I sentieri di Cimbricus / Soltanto un tipo fuori dal comune

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Domenica 22 Marzo 2020

 

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In questo mondo così pronto ad elargire finte moralità, a combattere il virus dell’emulazione in uno scenario sempre più pappagallesco, basta un strizzatina di palle per scatenare l’epidemia delle stronzate. 

 

Giorgio Cimbrico

Tre settimane di sospensione a Mohamed Haouas per il diretto al mento di Jamie Ritchie (buona tecnica, non c’è che dire), quattro settimane a Manu Tuilagi che stava per staccare la testa a George North (cosa volete farci, i samoani sono fatti così …), dieci settimane a Joe Marler per la “condotta inopportuna” tenuta con Alun Wyn Jones che, essendo un monumento, deve avere palle di bronzo e così più che sentito deve aver visto il gesto di Joe che, da quando è apparso sulla scena, ha dato subito l’idea di essere un tipo fuori dal comune.

Vogliamo dirlo? Un tipo con cui deve essere piacevole fare un giro dei pub, non quelli eleganti o per turisti, quelli dei quartieri della Londra profonda, a dodici fermate da Piccadilly o da Green Park. Entra Joe e tutti a dargli pacche sulle spalle, a scambiarsi scurrilità in una lingua impervia per chi non è del posto. Joe è un uomo illustrato, un affresco di tatuaggi, aveva i capelli a tre colori e un codino da topo, l’aspetto del macellaio all’angolo (“vero agnello dello Yorkshire” è scritto sulla vetrina per attirare i clienti), il prodotto del rugby che con l’avvento del denaro è diventato “democratico”. Uno come Joe, una volta, lo vedevi nella League, non nella Union. (foto Wikipedia).

Marler ricorda Tyson Fury, rozzo, a suo modo simpatico, capace di fare o dire quello che pensa senza spendere un nanosecondo. Finì una prima volta nei casini per aver dato dello zingaro a un gallese che spingeva nella direzione contraria alla sua e gli diedero un paio di settimane. Nel frattempo si è ritirato ed è tornato nel rugby internazionale, si è rapato e ha sempre stampato in faccia quel risolino che non annuncia nulla di buono.

To grab, afferrare, to twist torcere, to squeeze strizzare sono i verbi entrati nel capo d’accusa, insieme a un “atteggiamento che colpisce lo spirito di una corretta relazione sportiva”. La giuria, esperta in addizioni e sottrazioni, gli ha dato dodici settimane, ne ha tolte tre perché Joe “ha un carattere in cui prevale la bontà e ha mostrato rimorso”, ma ne ha aggiunta una per il suo non specchiato passato disciplinare. Simili circostanze non sono state prese in considerazione per Tuilagi: quei due diretti al mento di Ashton (che non battè ciglio) si sono già perduti nei meandri del tempo.

Una serie di osservazioni: quando le partite non finivano sotto l’occhio di 28 telecamere, il gesto di Marler poteva affiorare soltanto se, a fine partita, durante libagioni (oggi sempre più contenute), Alun, compagno di Lions tra l’altro, gli avesse detto: “Joe, la prossima volta le palle te le strizzo io”. Invece, denuncia del capitano del Galles, sdegno di Wayne Pivac (“Non c’è spazio per queste cose nel nostro mondo”) e di un vecchio All Black come Jeff Wilson. Per fortuna John Kirwan, che non ha dimenticato lo spirito del vecchio rugby, non si è aggiunto alla lista dei Savonarola del XXI secolo: “Se ne son sempre viste, in campo e negli spogliatoi”.

Relativamente a quelle parti basse, Kirwan ha un terribile e indelebile ricordo: era in campo in quella che è passata alla storia come la battaglia di Nantes, quando i tacchetti di Ondarts tagliarono lo scroto di Buck Shelford causando la fuoriuscita di testicolo. Shelford, che aveva perso anche quattro denti, si fere ricucire e fasciare con un pannolone che si arrossò di sangue e tornò in campo, per uscire nel secondo tempo per una commozione cerebrale. Oggi la chiamiamo concussion. Polemiche roventi si accesero sull’asse antipodale tra Francia e Nuova Zelanda: l’affiorare dei termini “brutalità” e “violenza” vibrò un duro colpo al mondo dei magnifici e specchiati valori.

E così oggi la domanda è: qual sarebbe l’atteggiamento dei media, specie quelli che impiegano grosse cifre, di fronte a una seconda battaglia di Nantes? Quello immediato sarebbe accecare le telecamere, come avviene per i sempre più rari streaker. In seconda battuta, come è avvenuto in decine di occasioni per il pugilato, lanciare un campagna per l’abolizione del rugby. “Dopo mezz’ora eravamo rossi come papaveri”, è il ricordo più vivido della Mala Pasqua offerto da Marco Bollesan, poche parole per raccontare il mondo dentro una mischia chiusa o una maul avanzante.

E ora, in questo mondo così sicuro di sé e così terrorizzato, così pronto a voler elargire finte moralità, a combattere il virus dell’emulazione in uno scenario sempre più pappagallesco, basta un strizzatina di palle per scatenare l’epidemia delle stronzate.