Duribanchi / Sono tempi grami, dove tutto e'’ in forse

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Martedì 27 Ottobre 2020

 

manzoni 


“Sono tempi nei quali serve fare attenzione alle parole che si dicono. Troppe bugie. Troppe promesse disattese. Troppa comprensione per i delinquenti. Che oggi si mescolano alla protesta dei cittadini perbene”.


Andrea Bosco

In tempi normali sarei su questo spazio solo (da veneziano) a godere per la Reyer che contro Sassari, nell'eterno duello con Pozzecco (due tecnici e immancabile espulsione, ma il Poz è anche il sale di questo sport, guai non ci fosse uno come lui in un mondo dove abbondano i chierichetti) ha cambiato ancora una volta pelle. I pretoriani di De Raffaele, votati alla difesa e alla transizione che sfornano una gara da 99 punti con ottime percentuali nel tiro pesante. Anche nei criticatissimi, Mazzola e Stone. Senza Daye infortunato, accanto alla certezza Tonut e ad un Fotu essenziale, un Bramos da 28 punti: da leccarsi i baffi. Il vero cioccolatino è l'uomo che sta in panchina. Un genio della tattica.

E' dai tempi del “paròn” Tonino Zorzi (pur essendosi avvicendati su quella panca – da Vitucci a Recalcati – fior di allenatori) che la Reyer non aveva uno così: capace di andare dritto per la sua strada. Capace di costruire una squadra. Capace di farla rendere al meglio. De Raffaele non ha il carisma di Messina, non ha il consenso mediatico di Pozzecco, non allena la Nazionale come Meo Sacchetti. Ma conosce il basket. Ha imparato a conoscere Venezia. Ha imparato a conoscere fin nelle pieghe ognuno dei suoi giocatori. Che sono da varie stagioni i medesimi. I nuovi che arrivano non sono mai da “copertina”: sono funzionali alla sua idea di gioco. Milano vola sulle ali dei suoi fuoriclasse. Ma la Reyer è lì, al secondo posto, ancora campione in carica. Il racconto del campionato sembra aver già scritto anche l'ultima pagina. Milano è a 16-1 in stagione: è “profonda”, talentuosa, solida, con tanti punti nelle mani.

Quelli del Leone sono meno scintillanti ma non meno competitivi. La storia gli ha insegnato ad essere a disposizione di una idea. A Venezia, fino a quando c'è stata la Repubblica non c'erano monumenti eretti in onore di questo o quel doge. L'unico raffigurato, sul fregio della Porta della Carta a Palazzo Ducale è inginocchiato ai piedi del Leone Alato. Lo stato prima di tutto. Se vi dovessero obiettare che in Campo San Giovanni e Paolo c'è la bella statua equestre dedicata al capitano di ventura Bartolomeo Colleoni, spiegate che là si trova per un semplice motivo. Non avendo figli, né eredi, Colleoni lasciò, alla morte, l'ingente sua fortuna alla Serenissima: alla Repubblica che a lungo aveva servito. Venezia lo ringraziò commissionando quello che sarebbe risultato uno dei capolavori del Verrocchio. Monumento del quale, all'inaugurazione, un cronista dell'epoca scrisse solo due parole: “El piase”.

La Reyer è molto più “Venezia” di quanto l'Olimpia non sia Milano. Milano è internazionale. La Reyer, anche con molti stranieri nelle sue fila, è Campo San Polo: un campo grande come una piazza. Qualche straniero dell'Olimpia è restato legato a Milano: Kenney, Mike D' Antoni, Bob McAdoo. Ma i “forestieri” della Reyer diventano veneziani. Bevono “ombre” e mangiano “cicheti”. Imparano presto a dire “va in mona”. Perché se rimani a Venezia, la città non ti trasforma. Prendete il Greco d'America: ormai è uno da calli, campielli e bàcari, più che da pub.

Sono tempi grami. Tutto è in forse. Il basket come ogni altra attività del paese. Si chiama Covid e sta falcidiando il pianeta. Paghiamo in modo salato tutto quanto negli scorsi decenni non è stato fatto. Paghiamo le scorciatoie prese. Paghiamo la sporcizia sbattuta sotto al tappeto. Paghiamo la corruzione e l'ignoranza. Paghiamo il pressapochismo. Paghiamo la boria e paghiamo le menzogne. Paghiamo i pregiudizi. E paghiamo l'ideologia ottusa. Paghiamo l'inefficienza al pari dell'incompetenza. Oggi in piazza assieme ai sobillatori di professione ci sono tante brave persone disperate. Se potessi dire una parola (ne avrei, ma mi basterebbe questa) al presidente Sergio Mattarella, gli direi: “Presidente, come può pensare che uno che parla di ‘egidia dell'ONU’ possa contribuire a tirar fuori il paese dai guai?” .L'egidia: uscita dalla bocca di una alta carica dello stato. Ci sono gaffes che definiscono un paese. l'Italia oggi è questa: rappresentata da chi per dir “ègida” declina il femminile di Egidio.

