Duribanchi / Lo strumento piu' audace della politica

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Mercoledì 25 Novembre 2020

 

berlusca 


“Il fascino del passato è presente in tutti noi, nati dopo la Liberazione. Che siamo però troppo vecchi per non sapere che il compromesso ti fa campare, quanto lo “scontro” ti fa andare a sbattere. Ma mi chiedo: con questo governo?”

Andrea Bosco

Paolo Guzzanti è un autentico liberale, senza peli sulla lingua. Un maestro di giornalismo. Ma a volte capita di essere in disaccordo con i “maestri”. E non per partito preso o per faziosità ideologica. Credevo: ora non credo più. Ho inseguito tanti sogni nella mia vita, entrata ormai in un irreversibile autunno. Alcuni li ho realizzati. Altri li ho inutilmente inseguiti. Di altri mi sono disamorato. La prima mazzata l'ho presa frequentando l'università. Erano i tempi della “fantasia al potere”: cazzate. Solo l'eterno “fatti più in là”. I “baroni” facevano frequentemente schifo: altezzosi e imbolsiti in una idea di istruzione e sapere preistorica. Protervi davanti al mondo che stava cambiando.

Ma quelli che tenevano in ostaggio le assemblee e che pestavano quelli che non si uniformavano al pensiero unico erano solo degli spregevoli gerarchetti: alcuni di partito, altri dei “movimenti” che pretendevano di avere la ricetta per cambiare il mondo. Molti di loro smessi eskimo e passamontagna (alcuni dopo aver abbandonato la P38) si sarebbero piazzati nei posti chiave di quella borghesia che disprezzavano. Non ho scheletri nell'armadio: ho mantenuto amici a tutte le latitudini politiche perché sono “amici”. Non perché la pensano come me.

Paolo Guzzanti ha scritto su Il Giornale un fondo dal titolo cristallino: “I veri liberali non hanno a che fare con una certa destra”. Spiega Guzzanti: “Salvini rappresenta una destra illiberale perché manca di una visione generale del Paese”. E quanto a Meloni “è sempre in mezzo al guado fra l'ex post-fascismo e un'area conservatrice: né carne, né pesce”. Secondo Guzzanti i “milioni di liberali che votarono per Berlusconi ora sono depressi e si sentono esiliati in patria”. Sempre secondo Guzzanti il vero problema del Paese è quello di aver “disimparato l'arte del compromesso”. Che notoriamente, in politica, viene considerato una virtù.

Perché Guzzanti (assieme a molti altri analisti a destra, come a sinistra) si sta spendendo a favore del compromesso? Di quello che definisce “lo strumento più audace della politica”? Perché essendo il Paese nella cacca (economicamente e sanitariamente) Silvio Berlusconi dal suo ritiro in Provenza (via mail o telefonicamente, immagino, visto che da quasi un anno il leader di Forza Italia non appare) ha offerto la sua collaborazione, per spirito di servizio, al governo in grave difficoltà.

Stampella – Specificando di non proporsi come “stampella” il Cavaliere ha snocciolato una serie di proposte. Prima tra tutte quella di “evitare le mance a pioggia” e di intervenire piuttosto nel “congelamento delle tasse delle imprese”, introducendo, contemporaneamente “una flax tax” che le tasse, possa abbassare. Nonostante Berlusconi ripetutamente abbia spiegato che le sue proposte (oltre a quelle succitate, ce ne sono altre) “non devono essere ritenute un sostegno politico al governo che non approviamo e ad una maggioranza i cui valori non sono compatibili con i nostri”, le rassicurazioni non sono bastate a convincere tre suoi parlamentari a non traslocare nelle fila di Salvini e a quietare lo stesso leader della Lega che per dirla in modo “brutale” nell'accelerazione di Berlusconi ha avvertito puzza di “inciucio”.

Con un retro-pensiero: da due anni tutti i sondaggi danno la Lega come primo partito. In netta flessione post-Papete, ma pur sempre al comando. Seguita dal Pd lontano tra i tre e i quattro punti. Da Fratelli d'Italia che negli ultimi tempi avrebbe superato il Movimento 5 Stelle di una incollatura. Forza Italia in questo quadro oscillerebbe tra il 6 e il 7 %. Solo una legge elettorale “proporzionale” potrebbe ancora garantirle un ruolo centrale, nonostante l'accredito (attuale) sotto la doppia cifra. Legge che Salvini non vuole ma che il Pd potrebbe accordare.

C'è un problema insoluto che emerge anche dal fondo di Guzzanti: il non “riconoscimento” da parte degli avversari (ma persino degli alleati di governo) dell'essenza della Destra. Cosa assolutamente naturale in quella che Guzzanti definisce “la gente che si fa chiamare 5 Stelle”, nella sinistra di Leu e anche in quel Pd che ha la faccia onesta di un Bonaccini, ma anche quella più inquietante di altri rappresentanti. E che, comunque (Quercia, Ulivo o piante simili) non ha mai fatto quello che fecero i corrispettivi tedeschi: Bad Godesberg. Vale e dire i conti con la propria storia comunista.

