Duribanchi / C'e' ancora qualcosa in cui sperare?

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Giovedì 2 Luglio 2020

 

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Storie e controstorie del Bel Paese. Ha scritto, tra l’altro, Flaiano: “Essere pessimisti circa le cose del mondo e la vita, in generale è un pleonasmo: ossia, anticipare quello che accadrà”. Può aiutare.

Andrea Bosco

Sono stato a lungo un ottimista: mi sono arreso. Non lo dico perché mi è toccato di vivere, per fortuna non in prima persona, la pandemia Covid-19. Tutto si supera: anche il dolore. Vai alla domenica mattina in Cordusio (dove da anni gli espositori risaldano la tua passione per i libri, i bozzetti, gli oggetti vintage di quando eri bambino) e ti raccontano che Aldo è morto. Aldo: dal quale avevi trovato una copia del “Lodo Colombo” che fu direttore della Gazzetta dello Sport in un calcio che ancora balbettava.

Diventi pessimista perché non sai più in cosa sperare. Un tempo credevi nei valori e negli uomini. Oggi ti ritrovi (ancora una volta) ad omaggiare l’Ennio Flaiano che scriveva nel suo Diario: “Essere pessimisti circa le cose del mondo e la vita, in generale è un pleonasmo: ossia, anticipare quello che accadrà”.

Al mio paese e all’Europa non chiedo: so che stanno truccando i dati. Hanno chiuso (giustamente) le frontiere a USA e Brasile, ma le hanno riaperte per la Cina. Ora: è mai possibile che in paesi giganteschi come la Cina e la Russia i morti per Covid siano inferiori a quelli registrati in Italia? Ma anche ammesso che la “fiaba dell’orso” non sia una fiaba, risulta a lorsignori che la Cina abbia cancellato ad Hong Kong ogni libertà individuale? Risulta che in Russia, il satrapo Putin si sia fabbricato una legge che gli consentirà di essere rieletto per altri due mandati? Ragion di stato, capisco. E vai con Guicciardini.

Ho sempre temuto che la globalizzazione, nel nome del profitto, avrebbe prodotto disastri. Ho sempre combattuto (anche rimettendoci di persona) il servilismo e la faziosità ideologica nell’informazione. Non ho mai dimenticato, una domenica mattina, tantissimi anni fa. Domenica di agosto. Ho perso il lavoro, nel senso che mi hanno licenziato e da mesi faccio il free lance. Non sono professionalmente una schiappa, non ho rubato, neppure ho mandato a fan ... il mio direttore. Ho un brutto carattere, ma stavolta non mi sono ... prodotto. Semplicemente hanno ridotto il personale: via io e altri tre. All’epoca non ci sono tutele sindacali.

Quindi sbarco il lunario con qualche collaborazione. Non mi occupo di politica. Dopo aver capito all’università come “girava il fumo” ho lasciato perdere. Non ho tessere di partito. Sono un “cane sciolto”. Un amico mi segnala al direttore di un quotidiano. E quel direttore, quella domenica di agosto, mi riceve. Mi dice: “Mi hanno parlato bene di te”. Io sono intimidito, perché quel direttore è una leggenda. Mi fa intendere che è disposto ad offrirmi una occasione. “Ma – aggiunge prima di congedarmi – devi parlare anche con il comitato di redazione”. Ringrazio e cambio stanza.

Sono in tre dietro ad un tavolo. Io seduto, di fronte, tipo esame di maturità. Sanno che sto cercando lavoro. E che il loro giudizio, in quel momento, è vitale. Ma a loro non interessa se sono bravo o non lo sono. Se sono uno che lavora o se sono uno scansafatiche. Neppure gli interessa se ho un “brutto carattere”. Gli interessa come politicamente, la “penso”. Uno di loro, esplicitamente, me lo chiede. Beh: io ho un pessimo carattere. E almeno uno di quei tre (che mi conosce) lo sa. E’ una provocazione, quella domanda. Ma io ci “casco”. Quindi quella domenica quando mi chiedono: “Come la pensi politicamente?”, rispondo con il francesismo che prediligo: “Andate a cag ...”. Mi alzo e me ne vado. Disoccupato, con il problema di arrivare alla fine del mese, ma “soddisfatto” di me stesso. Qualche mese dopo trovo lavoro: senza dover declinare simpatie politiche. Ad un anno di distanza incontro “quel” direttore ad un convegno. Mi avvicina e mi dice: “Guagliò: tieni cazzimma”. Lo avrei abbracciato.

Adesso sono qui. Con Variety che mi spiega che “Colazione da Tiffany” è un film razzista da non vedere. Con i giornali che mi spiegano che la magistratura italiana non è indipendente. Ma che “traffica” come un qualsiasi partito. E “condanna” per pregiudizio ideologico. Con un ministro della giustizia che manda ai domiciliari i mafiosi. Con un paese che per la morte di un suo cittadino (ucciso e torturato) non riesce a cavare un ragno del buco, perché il business è più importante della vita di un ragazzo. Con i misteri d’Italia, da Ustica a Bologna (per non parlare di Piazza Della Loggia e di Piazza Fontana) che tali dopo 40 anni sono rimasti. E tali resteranno. Con i vitalizi che “ricompaiono” e le auto blu che aumentano. Con un governo che reputa di avere in mano un bancomat: reddito di cittadinanza, navigator (inutili), cassa integrazione permanente, Alitalia (con quello che da decenni l’Italia sta mettendo in quel “buco nero” sarebbero state comprate le prime cinque linee aeree del mondo) da foraggiare sine die. E soprattutto: bonus a go-go. Ne hanno inventato uno per le vacanze: anche se non c’è albergo che lo accetti. L’ultimo è stato confezionato per i nonni. Non è uno scherzo: sei nonno? Bonus da 1200 euro. Mia figlia non mi ha dato nipoti. Posso fare il nonno?: part time, dai.

