Italian Graffiti / Giomi: serenita' e soddisfazione

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Martedì 13 Ottobre 2020

 

giomi alfio 

 

All’insegna dell’ottimismo l’addio alle armi del presidente che dal 10 novembre completerà la sua parabola tuffandosi nell’organizzazione degli Europei 2024 in scena dopo i Giochi di Parigi.

 

Gianfranco Colasante


Chiamale, se vuoi, soddisfazioni. Che poi è un po’ come chiedere all’oste se il vino è buono. “Abbiamo messo tantissima carne al fuoco. Forse anche troppe cose, tanto che diventa impossibile seguirle tutte. Ma non tornerei indietro e sono contento di consegnare tutto questo: magari, chi verrà, saprà selezionare meglio di me cosa continuare e cosa interrompere. Abbiamo dato orizzonti nuovi all’atletica italiana”. Questo l’orgoglioso incipit del lascito con il quale l’oste Alfio Giomi – sollevando una ideale caraffa dell’amato Morellino – venerdì scorso ha chiuso il suo doppio quadriennio alla guida della FIDAL.

 

Un maremmano concreto e tosto, Giomi, di quelli che non sarebbero andati di traverso a Malaparte, salito al vertice a piccoli passi seguendo un copione prestabilito e senza nulla, o quasi nulla, lasciare alle casualità del momento. A guardarla all’indietro, quella di Giomi è stata una carriera lunga e articolata, spalmata su mezzo secolo a cavallo di due secoli. Partito alla fine degli anni Sessanta come allenatore … di nuoto, ha caparbiamente percorso i gradini della dirigenza atletica, dalla società intitolata al giovane discobolo Massimo Pellegrini, scomparso nell’estate 1971 in un tragico incidente stradale, fino alla delegazione provinciale di Grosseto dove si è fatto le ossa nel turbolento e sanguigno Granducato di Toscana che lasciava (e forse lascia ancora) pochi margini d’errore ai suoi sudditi.

Un decennio più tardi lo ritroviamo al centro, vice di Roberto Nardi nel comitato regionale, prima del grande balzo nazionale negli anni Novanta, in piena era post-Nebiolo, ancora vice – quella volta di Gianni Gola –, ma indiscusso e a volte protervo e spigoloso uomo forte della federazione, dominus del settore tecnico e di tanto altro ancora. Fino al soglio federale scalato nel dicembre 2012 dopo gli opachi e insignificanti otto anni di Franco Arese, il presidente che è stato un po’ l’Obama italiano: grandi attese e grandi delusioni. E senza neppure il conforto di uno straccio di Nobel della Pace.


Proprio per quei precedenti va dato atto a Giomi d’averci creduto e d’essersi rimboccato le maniche in solitudine, per di più in un periodo nel quale l’atletica era finita nel sottoscala e pareva addirittura trovarcisi bene. Senza nerbo né idee. Doveva reggere lo scettro quattro anni, li ha prolungati ad otto, anche se non proprio a furor di popolo.

Visti dall’interno, come dire dalle vetrate di via Flaminia, sarebbero stati anni tradotti in una crescita continua, progressiva, in una sequela di successi focalizzati al meglio negli ultimi due anni, quelli col timbro di Antonio La Torre (che comunque resterà in sella fino all’indomani di Tokyo, sempre che in Giappone ci si possa andare …). E sunteggiati con un certo orgoglio nel commiato del prossimo past-president: “L’atletica italiana ha fatto un vero salto di qualità. Siamo ricchi di talento, siamo ricchi per la qualità delle persone sul territorio. È per questo che mi avvio a chiudere il mio mandato con grande serenità e soddisfazione”.


Visti di contro dall’esterno, quelli di Giomi sono stati anni non sempre produttivi, con continui stop-and-go sull’organizzazione tecnica, traumatizzata dagli addii di Massimo Magnani e poi di Stefano Baldini. Anni che hanno portato in luce nuovi giovani, ma anche con non poche ombre e con alcune cadute di stile imperdonabili, come l’acquiescenza alle tesi di Schwazer e dei suoi consigliori con quel che ne è seguito. Certo, una federazione che può disporre di un centinaio di milioni per ogni quadriennio ha il dovere di raggiungere obiettivi concreti e di porre sempre più in alto l’asticella, tanto più a fronte a un calo generalizzato dell’atletica nel vecchio continente.


Se quella che lascia Giomi – come traspare dalle sue parole – è vera gloria (a chi scrive resta qualche dubbio), sarà arduo per chiunque ereditarla e farsene carico. A chi toccherà tra i tre contendenti non proprio di nuovo conio finora scesi in campo, lo vedremo il prossimo 31 gennaio 2021, sempre che l’assemblea elettiva non vada ad impattare con il Covid e le sue restrizioni o un colpo di teatro sparigli le carte. In ogni caso ad oggi qualunque pronostico diventa un azzardo, considerato che i programmi dei contendenti – per quanto ci è riuscito di capire – appaiono per lo meno simili se non proprio sovrapponibili. Ma questa è un’altra storia, dal momento che i programmi, come sapete, hanno sempre un peso molto relativo se non trascurabile nelle incoronazioni federali.


Ma chiunque succederà a re Giomi II, dovrà far di conto con gli inediti scenari intervenuti negli otto anni trascorsi. Se è vero che la cosiddetta riforma – già in partenza raffazzonata di suo – pare essersi arenata sui banchi di sabbia dei risentimenti reciproci da cui difficilmente potrà disincagliarsi, toccherà allo sport trovare al suo interno i correttivi, e lo dovrà fare al più presto, a cominciare da una più razionale definizione dei ruoli, degli apparati, delle risorse. Casomai anche con una piccola cura dimagrante. In breve, nuovi uomini e nuove donne. E in questo gioco ancora tutto da inventare l’Atletica (A maiuscola) non dovrebbe (non dovrà?) accettare posizioni di rincalzo o al ribasso. Al momento questa resta la sola certezza.