I sentieri di Cimbricus / I cento anni di "faccia di pietra"

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Sabato 4 Gennaio 2010

 

nurmi

 

L'anno nuovo e i suoi anniversari (o presunti tali), con l'impegno di evitare l'ovvio che già non mancherà da parte di certi trovatori molto gonfi di sè. Tentativo azzardato, certo, quasi uno slalom nella storia. Ma da celebrare.  

 

Giorgio Cimbrico

Prendo nota che nella sua invadenza il VAR verrà limitato (punte di gomito o di ginocchio, mezze anche, prepuzio, non verranno più presi in considerazione) e spero che altrettanto verrà deciso con gli interventi del TMO rugbystico. La tregua, chissà: mai stato troppo ottimista. Di questi tempi, men che meno. Assolto questo compito – l’ossessione dell’esattezza era l’oggetto della mia ultima “lettera persiana” , passo agli anniversari previsti per quest’anno e che nessuno, a parte noi, membri della confraternita, celebrerà.

150 anni: evito a piè pari Porta Pia e mi dirigo verso un’identica scadenza temporale, i rovesci di Napoleone III a Gravelotte, St Privat e Sedan che portarono alla caduta della Francia, alla nascita della Germania, con umiliante incoronazione del novello Kaiser a Versailles, e contribuirono alla nascita di alcuni tra i più bei racconti di Maupassant, in particolare “Palla di Sego”, da cui poco più di sessant’anni dopo John Ford avrebbe tratto “Ombre Rosse”. Titolo originale, “La Diligenza”. Gli italiani sono maestri nello stravolgere i titoli.

100 anni: è la scadenza secolare della prima medaglia d‘oro di Paavo Nurmi, strappata ad Anversa, sui 10.000, a Joseph Guillemot, reduce da un robusto pasto al termine del quale venne avvertito che, per volontà reale, la gara era stata anticipata di un paio d’ore. Faccia di Pietra, che le aveva buscate sui 5000 dal francese, accanito fumatore, vinse per un metro e mezzo e subito dopo si vide recapitare nei pressi dei piedi il contenuto dello stomaco del transalpino. Naturalmente non fece una piega. Molti anni fa quel buonanima di Giulio Signori scrisse che Nurmi aveva la maschera dura del giocatore di poker. Ecco, appunto.

75 anni: fine della seconda guerra mondiale. Per chi vuole approfondire un po’ di orrori, “Mattatoio 5” di Kurt Vonnegut (prigioniero di guerra, era a Dresda, visse l’Apocalisse che distrusse una delle città più belle del mondo e diede una mano nello smaltimento di quel che rimaneva dei morti) e “L’inferno di Treblinka” di Vasili Grossman, primo reporter a entrare nel campo di sterminio. Un piccolo libro che rimane inciso dentro.

50 anni: ho già intravvisto che il culmine delle celebrazioni coinciderà con Italia-Germania 4-3. Ho vissuto quel giorno e ne ho un ricordo piacevole ma sono anche sicuro che verrà raccontato e ricordato da certi trovatori molto sicuri di sé, molto compiaciuti, e così mi rifugio in altri lidi. Per i più stretti aficionados di atletica, i cinque record del mondo, uno sui 100, tre sui 200, uno sui nuovi 100hs, di Chi Cheng, stella di Taipei, atleta dell’anno per l’Associated Press. Vecchi collegi che ne capivano.

25 anni: la vittoria del Sudafrica al Mondiale di rugby, all’indomani della fine del lungo cammino verso la libertà. Il titolo dell’autobiografia di Nelson Mandela non viene pescato a caso. E’ il trionfo del Madiba, che per un volta non indossa un camicione multicolore, ma la maglia numero 6 di Francois Pienaar, è il gentile monito a non perseguire la strada della vendetta e l’invito, rivolto ai colpevoli, di scovare umanità ed espiare.. Subito dopo, in agosto, la grazia strabiliante di Jonathan Edwards, 18,16 alle 17,30, 18,29 alle 17,45 in un giornata perfetta di estate al nord. Chi era all’Ullevi di Goteborg gli è grato per sempre.

20 anni: l’Italia gioca la sua prima partita nel neonato 7 Nazioni e batte la Scozia, campione del 5 Nazioni appena affidato all’archivio della storia. Dalle Alpi a Lampedusa è la scoperta del rugby. Dopo un’alba così abbagliante, il prosieguo sarà a tinte più buie, a volte fosche. A fine estate, Sydney, la sera dei 112.524 allo stadio olimpico per ia vittoria di Cathy Freeman, il momento della riconciliazione, più o meno plastificata, tra Australia bianca e Australia nativa. Ricordo anche la lotta furibonda e magnifica tra Haile Gebrselassie e Paul Tergat: la spuntò Gebre per 9 centesimi. Decisi di non viverla in tribuna stampa ma nella curva kenyana ed etiope. Il pezzo riuscì benissimo, striato di echi veri, di emozioni autentiche.