I sentieri di Cimbricus / Il filo del dubbio che genera la tela

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Lunedì 23 Novembre 2020

 

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“C’è, in questo nostro tempo, una furia, una bramosia di esattezza che assicura, per il futuro, una desertificazione di storie spesso transitate nelle leggende”.

Giorgio Cimbrico

Il mondo è sorvegliato e nulla sfugge: se non ci sono le telecamere, ci sarà un drone e nel caso non ci siano né le une né l’altr0, qualcuno filmerà con un telefonino e trionfante lo spedirà a una tv, a un giornale, a un sito, a un blog e così tutti rideranno, piangeranno, commenteranno acidi o divertiti e penseranno di essere al centro del mondo. Questi, lo capite, sono argomenti dannatamente seri ed è meglio lasciarli ai sociologi, agli studiosi dei fenomeni di massa, agli analisti delle strette connessioni tra potere e l’esercizio dello stesso sulle persone, sulle loro menti. Direi che i risultati attuali possono essere classificati nella dimensione del catastrofico.

Qui è meglio accontentarsi di cose più modeste che comunque hanno riempito la nostra vita e ci hanno anche fatto campare: le vicende sportive. Idem come sopra: lo sport è sorvegliato e nulla sfugge. Poco fa ho visto la fotografia del capitano dell’Argentina Pablo Matera che tira le treccine di un australiano. È sufficiente per far scattare una sanzione contro il giocatore che, qualche giorno prima, aveva scalato le classifiche per aver detto all’arbitro che lui rappresentava il suo paese e meritava rispetto? E così, non solo tutto è visibile, tutto è anche udibile grazie al sistema microfonico che collega l’arbitro al collega che osserva in tv. Nel rugby si chiama Tmo, nel calco Var.

C’è, in questo nostro tempo, una furia, una bramosia di esattezza che assicura, per il futuro, una desertificazione di storie spesso transitate nelle leggende: magnifiche mete annullate perché viene pestato qualche filo d’erba bianco di gesso e non verde; gol cancellati per la punta di un piede o la frazione della punta di un piede oltre la linea del fuorigioco. Il potere delle macchine si sta allargando e prevede, in certi casi, il riesame di fatti precedenti a quello già finito sotto la lente.

Sono per la maggior parte episodi che sfuggono all’occhio umano e che vengono esaminati e riesaminati in sessioni, a volte anche piuttosto lunghe, che prevedono l’uso del rallentatore, spesso molto rallentato, e di inquadrature da diverse angolazioni. L’arbitro una volta era cornuto, venduto, incompetente. Ora non conta più nulla. E si affida.

Se il nostro ieri fosse il nostro oggi non avremmo avuto la Mano de Dios di Diego Armando Maradona, angelica canaglia, e non avremmo in deposito, nell’archivio dei magnifici ricordi, la Meta (maiuscolo) di Gareth Edwards agli All Blacks annata 1973: in quel vorticare di passaggi, due erano in avanti. No try, niente meta.

E questi sono i picchi, le punte di questo caldissimo iceberg che conserva nelle sue ghiacciate viscere fatti memorabili: stoccate dubbie che scatenarono gioia e ira, palle sospette che segnarono telluriche svolte tennistiche, controversie che, come si diceva una volta, fecero scorrere fiumi di inchiostro: ricordate i centimetri di Turone e l’intervento di quel buonanima del senatore Viola?

Non avremmo neanche, conservato sin dall’adolescenza, il gol/non gol di Geoff Hurst che diede la svolta alla finale del ’66 Nel rallentato, palla sotto la traversa e sulla linea. Era dentro? Boh. Ricordo che Dienst, l’arbitro svizzero, piuttosto lontano, chiese lumi al guardalinee, il sovietico Bakramov: Dienst parlava tedesco, francese e inglese e Bakramov, che si esprimeva in russo e turco, disse che era gol.

E’ la linea dell’incertezza, è il filo del dubbio che generano la tela. E così, per l’ennesima volta, viene in mente il finale di “L’uomo che uccise Liberty Valance”. La leggenda è grandiosa, feconda, genera frutti, la verità può essere deludente e spesso è sterile.