Duribanchi / Come hanno reso triste Venezia!

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Venerdì 15 Novembre 2019

 
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“A Venezia il crimine presenta aspetti di una inaudita violenza. Crimini contro gli uomini, contro la salute, contro le cose, contro la bellezza. Se Venezia sarà distrutta, l'Italia si ritroverà imputata indifendibile sui banchi del tribunale della Storia”.

Andrea Bosco

Io c'ero a Venezia nel 1966 quando l'acqua arrivò oltre i 190 centimetri d'altezza: ci abitavo. Ero lì quando la città arrischiò di collassare. Con il mare che fece saltare caldaie di riscaldamento, tubature dell'acqua, della luce, del gas, del telefono. L'intera città per lunghe, drammatiche ore “prigioniera in casa”. Oggi, anno del Signore 2019, lo scempio si è ripetuto. In questa pagina parliamo abitualmente e prevalentemente di sport. Parlerò, stavolta, di crimini: crimini contro l'umanità. L'Italia è un paese di impuniti criminali: dall'Aquila a Taranto, da Matera a Venezia.

A Venezia il crimine presenta aspetti di una inaudita violenza. Crimini contro gli uomini, contro la salute, contro le cose, contro la bellezza. Se Venezia sarà distrutta, l'Italia si ritroverà imputata indifendibile sui banchi del tribunale della Storia.

Io, veneziano di Campo San Boldo, ascolto e leggo molte cose: alcune sacrosante. Accanto alle assurdità, alle banalità, alle sciocchezze dei noti “pavoni da catastrofe”. Non pretendo di spezzare il pane della verità. Non ne esiste una, solamente. E io sono solo un giornalista. Cercherò di fare informazione. Per chi non sa, soprattutto. Per chi pensa, magari “che poi tanto l'acqua se ne va”. Se ne va. Ma è salata. Non la “lavi” con l'acqua dolce. La salsedine si cristallizza e corrode fino a far diventare persino il granito, polvere sfarinata. Ci vogliono i solventi e una grande, lunga, costosa manutenzione. E a volte neppure basta.

Ora, tutti reputano che l'unico problema sia quello delle maree. Sbagliato: Venezia ogni anno sprofonda di qualche millimetro. E' da secoli che sprofonda. E da secoli le acque stanno attentando alla sua integrità.

Non rammento più se il documento sia conservato all'Archivio di Stato ai Frari o alla Biblioteca Marciana a San Marco, ma è del 1672 a firma Augustino Martinello. Che propose al Doge Contarini “un muro di archi alle bocche di porto da alzare e bassare per regolare le acque in caso di bisogno”. L'idea, neppure era nuova: un secolo prima il Senato della Repubblica si era rivolto a Leonardo da Vinci che gli aveva mandato un progetto di “paratie”: una sorta di Mose. Archiviato perché reputato costoso. Così come fu archiviato quello di Martinello.

Figura scialba, Contarini aveva, all'epoca, 87 anni (morirà novantenne) e poca propensione ad occuparsi della “acqua alta”: Venezia sfinita da millanta guerre e da faide interne, aveva i conti in rosso. Sua primaria necessità era, all'epoca, quella di riattivare i traffici marittimi. E' possibile frenate le acque e contenere il bradisismo? Con le moderne tecnologie, è possibile. A patto di non barare. A patto di non raccontare frottole.

Quelle veicolate da politici, da autorità di ogni tipo (e in realtà assai poco autorevoli), da cicisbei della notizia.

L'emergenza climatica è sotto agli occhi di tutti. Negarla o gridare “dagli a Greta” è patetico. E inutile. Venezia da secoli è in pericolo. Ma quel canale dei petroli realizzato per far entrare le petroliere (anche a 60 km all'ora) verso le banchine di Marghera (e che oggi si vorrebbe ulteriormente scavare per consentire il passaggio dei “mostri” da 100.000 tonnellate che abitualmente navigano davanti a San Marco) è stato, per dirla con l'autore di “Sos-Laguna”, l'ingegnere idraulico Luigi D'Apaos “il più devastante misfatto idraulico del Novecento”.

