Fatti&Misfatti / Non provate ad aprire il vaso di Pandora

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Lunedì 3 Febbraio 2020

 

tessitori


“Che cosa credere? Allora dateci un martello per sbriciolare questo castello, non di legno come quello di Bojnice, non in pietra come quello di oggi, ma soltanto carta per imbonitori che pensano di farci impazzire”.

Oscar Eleni

Dallo zoo nel castello slovacco di Bojnice alla bella Argentina per andare a trovare Hernan Crespo che allena il Defensa y Justicia nella cittadina che prende il nome da Florencio Varela, scrittore, giornalista. Le terme nella fortezza, il sorriso di un giocatore bello e bravo svezzato nell’Italia ancelottiana, cresciuto qui dove, ogni tanto, resti sorpreso da chi vorrebbe mungere lo sport, convinto di pagare lui i debiti che devi fare per stare dietro a progetti che ti fanno trovare dietro l’angolo soprese, convinti di non averle meritate.

Per carità, gloria alle sciatrici, bella squadra, bel gruppo, ma ometti sperduti. Accidenti se sono state brave le nostre rugbiste e persino gli under, ma poi devi fare i conti, sempre in Galles, con lo zero della nuova Italia di Smith.


Ci si confonde su tutto. Una parte gioisce perché sembrava che soltanto a Roma avessero isolato il corona virus, gente meravigliosa, magari precaria a 1500 euro al mese, ma ecco il controcanto per far sapere che ci erano già riusciti anche in altri posti. Che cosa credere? Allora dateci un martello per sbriciolare questo castello, non di legno come quello del 1300 a Bojnice, non in pietra come quello di oggi, ma soltanto carta per imbonitori che pensano di farci impazzire se gli arbitri si parleranno attraverso un microfono, se vedendo oscuro il destino di certe discipline scopriamo il calcio a cinque, il tre contro nel basket.

Corsa sfrenata per far sapere che Kobe Bryant è stato anche nostro. Coccodrilli da ogni parte, pochi davvero ispirati come il Mamoli mandato sulla collina maledetta, pochi con memoria al veleno, la giornalista che pensava di essere una dura ricordando lo stupro, o quelli che vorrebbero farci credere che davvero ha pensato di giocare in Italia durante la chiusura per lo sciopero NBA, o la piccola schiera convinta che davvero volesse dare lustro a Milano, quando invece metteva la sua faccia per il padre alla ricerca ancora di se stesso come nei viaggi per l’Italia che lo ingaggiò, mentre Kobe imparava a capirci meglio di tanti che ancora oggi fanno confusione e si ricordano dei vivai perché in quelli, soprattutto Reggio Emilia, è cresciuto davvero uno dei grandi del basket moderno.

Certo Bryant ha fatto tanto sul campo, per molto tempo sarà ispirazione, ma nel suo viaggio altrove ci ha spalancato porte che sembravano chiuse: tutto il mondo lo ha cantato, tanti giornali ricordato, campione universale, dio degli stadi, dei palazzi sportivi capace di conquistare spazio anche dove se andavi a perorare la causa del basket sbuffavano, ti trattavano come un malato pericoloso.

Dovrebbero ricordare questo i triumviri che cercano una strada nuova per la Lega basket, dovrebbero tener conto di questo un po’ tutti, dirigenti di bocca troppo larga, giocatori con troppo tempo da dedicare ai tatuaggi e ai giochi elettronici per accorgersi che in molti si svenano pur di far arrivare stipendi in orario, bamboccioni che ascoltano soltanto gli adulatori di casa. Cercare nello sport la salute, fisica e mentale, ma attenti a non sbagliare indirizzo. Vi abbiamo detto di fare attenzione.

