Italian Graffiti / Si sa, gli esami non finiscono mai

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Giovedì 26 Settembre 2019


spadafora-facebook


"Se Malagò personalizza lo scontro non andremo da nessuna parte. La riforma non deve essere pro o contro qualcuno, ma per lo sport. Le politiche di indirizzo si fanno al ministero e non al CONI": parola di (neo)ministro dello sport.

 

Gianfranco Colasante

 

Quando ieri nel pomeriggio il nuovo ministro delle Politiche giovanili e dello Sport del governo Conti-bis - il 45.enne Vincenzo Spadafora da Afragola (foto tratta dal profilo Facebook) - ha fatto il suo ingresso nell'atrio dominato dalla sinuosa Tedofora di Greco, ad attenderlo ha trovato solo Novella Calligaris che lo intervistava per la RAI. "Prima volta al CONI?", domanda d'esordio. "Da ministro si. Ma chiarisco subito, sono qui solo per Sport e Salute". E poi, dopo questa premessa, obiettivo virato nettamente verso i risvolti sociali e ricreativi dello sport che fanno tanto M5S. Cioè quelli, se vogliamo, meno impegnativi e dei quali si può sempre dire tutto e il contrario di tutto. Tanto chi se accorge o se ne ricorda? Come approccio, niente male o, se volete, in linea con le premesse e a meno d'un anno dai Giochi di Tokyo.


Oggi, potenza dei trasporti, il ministro ha replicato e "postato" da Doha, scenario mondiale e sede di Casa Italia della federazione di atletica (invero, come primo impegno istituzionale, s'era recato a Monza per la F1 e aveva portato bene: chissà ora ...). Certo, i primi giorni del neo-responsabile dello sport non devono essere stati proprio noiosi. Mestiere più rischioso e instabile del ministro dello sport, in Italia sembra ce ne siano pochi altri. Il che non va proprio a vantaggio del settore, nè per i progetti da impostare nè, tanto meno, per la continuità. Non per nulla negli ultimi quindici mesi sulla tolda di comando se ne sono alternati tre: Luca Lotti per i democratici, Giancarlo Giorgetti per i leghisti, ora Spadafora per i pentastellati. Tre schieramenti politici avversi, tre visioni difficilmente sovrapponibili, malgrado gli equilibrismi di potere. Il tutto, ripeto, in quindici mesi.


Per di più, l'ultimo arrivato, aveva tenuto subito a chiarire con onestà che di sport non sapeva molto, anzi non se n'era mai occupato. Di più: a leggere un urticante articolo di Francesco Borgonovo apparso su La Verità dopo la sua nomina (titolo: "Il balduccino arcobaleno seguirà i giovani"), gli interessi del neo-ministro hanno sempre veleggiato verso lidi diversi e non sempre coincidenti (anche se ha avuto per quattro anni la presidenza di Unicef-Italia).


Ad onor del vero, s'era subito messo a studiare i dossier, come aveva dichiarato. Che, se restiamo allo sport e non solo ai giovani che il paese produce in sempre minore quantità (22% di nati in meno nell'ultimo quinquennio), non sono pochi e di non rapida soluzione. Basterebbe dare un'occhiata fuori dalla finestra e bearsi degli scenari sempre nuovi che propongono sport come calcio o basket: per restare alle punte avanzate del professionismo che da mezzo secolo nessuno vuole aggiornare (salvo vietarlo - ma si fa per il loro bene, verrebbe da dire - alle ragazze) o al razzismo, alla violenza. Ma anche alla siderale distanza che separa oggi le federazioni, frutto della minacciata riforma e dei suoi presunti effetti economici. Altro?


E pare proprio che i risultati si siano visti da subito, se è vero che il buon Malagò - per colpe non proprio tutte sue - s'è visto inopinatamente trascinato in una sorta di guerra dei bottoni, già conclusa con lo smazzettamento dei biglietti omaggi. Attaccato da destra e da sinistra, e qui mi riferisco alle vecchie e care direzioni stradali e non ad articolate posizioni politiche, ha provato a resistere chiudendosi in uno sdegnato isolamento. Anche perchè deve aver capito da che parte tira il vento M5S (non è stato il rustico Alessandro Di Battista a liquidarlo come "coatto" nel suo ultimo libricino?). Tendenza ribadita dallo Spadafora-pensiero riportato tre giorni fa dal Corriere della Sera: "Quando Malagò attacca Sport e Salute attacca lo Stato". Lapidario. Da far invidia a Richelieu.  


Fino ad incassare con rassegnato british aplomb anche lo sgarbo che gli infligge ora il ministro dello sport che, entrando nella casa-madre del CONI, ignora l'istituzione e la sua storia ultrasecolare, precisando di trovarsi lì per rendere visita a Rocco Sabelli, l'uomo che i nemici/ex-alleati della Lega hanno posto sulla poltrona di Sport e Salute. Un nome, quest'ultimo, che, come ha scritto Aldo Cazzullo, evoca l'insegna di una SPA paesana. Mentre a me, più modestamente, suggerirebbe una beneagurante risposta ad un rumoroso starnuto.


Ma se di ritorno da Doha, il ministro riprendesse a studiare? Si sa, gli esami non finiscono mai. A volte, anche per i ministri.