Come a Taranto il dilemma è tra tutela del posto di lavoro e salute dei cittadini, a Venezia il problema è: senza petroliere e senza grandi navi (colme di facoltosi pensionati) che fine farebbero i 20.000 lavoratori che con Marghera e le Grandi Navi, campano?

Lasciamo stare, tuttavia, il turismo: 30 milioni di turisti l'anno, una città che può gestire al massimo 150.000 persone alla volta, non li può reggere. Meno turisti e più residenti. Meno visitatori “mordi e fuggi” e più panetterie, più case per chi a Venezia vuole risiedere, più attività sociali. Non dico più impianti sportivi: la polemica è antica e non è il caso. Anzi un abbraccio ai giocatori della Reyer che hanno vinto in Coppa, anche per la loro città. Un apprezzamento a Tacopina presidente del Venezia che è messo a disposizione della cittadinanza.

Torno all'Acqua Granda: il problema non è irrisolvibile. L'ex presidente dell'Autorità Portuale, Paolo Costa, aveva avuto l'idea vincente: un terminal costruito in mezzo all'Adriatico, di fronte a Venezia, per le merci provenienti in Europa dall'Oriente con un retroterra di servizi che avrebbero coinvolto parte del Veneto orientale. Tradotto: un'isola galleggiante di quelle che i cinesi costruiscono in un paio d'anni senza andare alle calende greche.

Mai: no isola artificiale, no entroterra, no merci. No a tutto. Le rammento le polemiche, allora. D'altra parte ci fu uno (ma uno con un gran nome, mica il primo bischero di passaggio) che aveva proposto per risolvere il problema dell'acqua alta di “sopraelevare l'intera Venezia”. E a lungo fu preso “sul serio”. Specie da quelli che oggi si sono dimenticati. Di averlo preso “sul serio”.

Non è il canale dei petroli a produrre le maree. Ma quel canale ha contribuito a sbiellare l'equilibrio dell'ecosistema lagunare. Qualcuno poteva opporsi? Se l'attuale Magistrato delle Acque non contasse poco più del due di briscola si sarebbe potuto.

Il Magistrato delle Acque della Serenissima non un canale per navi, ma neppure un “viottolo” avrebbe permesso. Lo nominava il Consiglio dei Dieci: era uno di loro. Ma una volta nominato la sua parola era legge. Aveva un potere assoluto, superiore a quello del Doge. E la sua “inflessibilità” era leggendaria. Nessuno nell'arcipelago delle barene poteva andare a caccia o a pesca, ormeggiandosi ad una briccoletta. Perché recitava il proverbio: “Palo fa palùo: il palo produce acqua stagnante”. Se lo facevi ti tagliavano la testa. Se gli spioni del Senato ti scoprivano solo a “parlare” delle acque, ti denunciavano e parimenti ti tagliavano la testa in piazza San Marco. L'Acqua era sacra. Solo il Magistrato e i suoi tecnici potevano occuparsene.

Oggi le teste restano attaccate al collo. I politici ladri che hanno, sul Mose banchettato, al massimo sono ai “domiciliari”. Ha scritto Fabio Tamburini sul Sole-24 Ore di corruzione: “Perché gli intrecci tra politica ed affari hanno bloccato a lungo i lavori, rendendo inevitabile la decapitazione della struttura che lavorava all'opera”. Ha scritto Tamburini di burocrazia: “Perché come possono testimoniare i commissari chiamati nel tempo ad occuparsene, sono costretti a seguire più cause legali che progetti d'ingegneria, prigionieri di procedure amministrative e raffiche di ricorsi al Tar”.

Già, i commissari, Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola, finiti nel tritacarne per non aver autorizzato prima dei 187 centimetri dell'ultima mareggiata, i collaudi sulle paratoie del Mose.

