I sentieri di Cimbricus / Per varcare i cancelli del tempo

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Venerdì 25 Settembre 2020

 

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“Londra resiste, immagina e crea la maratona più disinvolta, veloce, da ali i piedi, abbandonando la rotta impossibile, impraticabile delle 26 miglia da Greenwich a Buckingham Palace.”

Giorgio Cimbrico

Una biosfera in un albergo fuori città, quaranta acri di prati per tenere i muscoli svegli, gli esami prima e dopo l’arrivo e durante l’attesa, un circuito attorno al parco più piccolo e più amato, un nugolo di “lepri” a due zampe per completare il nutrito bestiario a due ali di St James (pellicani, oche canadesi, cigni bianchi e cigni neri dello Western Australia, germani, fischioni, alzavole, gallinelle, qualche anatra mandarina), zero pubblico, i 45.000 che avevano strappato il pettorale a casa a correre 26 miglia virtuali e a raccogliere denaro per decine di rivoli di buone cause, otto ore di diretta BBC: brevi cenni sull’universo della maratona di Londra del 4 ottobre. Ad aprile gli alberi sono di un verde allegro, ad inizio autunno piccole venature di ruggine affiorano.

Nella città che ha resistito al blitz – arrivato e festeggiato l’80° anniversario – il desiderio delle due “ore più belle” affiora dentro un attacco più lungo di quello portato dai bombardieri di Hermann Goering, più subdolo: meno macerie, più danni nei corpi, nelle menti. Londra resiste, immagina e crea la maratona più disinvolta, veloce, da ali i piedi, abbandonando la rotta impossibile, impraticabile delle 26 miglia da Greenwich a Buckingham Palace.

Diciannove giri da 2150 metri attorno al reale parco di St James e 1350 metri sul Mall: almeno le battute finali e l’arrivo ripercorreranno, per questa 40ª edizione, le cadenze consuete. Può essere l’occasione per una trasformazione, una palingenesi: non più un viaggio da un punto l’altro né, come è capitato a Monza o a Vienna, una corsa pilotata per varcare cancelli del tempo. Qualcosa di nuovo e di eccitante, segnato da ritmi alti, da duelli diretti o incrociati che né un Olimpiade né un Mondiale potranno mai offrire.

Hugh Brasher, figlio di Chris, olimpionico nelle siepi a Melbourne ’56 (“sul podio andai ubriaco”) e fondatore della corsa, aveva in mente di produrre il più grande spettacolo del mondo, il faccia a faccia tra i due veterani divisi da due secondi: Eliud Kipchoge e Kenenisa Bekele. E l’ambizione tipica del grande impresario è diventata spasmodica quando un anno fa, a Berlino, Kenenisa mancò di un soffio il record di Eliud, 2h01’41” contro 2h01’39” e poco dopo Kipchoge, scortato e spinto da una legione di lepri e sollecitato da un raggio verde, su un viale viennese non pressi del Prater, varcò la barriera delle due ore, un record non record memorabile e molto redditizio. Bekele ha 38 anni, Kipchoge sta per farne 36: il momento è ora.

A Londra Kipchoge ha corso quattro volte e ha sempre vinto, l’anno scorso con il record della prova, 2h02’37”. Bekele ha tre piazzamenti: terzo, secondo, sesto e, se può essere augurale, prima del lockdown ha vinto la “mezza” londinese in 60’22”. Brasher, dotato di un robusto budget, non ha badato a spese: accanto ai due grandi vecchi, ha reclutato altri nove uomini con record personali tra 2h02’55” (l’etiope Mosinet Geremew che l’anno scorso tenne sino alle battute finali le cadenze di Kipchoge per diventare il quarto di sempre) e 2h05’51”, ha concesso un pettorale a Daniele Meucci e ha formato una pattuglia di “scanditori di ritmo” guidata da Mohamed Farah, fresco primatista mondiale dell’Ora.

Dello stesso valore e spessore, e molto kenyano, il cast delle donne: Brigid Kosgei ha cancellato l’anno scorso a Chicago il record di Paula Radcliffe con un tempo, 2h14’04”, inferiore a quello di Bikila a Roma ’60, e torna da campionessa uscente per affrontare la piccola e leggerissima veterana Vivian Cheruiyot e Ruth Chepngetich, che seppe domare a Doha condizioni proibitive per metter le mani sul titolo mondiale.