Fatti&Misfatti / Per amore o per forza

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Sabato 12 Dicembre 2020

 

rossi-paolo 


“Maledicendo chi in Lega non ha evitato di perdere la Capitale, la figuraccia verso chi ci ride dietro se nella baraonda esce un comunicato federale sulla gloriosa nazionale di eBasket (cosa?)”.

Oscar Eleni

In coda, a distanza, per chiedere a Musk, numero uno della multimiliardaria Tesla, la casa su Marte offerta ai visionari senza patria. Ci servirebbe un rifugio in giornate sempre uguali dove vorresti scrivere per amore e devi invece sforzarti per capire il “tuo basket” che, come ci diceva il direttore Zanetti in Gazzetta, sarebbe stato la rovina per l’anima. Avremmo avuto tante cose da scrivere su Paolo Rossi perché il mondiale spagnolo fu svolta per la vita di molti, persino i giornalisti. Eravamo pronti a raccontare di essere stati gli unici al Bernabeu, in Italia, nel mondo, a non vedere il gol di Pablito.

Stavamo sfuggendo alla polizia che, scambiandoci per terroristi, pensava che volessimo attentare al palco dove sedevano il re Juan Carlos e dove Sandro Pertini era in estasi. Per convincerli ci sedemmo su una poltrona sotto le tribune. Alla fine capirono, ma furono comunque manganellate per rubare due battute al Presidente e poi per sentirsi dire dal capo redattore che la frase “il più bel giorno della mia vita” era di un uomo che si accontentava di poco. Va beh. Mondiale per capire anche il qui lo dico e qui le nego di eminenti critici sportivi, scrittori, gente brava davvero.

Dopo l’incanto di Bilbao e Valladolid, rissa con un giornalista spagnolo, conoscenza e nascita di una amicizia, rubata troppo presto, con Beppe Viola, grazie alla scoperta di Platini, una partita di petanque vinta contro due colleghi francesi, le confessioni notturne dopo essersi raccontati, confessati, denudati dentro. Insomma Barcellona dopo averne sentite di ogni tipo per il passaggio del turno sul Camerun. Sembrava la vigilia di Caporetto la partita al Sarria con il Brasile, anche se avevamo battuto l’Argentina: la vittima era l’organizzatore dei viaggi per giornalisti. Tutti volevano un posto sul volo di rientro appena ci avessero eliminati Zico e Falcao. Sapete cosa è successo dopo.

Insomma avere tanto da dire, con l’amarezza di scoprire che la cosa interessava soltanto l’ego personale, perché chi doveva non aveva bisogno della vecchia cariatide. Forse meglio. L’ultima telefonata era per un pezzo sul basket caotico e il fallimento Roma. In cavalleria, nel cestino con lo sputo.

Oggi poi bisognerebbe rivedere la sconfitta di Milano a Barcellona. Da incubo la partenza, nel delirio un finale con parziale di 27 a 4. Maledicendo chi in Lega non aveva trovato i soldi per evitare di perdere la Capitale, la figuraccia verso già chi ci ride dietro se poi nella baraonda esce un comunicato federale sulla gloriosa nazionale di eBasket (cosa?), la modernità prima della danza da strada ai Giochi di Parigi. Con chi l’aveva fondata, questa Lega, non sarebbe mai accaduto e la cosa tragica è sentir dire “speriamo sia l’unica e non la prima”.

Capite come stanno le cose, ma almeno in coppa qualcosa si muoveva, la rimonta degli ammutinati Virtus a Montecarlo, Milano che sbriciolava il Khimki, materasso di Eurolega come direbbe James dopo i 36 punti segnati nel derby sulla Moscova. Ci affidavamo ancora a Messina, all’Armani, per dimenticare le storie perdute, dopo averne maledetto quell’inizio da bradicestisti. Una rimonta lenta, una difesa ragnatela dove il Barca sembrava brutto proprio come l’avevano visto col Villeurbanne, nel recupero contro l’Olympyakos. Sono cotti, mariscos in salsa, hanno gridato i tifosi Olimpia staccandosi, per un attimo, dai cammei sui personaggi della società iniziati da genio Peterson dopo la bellissima saga virtussina.

Pensavamo che Jasikevicius pagasse la fronda di un Barcellona con troppe anime tecniche. Viva Messina. Non credevamo fosse vera la storia della miccia corta tipo “Abbassa la testa, coglione”. Certo mancava Rodriguez, difficile capire a che punto è il recupero di Datome utilizzato qualche minuto, ma l’armada di Armani aveva messo la testa avanti, di 7 punti. Colpaccio. Pensare prima di parlare. Il buio. La difesa blaugrana come rete elettrica, tutto vanificato, i quasi 20 palloni fatti perdere alla coorte Calathes. Sconfitta e siamo davvero stupiti per la gestione finale anche se Messina, forse pensando al giorno della verità italiana contro Brindisi, ha detto di aver visto cose buone. Non certo nelle parti moli della squadra, quel centro senza gravità permanente.

A risentirsi, in tutti i sensi, dopo il turno di campionato avendo scoperto che la RAI, con la falsa scusa dell’offesa Belinelli, dopo due sagge programmazioni alle 16, su Rai sport, gente, non sui canali nazionali, è tornata alle 20,45 eccovi le pagelle sul doppio salto fra Mosca e Barcellona:

• DELANEY 6,5 – Meglio contro gli ex che in Russia.
• PUNTER 5,5 – Rivedere tutto.
• MICOV 6 – Oltre la stima: in Catalogna quasi vero.
• LEDAY 5 – Molto fumo, arrosto scarso.
• TARCZEWSKI 5,5 – Impegno massimo, qualche luce, molto buio. Peccato, perché ci è simpatico.
• SHILELDS 7 – Imperiale a Mosca, bravino in casa del Barca.
• ROLL 5,5 – Gregariato difficile se intorno steccano.
• HINES 6,5 – Tutto quello che ha lo regala alla squadra, per sé non tiene niente. Non è poco.
• BROOKS 6 – Timidi segni di risveglio, magari doveva stare in campo di più.
• MORASCHINI 5,5 – Dura vita per trovarsi il nuovo ruolo, studia, fatica, impara ma soffre.
• DATOME s.v. – Recupero lento lento.
• MESSINA 5,5 – In Russia tutto facile, anche quando segnava Jerebko, nella spiaggia catalana gli è sfuggito l’attimo fuggente. O capitano, mio capitano.