Duribanchi / Ostaggi inconsapevoli di un virus

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Martedì 25 Febbraio 2020

 

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In un mondo globalizzato ed interconnesso, nessuno è ormai al sicuro. Da niente. Specie se quel “niente” si sviluppa in Cina: “Una farfalla che sbatte le ali a Pechino provoca un maremoto dall'altra parte del mondo”.

Andrea Bosco

Dovresti avere il cuore lieto per il primo posto il Coppa del Mondo di Federica Brignone. Anche se sportivamente ti dispiace che la migliore, la statunitense Shiffrin, distrutta per la morte del padre, ancora non se la sia sentita di ritornare in pista per difendere il suo trono. Dovresti rallegrarti per i due successi di Azzurra nel basket, confortato dai progressi di Pippo Ricci e di Akele, per la leadership di Michele Vitali, per il fosforo di Spissu, per l'infinita saggezza di Meo Sacchetti. Dovresti piangere per l'acclarata fragilità del calcio nostrano messo in ginocchio dal Coronavirus, ma colpevole di aver vissuto e di vivere come la cicala di Esopo: senza un domani.

L'emergenza sanitaria ha imposto misure draconiane: indispensabili per cercare di tutelare la salute dei cittadini. Ma l'emergenza-calendario (un muro contro il quale è andato a sbattere il Palazzo del calcio), è frutto dell'incapacità dei gattopardi di attuare vere riforme.

Compressi tra un campionato iniziato ad agosto inoltrato (e con il calciomercato ancora aperto), tra un torneo sospeso (non siamo inglesi) durante le festività natalizie. Ostaggi di una competizione a venti squadre, mai riformata, il calcio italiano si trova nell'eventualità di far disputare a porte chiuse una gara come Juventus-Inter. Neppure sarebbe un vulnus: solo una resa. Se il Palazzo del calcio non troverà una possibile data di recupero (in attesa che l'emergenza virus venga stoppata) per il match che storicamente è il più acceso e prestigioso dell'anno, condizionato dalle Coppe continentali, dalla Coppa Italia, dall'incombente campionato europeo, abdicherà di fatto al suo ruolo. Si consegnerà alle domenicali, domestiche beghe su arbitraggi e Var. Ai pugnali e ai veleni che quel sinedrio non si fa mai mancare.

Ma tutto diventa irrilevante di fronte all'incubo costituito da un contagio che ha portato alla blindatura di intere regioni e alla chiusura a Milano di cinema, teatri, musei, discoteche, pub, chiese e inevitabilmente impianti sportivi. Misure draconiane prese dopo una iniziale sottovalutazione del fenomeno. Non serviva interrompere i voli con le zone del contagio. Serviva fermare le persone che da quei voli scendevano, imponendo controlli e financo una quarantena. Misura indispensabile per prevenire.

Assieme al panico, all'ansia che ha portato i cittadini a svuotare supermercati e farmacie è scattata la quarantena economica. Mentre scrivo, Piazza Affari sta perdendo il 6%. E assieme al panico e all'ansia è scattato anche il razzismo: la caccia all'untore con gli occhi a mandorla. L'odiosa reazione che Don Lisander aveva ben spiegato ne “La storia della colonna infame”.

La cosa certa è che prima o poi il contagio finirà. Come sono finite le pestilenze di Roma, Milano, Venezia. Come sono finite la Spagnola o l'Asiatica. La cosa incerta è quando. E con quali costi in termini di vite umane. Le frontiere non si possono chiudere, Schenghen deve restare attiva: uomini e merci devono continuare a circolare. Il mondo deve continuare a consumare. Perché secondo il vangelo di alcuni celebrati economisti, la ricetta della felicità (sulla terra) è quella della crescita. Per la felicità dell'anima, ognuno si regoli come crede.

Peccato che le disuguaglianze sociali provochino guerre. Peccato che anche le intolleranze religiose provochino guerre. Peccato che l'avidità provochi crack economici. E che l'ottusità di chi non riesce a rispettare l'ambiente stia provocando i disastri che conosciamo. Siamo a fine febbraio e fa un caldo innaturale, con danni immani per l'agricoltura.

Nessuno sa da cosa o da chi il coronavirus sia stato provocato. Se sia stata la natura a ribellarsi o se (non vogliano gli dei), sia accidentalmente uscito da un laboratorio. Quello che è certo è che in un mondo globalizzato ed interconnesso, nessuno è ormai al sicuro. Da niente. Specie se quel “niente” si sviluppa in Cina. Come recita un abusato adagio: “Una farfalla che sbatte le ali a Pechino provoca un maremoto dall'altra parte del mondo”.

In questo momento di paura e sofferenza, abbraccio quanti, nel Paese stanno lavorando giorno e notte, medici, infermieri, personale paramedico, per garantire che il male non si estenda. E a tutti, anche ai lettori di questa rubrica, dico di avere fiducia nel nostro sistema sanitario che è tra i migliori del mondo. Affrontando le cose seriamente: possibilmente, per sdrammatizzare, con un sorriso. Scriveva Proust di “quell'agente patogeno, mille volte più virulento di tutti microbi: l'idea di essere malati”.

Duribanchi!