Quell'opera: costata oltre cinque miliardi di euro dopo decenni non è ancora stata completata. Manca il 7%, spiegano i tecnici. Ma soprattutto è mancato il “collaudo”. Perché dopo lo scandalo che ha coinvolto l'ex presidente della Regione Galan e l'ex sindaco di Venezia Orsoni (Francia o Spagna, come dice l'Arlecchino di Goldoni, “basta che se magna”) da cinque anni i lavori sono fermi, i soldi sono terminati, le paratoie si sono in parte arrugginite. Ed è venuto fuori che la manutenzione (che da 5 anni nessuno fa e che doveva farsi “ogni cento anni”) costerà circa 80 milioni di euro l'anno.

Ora: nessuno è in grado di dire se quelle paratoie che si possono elevare (a scomparsa fino a 3 metri di altezza), funzioneranno. Perché è venuto fuori che le cerniere delle paratoie invece di essere “fuse in ghisa” sono state viceversa “saldate”. Nonostante il parere contrario di uno degli esperti (Lorenzo Fellin) del Comitato Tecnico del Consorzio Venezia Nuova.

Secondo Fellin (come spiega Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera) per una questione di “schei”. La Mantovani, azienda master del Consorzio, infatti, si racconta, scelse di affidare la saldatura ad una ditta padovana che da poco era stata dalla Mantovani acquistata: e che non aveva la tecnologia per operare in regime di fusione in ghisa. Conflitto di interessi?

Ma c'è di più. Quei bravi cristiani dei Commissari in un paese dove alla fine paga chi si prende qualche responsabilità ma mai i veri colpevoli (che le responsabilità rifuggono), avevano un dubbio: il sistema di paratoie vibrava come il motore di una Trabant oltre i sessanta all'ora.

E' stato scoperto che l'acciaio usato per i test delle 158 paratoie non è il medesimo di quello poi impiegato per la realizzazione dell'opera. Quello dei test proveniva dalle Acciaierie Valbruna di Vicenza, acciaio inox superduplex. Quello poi impiegato per la costruzione del Mose (scrive il professor Gian Mario Paolucci, docente di Metallurgia all'Università di Padova, incaricato di una relazione sulle “cerniere”), viceversa “proviene, probabilmente dall'Est, di lega diversa e di costo ovviamente inferiore”. Non probabilmente: certamente. Non tutte, ma almeno 57 sono arrivate dalla Croazia: ditta Brodosplit di Spalato.

Faccio il giornalista, cerco le notizie. Non ho competenza per affermare che l'acciaio di Spalato sia peggiore di quello di Vicenza. E neppure se la fusione in ghisa sia migliore rispetto alla saldatura.

Ma i Commissari nel dubbio, immagino abbiano rinviato il collaudo. Non si danno pace e stanno vivendo in queste ore le pene dell'inferno. Quello che “non hanno fatto” tuttavia ha una sua ratio: nessuno sa se dopo cinque anni di incuria le paratoie potrebbero “reggere”, una volta innalzate. Nessuno sa quanto quell'acciaio sia deteriorato. Ma soprattutto: nessuno li aveva autorizzato a farlo, quel collaudo. E come Tamburini ha spiegato, la burocrazia ha mille rivoli, divieti, impedimenti. Questo è il paese dell'Azzeccagarbugli: dove si va al Tar anche per contestare la scelta di chi lava le scale nel tuo condominio.

Il governo ha promesso che entro il 2021 i lavori del Mose saranno completati. Nel frattempo Venezia potrebbe scomparire. Il vizio italico è quello di chiudere la porta quando i buoi sono fuggiti, Quindi ci dovrà pensare San Marco, altrimenti saranno “…azzi amari”.

Lo dico da veneziano che sta soffrendo. E che a San Aponal ha ancora una casa: quella dove abitavano i miei genitori. Ma non me la sento di avercela con i Commissari: potrebbero aver evitato un guaio anche maggiore. E in ogni caso questo è un paese di santi, poeti e (un tempo) di navigatori. Rari gli eroi. Ma perché indignarsene? In fondo, come spiegava Romain Rolland, “eroe è chi fa quello che può”.