Una foto, una storia / "Un giorno tocchera' a me quella cintura"

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Venerdì 16 Ottobre 2020

 

frazier

 

Quella faccenda del titolo Joe se l’era messa in testa sin da ragazzo quando a Beaufort, Carolina, aveva riempito un vecchio sacco di mattoni e pannocchie e nella rimessa picchiava e picchiava, …

Giorgio Cimbrico

“Pregate per lui”, disse chi gli era vicino perché a 67 anni Joe Frazier, “Smokin’ Joe”, ne aveva più per poco: capita quando il cancro tira un gancio al fegato. Tre giorni dopo, il 7 novembre 2011, era finita. “Sempre più vicino a te, Signore”, avrebbe cantato sua madre, fervente battista. “E’ un gorilla, è uno zio Tom”, gli ha gridato per anni Alì e Joe provava a digerire, sino a quando, nel ’96, quando toccò ad Alì, tremolante per il Parkinson, accendere la fiamma olimpica di Atlanta, ruppe il silenzio e disse: “io l’avrei buttato nel fuoco, tutto intero”.

E poi altri anni sono passati, i sentimenti si sono addolciti e Joe ha detto che tutto sommato per Alì lui non provava odio. E Alì, a sua volta, confessò che quella volta a Manila non sapeva come sarebbe andata a finire se Eddie Futch non avesse detto a Joe di non alzarsi alla campana del 15° round. 1° ottobre 1975, “Thrilla in Manila”, il thrilling nel calore umido delle Filippine, sobborgo di Quezon City, il loro terzo faccia a faccia, la bella. E chi c’era – uomini d’angolo, esperti di ferite, giornalisti, scrittori, suiveur di questa faccenda appassionante e pericolosa – continua a raccontare che fu una cosa selvaggia, spaventosa, senza fasi di studio, indimenticabile. Ferocia dal primo gong.

Anche Alì il Meraviglioso dimenticò la calligrafia e colpì, colpì e davanti aveva questo muro di pietra della Carolina, figlio di un povero negro con dodici figli che allevava maiali e raccoglieva cotone per i bianchi ricchi. Alì conosceva Joe, conosceva quel gancio sinistro che l’aveva spedito al tappeto nel loro primo incontro ravvicinato, quattro anni prima. Alì si era rialzato, aveva finito il match, da sconfitto. Era al ritorno sul ring dopo la sospensione e tra quelli che si erano battuti per riqualificarlo c’era stato anche Joe. Aveva scritto anche a Nixon. “Se devo diventare campione del mondo, voglio battere lui”. E tutti oggi ricordano “Rumble in the Jungle”, il match di Kinshasa tra Alì e Foreman, ma l’etichetta di match del secolo è toccato al combattimento di Manila, il più intenso, brutale, affascinante. “Ero in vantaggio ai punti, ma non so come sarebbe andata a finire se avesse deciso di combattere anche nella 15ª”, raccontò Alì, colpito da un attacco di sincerità.

Questa faccenda del titolo Joe se l’era messa in testa sin da ragazzo quando a Beaufort, Carolina, aveva riempito un vecchio sacco di mattoni e pannocchie e nella rimessa picchiava e picchiava e diceva che “un giorno toccherà a me quella cintura”. Il suo primo manager Yank Durham gli aveva a detto: “Tu, Joe, puoi far fumare i guantoni”. E fu in quel momento che nacque il suo soprannome, Smokin’. E così Joe entrò per la prima volta nella storia della boxe nel ’70 quando abbattè Jimmy Ellis e diventò campione e poi nel suo giorni dei giorni sconfisse Alì e tutti pensarono a lui come al Marciano nero, ma in scena stava arrivando Goerge Foreman, quello che in allenamento deformava il sacco picchiando con quei pugni che erano mazze. Batte Joe, perde con Alì (Ali booma ye, Alì uccidilo: urla la folla nella notte congolese), sconfigge ancora Joe quando Frazier ci riprova per l’ultima volta, per l’unico titolo per cui valga la pena di battersi.

A 32 anni Joe aveva combattuto 36 match, ne aveva vinti 32, ventisette prima del limite, ne aveva persi quattro, due con Foreman, due con Alì. Si ritira, torna nell’81 per affrontare Cummings e chiudere sul pari. “Non è il caso di andare avanti”. Dicono che la sua vicenda di miseria e di riscatto, i suoi allenamenti, le sue corse nelle strade di Filadelfia, siano servite a Sylvester Stallone per creare Rocky. Molto probabile sia vero: Joe compare nel primo film della serie, prima che Rocky incroci i guantoni con Apollo, una specie di sprezzante Alì.