Italian Graffiti / Quando il gioco si fa rischioso

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Martedì 29 Dicembre 2020


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Le elezioni federali svolte finora hanno certificato il trionfo dell’usato sicuro: tutti, o quasi, i presidenti in carica sono stati confermati. E all’unanimità. Ma siamo sicuri che sia proprio un male?

Gianfranco Colasante

Pare che a rimanerci male siano stati solo i bulgari che a quel primato tenevano sin da quando comandava lo stalinista Žyvkov. Intendo, il favore del popolo minuto. Poveri bulgari: stracciati, a leggere i risultati delle tornate elettorali nelle federazioni, almeno in quelle che le hanno già archiviate (avessi visto mai che Spadafora …). Più che elezioni, candidature uniche e veri e propri plebisciti. Soglia media di consenso largamente sopra il 90% e riconferme scontate per tutti, anche per la quinta e la sesta volta. Anche se i barbari sono alle porte, il pane manca e tocca vivere asserragliati in attesa del liberi-tutti del governo che verrà? Proprio per questo, parrebbe.

Per cominciare e spiegarmi meglio provo a sottoporvi uno specchietto esplicativo, una provvisoria Top Ten del consenso (in attesa dei prossimi immancabili inserimenti), mettendo in fila le percentuali degli eletti/confermati per la futura stagione 2021-24. Ecco quanto ne esce:

• Luciano Serafica (Sci nautico) 99,5%
• Maurizio Casasco (Medici) 96,0%
• Sabatino Aracu (Rotelle) 95,9%
• Marco Di Paola (Equitazione) 95,7%
• Vincenzo Iaconianni (Motonautica) 95,6%
• Luciano Rossi (Tiro a volo) 95,5%
• Angelo Sticchi Damiani (Automobilismo) 94,0%
• Giovanni Copioli (Motociclismo) 93,5%
• Antonio Urso (Pesistica) 92,1%
• Giunio De Sanctis (Bocce) 90,6%
• Gherardo Tecchi (Ginnastica) 90,6%

Pur con tutto il suo passato e i sapienti cambi di rotta, il nobile Giovanni Petrucci da Valmontone (col 90%) è rimasto fuori, sia pure per pochi decimi. Si rifarà alla prossima, potete starne certi. Se fossimo inglesi, si potrebbe fare dell’ironia, se vogliamo, un po’ amara. Ma visto che siamo solo italiani, qualche piccola riflessione a bassa voce ce la possiamo pure concedere.

Partiamo da due monumenti all’inamovibilità, due ex-deputati (di centro-destra) per di più coetanei. L’abruzzese Sabatino Aracu: partito della rivistina del pattinaggio, ha scalato tutte le tappe fino al soglio federale delle rotelle conquistato il 30 gennaio 1993 … Con un esordio choc in anni nei quali al Foro Italico aleggiava ancora l’ombra di Onesti: da vero innovatore fu il primo a chiedere in C.N. uno stipendio per i presidenti federali suscitando scandalo e riprovazione. Stipendio che oggi è realtà consolidata. O come l’umbro Luciano Rossi che presidente del tiro a volo lo è diventato qualche mese più tardi, il 10 settembre 1993 e senza mai più alzarsi dalla poltrona. A quel tempo Francesco Cossiga aveva appena passato le chiavi del Quirinale a Luigi Scalfaro ed eravamo a poco prima che nascesse l’Unione Europea. Archeologia, certo, ma è proprio tutta colpa loro?

Per un mondo che al più si ferma ai titoli della Gazzetta o del Corriere dello Sport, parlare di libri potrebbe apparire un azzardo. Eppure già qualche anno fa (Feltrinelli, 2014) un libro di Sergio Rizzo – titolo: “Da qui all’eternità / L’Italia dei privilegi a vita” – aveva esaminato il fenomeno delle “resilienze” perverse nelle cariche pubbliche, comprese quelle sportive. Si domandava Rizzo: “Da dove è partita la deriva che ha fatto diventare l’Italia il paese, forse unico al mondo, nel quale è norma indiscutibile il privilegio a vita per politici, sindacalisti, altri magistrati di ogni ordine, funzionari di stato, manager pubblici e non?”.