Il governo Conte sogna di statalizzare tutto: via la sanità privata, la cultura privata, la scuola privata. Più Stato: nelle autostrade, nelle ferrovie, nelle banche “bollite”. Capitolo da inferno dantesco quello delle autostrade. Lunedì scorso una mia amica partita da Milano alle 11 del mattino è arrivata a Santa Margherita otto (8 !!!) ore dopo. La querelle sul Mes? Dicono sia una “figata” a costo zero. Ma nessuno in Europa, finora, della “figata” ha voluto usufruire. Dietro alla “figata” si nasconde il “pacco”? No: la figata ti impone di dire come li spenderai gli euri del Mes. L’Europa chiede riforme: non mance a questo o a quello. E visto che sei un paese che sovente dice una cosa e poi ne fa un’altra, la “figata” a costo zero ha delle condizioni. Dopo due anni, se per caso hai finanziato pretesi nullatenenti che viceversa risultano poi mafiosi con Ferrari nel box, l’Europa ti sanziona. Peggio: ti mette sotto controllo. Tradotto: perdi di sovranità e fai la fine della Grecia. Elementare, Giggino.  

In cosa devo sperare? Nelle parole del Papa? Va bene. E’ il suo mestiere. E la speranza è una virtù cardinale. Ma quelli con cui confrontarsi poi sono “quelli” ai quali del paese non frega un tubo. Non gli frega dei morti. Non gli frega delle aziende e dei negozi che non riescono a riaprire. Gli frega di stoppare la Tav e di stoppare qualsiasi cantiere necessiti di apertura. Gli frega delle poltrone. Leggete la cronaca politica. E scoprirete che il Parlamento non funziona, ma i sinedri delle “segreterie” non “dormono mai”. E cosa interessa ai “sinedri”? La legge elettorale, il referendum, gli accordi per blindare la nomina del prossimo presidente della Repubblica, gli accordicchi in vista delle elezioni regionali.

Il debito pubblico continua a salire, le tasse stanno soffocando gli italiani, il guitto che ha innescato tutto questo (e che ora non sa come fermarlo) è sparito. Non ci sono più “vaffa” da elargire. Ci sono però seggiole da conservare. E voi che sperate in un vaccino che ci faccia uscire dall’incubo: questi, sono “contro” i vaccini. Quando ci sarà (se loro dovessero ancora esserci) ne parlerebbero in millanta tavoli: fino allo sfinimento.

Sperare in cosa? Una volta c’erano i politici. Democristiani, comunisti, socialisti, repubblicani, liberali. Ballavano in prima fila. Quelli di adesso sarebbero stati cacciati da qualsiasi audizione preventiva. C’erano i sindacalisti. Ora ci sono i “funzionari”. Che vanno ai “tavoli” e agli “stati generali”, ma che l’odore dell’olio delle macchine in fabbrica l’hanno dimenticato.

Sperare in cosa? In chi ti dice che il prossimo campionato di basket sarà competitivo? La cavalleria polacca fu fatta a pezzi dai panzer tedeschi. Coraggiosi i polacchi e fessi: le sciabole contro le lamiere dei Tigre. Milano ha due squadre. Bologna quasi. Venezia ha la solita squadra-certezza. Sassari ha stupito negli ultimi anni. Poi? Poco: quasi niente. Certo: c’erano una volta i Simmenthal e le Ignis. Ma non ci sono più campi come quello di Livorno, come la Misericordia di Venezia, come quello di Pesaro o come il Pianella, dove rischiavi il collo anche se avevi in squadra i Thoren e i Raga. Perché la pressione del pubblico e la fisicità dei “padroni di casa” erano impressionanti.

Sperare nel calcio? Posso sorridere quando sento parlare di gioco? Quello di Sarri? Fatemi capire, scriveva Candido Cannavò: se Dybala se ne beve tre in un metro e poi fa gol, se Ronaldo fa mezzo campo di corsa e poi tira una mina da 25 metri nel sette, cosa c’entra, questo, con il gioco di Sarri? Vai a capire.  

In cosa devo sperare? Speravo che mia figlia diventasse una artista. Aveva talento. Tanto che una amica gallerista mi disse: “Le faccio una lettera per Milton Glaser a New York: è promettente ma le mancano ore di volo“. Mia figlia lavorava già nel campo della comunicazione e con gli esami all’Università era indietro: aveva venti anni. Mi disse: “Papà, non me la sento di lasciare tutto, lavoro, studi, amici, famiglia e di andare da sola a New York“. Non se ne fece niente. Milton Glaser inventore tra l’altro del celebre logo “I love N Y“ è morto ultranovantenne nei giorni scorsi. Per lavoro l’ho conosciuto a Milano. Cristina Taverna che esponeva le sue opere mi ha regalato una sua china con il volto di Giuseppe Verdi. La darò in lascito (quando “quella“ mi rifilerà scacco matto) al Museo della Scala. Mi ha detto qualche anno fa mia figlia, una sera a cena: “Avevi ragione, papà: avrei dovuto accettare la sfida e andare a New York“. Non ha mai ripreso in mano i pennelli. Ma credo che la pittura le manchi. Credo. Sapete come funziona con i figli: ti dicono le cose “dopo“. Sempre, dopo.