Nella ventesima giornata del campionato che il basket vive in maniera bisestile, mentre la Virtus può pensare alle sue fatiche di coppa, Italia, ma anche mondiale, sapendo di avere il primo posto in tasca, scopriamo che non tutti vendono fumo se Buscaglia a Reggio Emilia ha ridato un senso alla carriera di Fontecchio, se Pancotto, dopo aver portato in Nazionale Pecchia, ringraziando la scuola Vertemati a Treviglio, manda in campo un diciassettenne contro la Venezia infermeria, ma pur sempre campione d’Italia, facendoci scoprire tal Procida: 3 su 3 da 3.

Ora non sarà il nuovo Antonello Riva, ma intriga vedere questo coraggio nelle nuove generazioni, senza perdere di vista i vangeli se le giovanili conquistano titoli che mancano da troppo tempo ai professionisti di questa decade, perché in giro c’è gente che ancora lavora duro per insegnare non per vincere facendo la zonetta, sfruttando, mai insegnando davvero. A giocare, ma, soprattutto a vivere. Chi non imbroglia sa chi sono gli allenatori da miniera, quelli che danno tutto per consentire ai giocatori di crescere davvero.

Alcuni li facciamo andare in esilio, l’ultimo il Boniciolli spedito nell’Indiana dove, come tanti, avrà sorriso sentendo il presidente degli Stati Uniti, quello che non soltanto per demenza senile viene considerato meglio di Obama, felicitarsi con i Chief di Kansas City, campioni nel football, per aver onorato il Kansas anche se loro stanno nel Missouri. Certo noi che siamo abituati, da un po’ di tempo, all’ignoranza, non soltanto geografica, ci ridiamo sopra, tanto qui puoi dire tutto e il 15 per cento dei discendenti di Romolo e Remolo, come diceva un loro dotto portavoce, non crede all’olocausto, ma di sicuro sa tutto dei Giochi al Colosseo.

Mentre resta in vigore il cartello Italia povera, al posto di Povera Italia, abbiamo fatto un sondaggio sull’Italia del basket alle prossime Olimpiadi: non ci crede quasi nessuno, anche se Gigi Datome ha dichiarato di volerci andare in Giappone. Forse dopo i Giochi, purtroppo. Anche lui deve aver ascoltato radio presidenza: considerando la Serbia, in Belgrado, ostacolo troppo alto, meglio spostare lo sguardo su altri obiettivi. C’è un mondo anche senza Olimpiadi, quindi senza Azzurra fremebonda su SKY che si godrà invece le qualificazioni europee, partite, prove, verifiche, scoperte, ma senza l’ansia del risultato visto che organizzando a Milano un posto lo abbiamo già.

Loro, nel cielo televisivo, dove te la spiegano e te la cantano, diventeranno pure minacciosi se i tre incaricati dalla Lega insisteranno a dire in giro che il basket criptato è una palla al piede, invidiando lo spazio Rai per il volley, tutte le corse sulle strade e fra i campanili, il biliardo poco dopo il ciclismo trasmesso da ogni parte del mondo perché non si ferma mai la ruota. Certo alla RAI sghignazzano: ma cosa volete voi del tre per cento di share?

Il campionato alla domenica è un velatino sulle telecamere, no, non per certe partite mandate a stritolarsi contro il calcio, per aver scelto le meno interessanti, voi siete invisibili. Ce lo hanno detto persino qui a Milano nella settimana dove l’Armani faceva tre pienoni. Destino a spicchi e ancora dovremmo andare a Canossa, benedicendo Montanelli, Grandini e Biazzi Vergani, che nel primo anno al Giornale, ci regalarono due pagine intere per una tavola rotonda sul basket e il suo avvenire. Follie, ma qualcuno non ha dimenticato, per fortuna.

