Duribanchi / Il ragazzo che faceva invidia agli Dei

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Martedì 28 Gennaio 2020

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“Kobe era di tutti. Di quelli che lo amavano e di quelli che ‘sportivamente’ aveva punito. Era troppo bravo, troppo ‘bello’ da vedere, troppo determinato, troppo vincente per non innamorarsene. Che infinita tristezza.”

Andrea Bosco

Cara pallacanestro, te lo sei “ripreso”. Lui ti amava, visceralmente. Ma anche tu divinità del parquet lo amavi probabilmente troppo, per sopportare di non vederlo più protagonista. La vita sa essere meravigliosa e contemporaneamente atroce. E gli dei, come spiega Erodoto, sono sempre lì, corrucciati ed “invidiosi” della fama e del successo degli umani. Ma voglio pensare, cara pallacanestro, disciplina intelligente, disciplina da “scacchisti”, disciplina dove l'impossibile, a volte diventa “possibile”, dove la leggenda possono scriverla anche i Davide come Hickory e non sempre i Golia, tu abbia voluto riprenderti Kobe per troppo amore.

È l'unico pensiero che rende meno insopportabile un evento tragico e ingiusto come la morte di Kobe e di una delle sue figlie Gianna Maria, tredicenne talento dei canestri. Un elicottero, la nebbia, il fato, l' “invidia degli dei”, forse. Dicevi Kobe e non serviva aggiungessi Bryant: tutti sapevano di chi parlavi. Dicevi Black Mamba ed egualmente era chiaro a chi ti riferissi.

Un grande che era stato di tutti. Qualche istante dopo che i TG hanno cominciato a diffondere domenica sera la notizia, mia figlia che non segue il basket, che non ho mai portato a vedere una partita, che al massimo ha visto il sottoscritto, spadellare al campetto del Parco Sempione, mi ha mandato un messaggio: “Papà, è morto Kobe: che infinita tristezza”.

Kobe era di tutti. Di quelli che lo amavano e di quelli che “sportivamente” aveva punito, ai quali “sportivamente” aveva arrecato dolore. Era troppo bravo, troppo “bello” da vedere, troppo determinato, troppo vincente per non innamorarsene.

In una settimana nella quale l'articolo senza peli sulla lingua di Sergio Tavcar (che Oscar Eleni cortesemente mi ha girato) ha posto riflessioni sul barnum NBA, sulla “regular season”, sui pallavolisti prestati ad un basket fatto di schiacciate inutili, dove il gioco “interno” è praticamente sparito, l'essenza di Kobe cestista è un manifesto di cosa la pallacanestro non dovrebbe mai perdere di vista.

Kobe aveva “copiato” qualche movimento da Jordan. Così come Irving ha cercato di copiare qualche movimento da Kobe. Ma il gioco in post basso era totalmente made in Kobe. Era un solista, ma anche un uomo squadra: soprattutto era un leader.

Scrivere delle sue gesta sarebbe retorico: troppe, troppo grandi, alcune inarrivabili. Era americano ma anche profondamente “italiano”. Era tifoso del Milan, ma era seguito da Alex Del Piero e da Cr7. Era Kobe, capace di mettere d'accordo nel cordoglio Obama e Trump. Non perché fosse un uomo “facile”. Semplicemente era “troppo” per poter far arricciare il naso a qualcuno.

Recita un verso di Orazio: “Omnes una manet nox / tutti ci aspetta una sola notte”. La morte è inevitabile. Ma qualcuno, come Kobe, riesce a “sopravvivere”. Nel ricordo di tutti.