In un paio di capitoli dedicati allo sport, Rizzo segnalava le commisture CONI/Federazioni, navigando a fatica tra norme e pandette scritte ad hoc, riportava diversi casi di scuola. Come quello del commissario/presidente dell’Aero Club, l’ex-senatore Giuseppe Leoni, fondatore della Lega Nord assieme a Bossi, che “si è levato in volo il 22 ottobre 2002 e non è più atterrato. Se una turbolenza sta per spingerlo verso il suolo, riprende sempre quota con ardimento”.

Troppo divertente, racconta sempre Rizzo, la decisione di dedicare gli aerei delle scuole volo ai colleghi di partito: “A cominciare da Umberto Bossi. Ecco allora l’apparecchio con la sigla I-Umbe. Poi l’I-Cald, in omaggio al ministro della Semplificazione Roberto Calderoli”. Ma non mancano né l’I-Rmar per Roberto Maroni nè l’I-Gtre per l’immaginifico Giulio Tremonti, creatore di CONI-Servizi, oggi Sport&Salute (dopo un breve transito da Sport&Benessere: francamente, sarebbe stato troppo). La storia non dice se oggi c’è anche un I-Msal per Salvini o un I-Ggio per l’ideatore della ultima “legge di riforma” del CONI, Giorgetti. Possibile, all’insegna del matrimonio sempre caldo tra politica e sport.

Un mondo a parte, certo. Ma perché non c’è (quasi) mai un normale ricambio nelle cariche di vertice delle federazioni? Una domanda che ne suggerisce un’altra: qual’è oggi lo status delle federazioni? Se sono ancora soggetti privati – quali erano nate tra fine Ottocento e inizio Novecento e come ha ribadito una sentenza europea – e vivono di risorse proprie, ogni decisione al loro interno parrebbe insindacabile. Se di contro la mano pubblica le sostiene, fornendo contributi, sedi e personale, tutto andrebbe rimesso in discussione. Il numero dei “mandati” ritorna oggetto di contrattazione mentre va rivisto lo stesso rapporto tra federazioni e CONI. Un legame sfilacciato da tempo.

Dopo vent’anni e più di “riforme” – l’una più bislacca dell’altra e tutte all’insegna del qualunquismo (in successione: Melandri, Pescante, Tremonti, Giorgetti-Valente) – che hanno colpito il vetusto CONI sotto la linea di galleggiamento, sarebbe giusto riconsiderare l’intera materia. Ma con buon senso e col realismo dettato dai tempi magri che viviamo e che vivremo per anni. Tanto per iniziare, ha ancora senso considerare alla pari tutte le federazioni o ritenerle bizantinamente “soggetti privati di natura pubblica”, integranti di un Ente di Stato “eletto” (il solo caso in Italia) sul quale incombono con protervia una SpA del ministero delle finanze e un Dipartimento Sport della presidenza del Consiglio dei ministri? Per di più con i loro capi l’uno (Cozzoli) contro l’altro (Spadafora) armati? Un pastrocchio che di fatto sta portando il CONI fuori dagli obblighi dettati dalla Carta Olimpica, come verrà certificato il prossimo 27 gennaio. E di per sé questo non sarebbe un male, giacché almeno costringerebbe a rimescolare le carte. Ma con qualche conseguenza piuttosto penosa, …

E qui torniamo al punto. Candidarsi a capo di un organismo federale in questo scenario e sotto questi condizionamenti pare un azzardo fin troppo rischioso. Ecco perché nessuno si fa avanti e si rivota con un certo sollievo chi già c'è e intende restare. Quindi, se il prossimo governo (che a quanto si dice non sarebbe poi tanto lontano) non rimetterà le cose a posto, restituendo allo sport (quello vero) la sua piena autonomia, sarà giocoforza tenersi quelli che ci sono. Tutto sommato, pare il male minore.