Liberali – Se Meloni dal 3% è passata al 16 e rotti, se Meloni è diventata in Europa presidente dei conservatori continentali, se Salvini nonostante gli eccessi continua a guidare (nei sondaggi) il partito leader, se Forza Italia che aveva convinto quei “milioni di liberali” di cui scrive Guzzanti oggi è data stabilmente sotto al 10%, una ragione ovviamente ci deve essere. E non basta a spiegarla la sbronza da “vaffa” che ha sedotto gli italici. Non bastano le “toghe rosse” e i millanta processi del Cavaliere. Non bastano le “cene eleganti e le nipoti di Mubarak”. È evidente come il progetto politico di Berlusconi per svariati motivi (economici, parlamentari, sociali) sia fallito.

E fa sorridere che qualcuno oggi si indigni per il “tradimento” delle Ravetto (simpatica avvocatessa che anni fa ho avuto occasione di conoscere in Provenza alla festa di compleanno di una comune amica). Sono gli stessi che avevano accolto a braccia aperte Fattilicazzituarazzi. Difesa del “particulare” come sosteneva Guicciardini? Non solo: se Bossi aveva il “cerchio magico” e Renzi quello “gigliato”, diciamo che anche il Cavaliere non si è fatto mancare il suo. L'uomo chiamato Gianni (da sempre) “pesa” nelle decisioni prese dal Cavaliere. Uomo persuaso che “il nemico del mio nemico sia un amico”. Detto cinese? No: indiano. Strategia militare del leggendario Kautilya.

Torno all'arte del “compromesso politico”. Che secondo Josef Unger “è un accomodamento con il quale facilmente ci si compromette”. Ma immagino che nella mente di Guzzanti si sia acceso l'esempio che consentì la nascita della Repubblica dopo il tragico ventennio fascista: la Dc di De Gasperi che aveva stravinto le elezioni consentì al Pci di Togliatti (i cui partigiani – ma non solo loro – avevano contribuito con gli Alleati a liberare il Paese dal nazifascismo) di occupare fette importanti del paese (culturali soprattutto, nel segno indicato da Gramsci) pur non essendo al governo.

Compromesso – Il fascino del passato è presente in tutti noi. Anche in noi che siamo nati dopo la Liberazione. Che siamo troppo vecchi per non sapere che il “compromesso” ti fa campare, quanto lo “scontro” ti fa andare a sbattere. Ma mi chiedo: con questo governo? “Compromettersi” con questo governo significa mantenere sulla poltrona le Azzolina, le De Micheli, i Bonafede, gli Spadafora, gli Speranza. Compromettersi con chi in parlamento ha fatto passare un emendamento a tutela degli inquilini morosi? Non sono un insensibile che si gira dall'altra parte. Ho un paio di proprietà a Venezia: uno degli inquilini mi ha scritto chiedendomi di poter ridurre la pigione del 30% per alcuni mesi. Ho risposto che glielo accordo: il 20%, però. Visto che campo degli affitti e della mia pensione. Oltre che di una collaborazione da qualche centinaio di euro. Ho ingenti spese da sostenere. Che a Venezia, dove ogni pietra è “monumento nazionale” sono più ingenti che altrove.

Quindi: compromesso con loro? Con lo spocchioso commissario Arcuri? Con quel Morra incapace di qualsivoglia pietas nei confronti di una donna coraggiosa, malata e infine defunta? Ancora con l'avvocato del popolo, Conte? Caro Paolo Guzzanti: compreresti un'auto usata da Giuseppe Conte? Da quel Giuseppe Conte che va nel salotto di Lilli Gruber e legge sul telefonino le risposte alle domande che gli vengono poste? Da quel premier che si fa scrivere (Roccobello?) da un misterioso bimbo di cinque anni, una letterina che neppure Italo Calvino a quell'età avrebbe saputo vergare con quella qualità?

Spesso discuto con Sergio, squisito cinegiornalista con il quale ho condiviso tante avventure di lavoro. E il cui cuore politico batte ad oriente. Mi chiede: “Ma la Destra avrebbe saputo fare di meglio?” Immagino di no, rispondo, anche se non c'è controprova. Ma non è una questione di Sinistra o di Destra: è questione di competenze. E questi che governano sono scarsi. Alcuni di loro devono svuotare gli armadietti. Lo so che a Berlusconi l'uomo con la pochette piace. Perché (Minzolini-pensiero) si veste bene, non ha la barba, è educato e quando lo chiama “è sempre gentile”. Eppure Berlusconi che ha studiato (come il sottoscritto) dai salesiani dovrebbe diffidare di chi se la fa con i gesuiti, …