Paghiamo anche le scelte della mia categoria. Se continui ad invitare un otre pieno di sciocchezze non lo fai per la “completezza dell'informazione”. Ne hai altri cinquanta, anche della fazione dell'otre, da poter invitare. Se inviti proprio “lui”, protervo come solo gli ignoranti sanno essere, lo fai per l'audience. E per fare audience sei disponibile anche a beccarti in faccia il guano che l'otre “libera”. E quindi lo chiami. E poi lo richiami. Richiami la “capra”: per dirla con Vittorio Sgarbi. Spiacente, brava e misurata conduttrice: colpevole. Anzi: colpevoli.

Sono tempi nei quali serve fare attenzione alle parole che si dicono. Troppe bugie. Troppe promesse disattese. Troppa comprensione per i delinquenti. Che oggi si mescolano alla protesta dei cittadini perbene, in piazza con la propria disperazione. Le paure per il domani prossimo, non quello remoto. Ogni scelta fatta oggi peserà per decenni. Peserà su almeno due generazioni. Sbagliare non è più consentito. Rinviare non è più consentito. Le piazze a Napoli, come a Roma, a Torino, a Milano e a Trieste, sono bollenti. Con conosciuti ed impuniti facinorosi a soffiare sul fuoco del malcontento. A distruggere le città.

La repressione è sempre odiosa. Ma la dissuasione non basta più. Il governo si è giocato ogni possibile fiche. Ma i suoi “numeri” non sono usciti. La situazione è pericolosa. E potrebbe peggiorare se il governo continuerà a mostrarsi incerto. Governo di unità nazionale signor presidente Mattarella. Con quelli bravi e competenti: qualsiasi maglietta indossino. Quelli che possono salvare il paese. Non con quelli che reputano che Beirut non sia in Libano o che scambiano un rimorchiatore per un “incrociatore”. Non quelli che ipotizzano una “ciclabile” che colleghi Messina alla Calabria. Quelli sono veleno.

Avrei tante cose da chiedere al presidente della Repubblica. E tante anche da dirne ai lettori di Duribanchi e di Sportolimpico. Non oggi: potrei scriverne di pesanti. Oggi serve buon senso e civiltà.

In attesa del prossimo Dpcm, della prossima conferenza stampa, dei prossimi provvedimenti e dei prossimi divieti, offro un consiglio estrapolato dalle Massime di Stato di Richelieu: “Bisogna ascoltare molto e parlare poco per governare bene uno stato”. Ma temo che offrirlo a chi ama soprattutto “ascoltarsi”, sia inutile. E che viceversa dovrebbe ascoltare e leggere, molto. Alessandro Manzoni, soprattutto: in quel suo romanzo c'è proprio tutto. La pandemia, la morte, le rivolte. Gli appestati e gli untori. I signori prepotenti, i bravi, i monatti, i don-abbondio, le donne-prassede, le perpetue, i cardinali e i donferrante. Gli azzeccagarbugli, gli innominati, i fra-cristoforo, i renzi (plurale di Renzo, sia chiaro), le agnesi e le lucie, le monachedimonza e lui: il maschile dell'egidia. C'è un conte-zio (che ci posso fare se Don Lisander aveva previsto tutto, nomi compresi?) che “lenisce e sopisce”. Vedi il caso. Per capire quello che sta succedendo oggi, leggere “I Promessi Sposi”.

Che, detto per inciso, finisce bene. Anche se quel finale “conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione, ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani. E che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore”. Credenti o meno quel “utili” (Capitolo XXXVIII) è difficile da digerire. Benché “cattolicamente” esemplare nella ricerca della soluzione del problema più grave della vita: l'esistenza del male e del dolore. Quesito che ha attanagliato Virgilio, che non sapendolo spiegare, si chiuse nella malinconia. Che distrusse Leopardi, il quale avendo rigettato la religione accettò la più cupa disperazione. Manzoni cattolico praticante reputava che la “felicità non fosse di questo mondo”. Che non si trovasse nei piaceri e neppure nella scienza.

Discutibile, ma (per i tempi) comprensibile. In fondo si dovette attendere il papa polacco perché fosse riabilitato quel Galilei. Con una formula da “oltre Tevere”. Aveva ragione Galileo? E' la terra che gira attorno al sole e non viceversa? Pedanterie. Dice la formula riabilitativa che “non c'erano ragioni per processarlo, Galilei”. Essi non sbagliano. Né potrebbero, essendosi autodefiniti “infallibili”. Miserie di un miscredente. Che sta cercando. Ma ancora non ha “trovato”. Del resto: “molti sono chiamati ma pochi eletti” (Matteo 22,1-14). Anche i miscredenti (in attesa di una chiamata) possono avere dimestichezza con i Vangeli.