Pagelle …

… domandandosi perché in giro c’è gente stupita se il Ferrero della Sampdoria vuole vendere per ripianare i conti del cinema di casa, se Commisso, appena arrivato dagli Stati Uniti per dare a Firenze gioie come ai tempi di Bernardini, intona il ritornello sulla Juventus che sa sempre come farsi aiutare, anche se facciamo fatica a credere che sia già così autorevole come quelli di SKY alla moviola:

10 A Dino MENEGHIN che ha ricordato con stile il Bryant conosciuto a Milano e portato nella secondaria del Palalido per allenarsi quando fuori era torrido. Parole giuste, messaggi, per noi nostalgici il piacere di scoprire cinquant’anni dopo che i grandi lavorano sempre con la stessa ossessione: per Rubini e Gamba lo dimostrò il futuro campione NBA e senatore Bill Bradley, per i ragazzi, che oggi piangono sulla maglia giallo viola, il Kobe con l’elmo dei grandi.

9 A TESSITORI, cuore della bella Treviso, per averci risposto sul campo quando abbiamo constatato che nella lunga lista di azzurri per l’Europeo non avevamo centri. Lui si sta impegnando, Menetti ci lavora. Magari ci darà olio buono.

8 A PANCOTTO e BUSCAGLIA perché il loro lavoro dimostra che si può davvero far crescere anche i giocatori italiani. Sono a capo dell’ultima legione e chi è onesto sa dove cercare allenatori che non vivono soltanto per apparire.

7 A JUAN FERNANDEZ e l’immortale TRAVIS DIENER per aver dato gioia nel loro accampamento: il primo ridando ossigeno a Trieste appena dopo il colpaccio di Pistoia a Roma, il secondo per aver reso di seta l’asciugamano del Sacchetti che dopo un quarto vedeva Cremona doppiata da Reggio Emilia.

6 A TRENTO dove anche Brienza ha trovato la stessa fonte che un tempo rendeva le squadre di Buscaglia pericolosissime nel ritorno. Lui non ha gli stessi uomini delle due finali scudetto del predecessore, ma già aver resistito, avvicinandosi all’ottavo posto, è un bel lavoro.

5 Alla FIP e alla nuova LEGA se non troveranno un accordo per armonizzare calendari dove certe squadre vedono cadere i loro uomini come i cavalli spinti troppo da fantini incapaci. In A2 hanno idee, sanno valorizzare, quindi fare quadrato, non è vero che solo una serie A allargata rende tutti più importanti, insomma gente che conta come dicono a scassaquindici o su certi opuscoli propagandistici.

4 Alle SOCIETA’ che ancora non mandano in campo i ragazzini per dare ristoro ed un asciugamano agli arbitri. Meglio di certe trovate per allietare un pubblico che vorrebbe parlarsi e non essere assordato.

3 Agli ALLENATORI che magari hanno preteso, spesso giustamente, un assistente in più, trascurando però di rafforzare lo staff medico: con questi giannizzeri che mangiano e bevono di tutto serve controllo continuo perché non può essere colpa dei preparatori atletici se in troppi zoppicano. O no?

2 Ai gamberi di ROMA che dopo una partenza sorprendente sono caduti nella trappola tipica di chi esagera nei complimenti sapendo di mentire: erano imprese prima, ma attenti a cercare un solo colpevole.

1 Al GUARDIANO DELLA COLLINA DEI CILIEGI, bel libro di Franco Facciani segnalato dal grande Parodi su un atleta giapponese che “tradisce” imperatore e tifosi ai Giochi di Stoccolma 1912 perché il mondo intorno preferiva usarlo come eroe dell’immaginario senza pensare che ci si debba sempre allenare, anche sulle navi in viaggi senza fine. Ci ricorda troppe storie nostre, come quegli attori giovani finiti poi malissimo, come giocatori che alzavano i tetti al primo tiro giusto e poi non tenevano una palla e un avversario.

0 A VENEZIA che sembra avere anche più guai fisici di Milano, non tanto per la sconfitta di Cantù, ma per quel pasticciaccio brutto contro il Peristeri al Taliercio. Certi giocatori dovrebbero stare ai Piombi, non nella vetrina dei loro agenti.