Non ho titolo per parlare di fede. Non sono stato “chiamato”. Quindi: o ho problemi d'udito, oppure, vai a sapere, qualcuno deve aver messo la mia “pratica” sotto alla pila. Ma come sovente accade a quelli che stanno “in fila” sono attratto dalle cose della Chiesa. Deve essere un retaggio della mia educazione costellata di funzioni, incenso ed annuali baci all'anello del vescovo. Beh dalla Pasqua del 2021 il Padreterno non indurrà più “in tentazione”. Ma saranno i fedeli a non “abbandonarsi alla tentazione”. Eppure quell'Abramo (Genesi) messo alla prova dal Padre certifica che l'Architetto “induce”: se appena gli “girano”. Che facciamo con Sant'Agostino e San Tommaso? Perché anche loro: e quel che ne segue. Ha l'impressione che tra le letture di Bergoglio non sia contemplata la Lettera di Giacomo. “Padre della luce, nel quale non c'è variazione, né ombra di cambiamento”. Se proprio i gesuiti vogliono correggere, comincino da quel “cammello”, evidente errore di traduzione. Considerato che il “cammello” altro non è (verosimilmente) che una gomena. Lascino stare il catechismo. Se persino quelli come me lo ricordano, è perché tale è stato tramandato: con il Padre che “induce”.

Caro Paolo Guzzanti. Non so come te la passi tu. Io giornalmente non so più a che santo votarmi.

Sostiene lo storico Mario Lentano che quell'Enea era un traditore. Secondo Lentano fu lui a consegnare Troia ai Greci: perché Priamo non se lo “fumava” E cita insospettabili antichissime fonti. Ma a ben pensarci, perché no? La povera Didone, sedotta e poi abbandonata, confermerebbe: un traditore.

Letture – Unico vero conforto. È stupendo il saggio di Gregorio Botta “Pollock e Rothko: il gesto e il respiro” (Einaudi) sul tema delle plutarchesche somiglianze di alcune esistenze. Ma bello anche il saggio dell'amico Alfio Caruso “Così ricostruimmo l'Italia 1945-1959” (Neri Pozza) nel quale con il consueto certosino lavoro Caruso – all'interno di una rinascita mille volte raccontata – riesce ad inserire storie di uomini e donne sconosciute ai più. E che di quella stagione furono protagonisti. Come quella di monsignor Edoardo Prettner Cippico vertice di truffe su un traffico di valuta clandestina. O quella di Ebe Roisecco la “signora mezzo miliardo” che versava tangenti ai gattopardi della Democrazia Cristiana. O quella di un impiegato milanese, Emilio Biasetti, che nel 1946 azzecca un “dodici” al Totocalcio vincendo 463.846 lire dell'epoca: l'equivalente di 16.000 euro. Pare poco roba, oggi, ma allora Valentino Mazzola, il Cr7 dell'epoca, guadagnava 80.000 lire al mese (meno di 3000 euro) solo cinque volte di più di quanto percepiva un operaio della Fiat.

Termina il saggio di Caruso nel 1959 con la lira che viene premiata per l'Oscar come miglior moneta del Continente. Nel gennaio di quell'anno Amintore Fanfani si era dimesso da capo del governo. Ma sarebbe tornato il “Rieccolo” della politica italiana come lo soprannominò Indro Montanelli: sarebbe tornato.

Nel 1959 avevo 14 anni e sognavo di diventare un calciatore professionista. Ma ero poco dotato e il sogno svanì pochi anni dopo. Nel 1955 era uscito negli Stati Uniti “Rebel Whitout a Cause” (ribattezzato “Gioventù bruciata” in Italia) che consacrò nel cinema la breve stagione di James Dean. Ne scrive in un saggio “Il secolo dei giovani e il mito di James Dean” Goffredo Fofi (la Nave di Teseo) con – io trovo- disperazione. Dean era il “nuovo” che avanzava. Crudo rispetto alle zuccherose trame degli Studios. Era la speranza di un cambiamento in una stagione nella quale (reduci dal trauma della seconda guerra mondiale), le giovani generazioni annaspavano alla ricerca di prospettive. Di un senso da dare alle proprie vite uscendo da schemi che apparivano fossilizzati: il matrimonio, la casetta stile coloniale su due piani, la sposa angelo del focolare, gli immancabili tre marmocchi da allevare, il treno quotidiano da prendere verso gli uffici della City, la funzione domenicale e il picnic nel giardino. La liofilizzazione dell'American dream. Benché Hopper ammonisse, con i suoi bar semivuoti, sulla solitudine esistenziale degli individui.

Presto sarebbe arrivata la “Società dello Spettacolo". Fofi chiude citando Edgar Morin. Ma avrebbe dovuto ricordare anche Guy Debord. La società delle immagini e dei consumi che già incombeva. Solo un altro capitolo della storia di tutti noi. Adoro Vico e i suoi “corsi e ricorsi". Come avevo aperto queste calviniste riflessioni? Appunto. Saluto dopo aver assistito (in tv) al compleanno (due settimane) più lungo della storia: quello di Carlo Verdone. Lo sport? Facciamo un'altra volta? Grazie per la comprensione.