccolma (in Diamond League si è visto, dopotutto …), i record europei e l’oro di Tokyo (primo azzurro in una finale olimpica dei 100 per una percentuale vincente hors categorie) raddoppiato in staffetta, unico maschio a decollare dal Giappone con quel raccolto. Perché l’hanno escluso? Perché non ha gareggiato nel post Tokyo? Per i sospetti sollevati e puntualmente ripresi? Per una bacchettata sulle dita inferta da Coe a Mei dopo certe prese di posizione favorevoli a Schwazer? Per l’insipienza di statistici che marciano con il data base e non, come quelli di una volta, con la conoscenza e con il cuore? Aggirato il labirinto delle domande, ecco sistemato al secondo posto l’uomo illustrato che sembra recapitato da un racconto di Ray Bradbury. Dopo quel che ha combinato sa bene che il futuro sarà una sfida senza fine.

3. – Armand DUPLANTIS (SWE)
Amato da tutti, specie dagli avversari che vedono in lui un messaggero divino, un eletto, un atteso, un nuovo demiurgo. Con lui la confraternita de’ saltimbanchi, degli adepti del volo senza uso di ali e di motori, è diventata ancora più unita, più affettuosa, più generosa nei rapporti, nei gesti. Mondo, sostenuto dalla Puma (vedono sempre lungo e chiaro: Bikila, Pelé, Bolt) a nemmeno 22 anni (li compirà tra poco, il 10 novembre) appartiene già al non esteso numero di campioni in grado di avvincere uno stadio, di incollare i glutei. I numeri dicono che in queste quattro stagioni di ascesa prima, di dominio poi, ha chiuso 25 gare saltando 6 metri o più. Bubka è ancora lontano ma lo svedese ha molto tempo a disposizione. Un grazie a mamma Helena che l’ha convinto a essere europeo, tesserato per l’If Uppsala, la Oxford di Svezia.

4. – Eliud KIPCHOGE (KEN)
Il momento più limpido è venuto quando ha convocato i due gregari per confidar loro che sarebbe andato via, verso il secondo oro di fila, come Bikila e Cierpinski. Da quel momento la solita lezione di arte della corsa, sostenuta da una calligrafia che non è frequente in chi sfida il mistero delle distanze. E’ un uomo intelligente, riflessivo, già fonte di ispirazione per chi s affaccia sui palcoscenici sui quali lui ha lasciato tracce importanti, più che sufficienti perché gli venga attribuita la corona che spetta al più grande maratoneta della storia, all’uomo che, pur tra qualche espressione tra il dubbioso e il sufficiente, è stato capace di correre due ore a 21,1 di media. Un esploratore.    

5. – Ryan CROUSER (USA)
Un bombardamento durato tutto l’anno, sino al record mondiale di Eugene e al quasi record di Tokyo per mettere assieme una collezione senza pari: almeno 120 botte oltre i 22 metri, 22.40 se è in giornata storta. A nemmeno 29 anni due volte campione olimpico, terzo americano a farcela, dopo il Ralph Rose archeologico e Parry O’Brien dominatore degli anni Cinquanta, ed erede del gigante gentile Thomas Majewski, il polacco con la fascia a trattenere la lunga chioma a segno a Pechino e a Londra. Anche Ryan è un gigante, anche Ryan è gentile, simpatico, allegro, come può esserlo chi, prima di spostarsi in Texas, è cresciuto nel verde Oregon, in una famiglia in cui ogni occasione era buona per lanciare oggetti di ogni sorta, di ogni peso.

6. – Jakob INGEBRIGTSEN (NOR)
Due titoli europei da minorenne, il titolo olimpico di 1500, uno dei più nobili, a meno di 21 anni. Il giovanotto in grado di mettere la discussione la superiorità degli africani viene da zero metri sul livello del mare – Sandnes, Norvegia sudoccidentale – e da una famiglia che corre e da un padre, Gjert, che allena. Da ragazzo amava giocare su più tavoli ma per Tokyo ha preferito un solo obiettivo. Centrato piegando con quella sua andatura apparentemente uniforme – e così dannatamente crudele – un maestro dei ritmi forti impressi in prima persona, Timothy Cheruiyot. L’abbraccio dopo il traguardo è stato magnifico e commovente. Primatista europeo dei 1500 e dei 5000, a Parigi 2024 punterà all’accoppiata che proprio a Parigi 1924 e, ottant’anni dopo ad Atene, divenne preda di Paavo Nurmi e di Hicham el Guerrouj.

7. – Daniel STAHL (SWE)
Quarto scandinavo tra i “Magnifici Sette”, segno di un violento risveglio di un’area generosa. Come Crouser, il prodotto di genitori lanciatori, sorella compresa, e un prodotto di gran volume: l’annuario mondiale gli assegna 160 chili distribuiti su 2,04 di statura. Un gigante da saga nordica che anno dopo anno ha saputo interpretare le due anime del discobolo: bravo ad approfittare dei piccoli meeting locali, paesani, per trovare condizioni ideali e spingersi molto lontano e, dopo qualche bruciante sconfitta (come a Londra 2017), consolidare la tenuta agonistica. In quattro delle ultime cinque stagioni il 29enne grosso come un frigorifero e con una parte di radici nella finnica Turku, è stato capace di far volare il disco oltre i 71 metri e nello stesso periodo ha reso più saldo la media del rendimento. In breve, tra i 68 e i 69 nella gara che conta, lui arriva sempre.