I sentieri di Cimbricus / Nel labirinto delle storie digressive

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Martedì 20 Luglio 2019

 

afganistan

 

Il calcio non ha mai smesso di martellare costituendo un sicuro rifugio per menti stravolte, per cacciatori di selfie e per destinatari di nuove nomenclature: la plusvalenza ha preso il posto di un bel gesto.

 

Giorgio Cimbrico

Influenzato da una raffica di libri di Kurt Vonnegut, visionario scrittore di Indianapolis (un consiglio per conoscerlo? “Mattatoio n. 5”), mi trovo calato in una delle sue sghembe, strane, assurde storie piene di digressioni, di tentacoli, di momenti di irresistibile ilarità, di bivii che spesso non portano da nessuna parte. Trump vuol comprare la Groenlandia - che sarebbe bene chiamare con il suo vero nome, Kalalit Nunaat, la Terra degli Uomini - per finire di scongelarla, trasformarla in una miniera, in una raffineria e potenziare le basi militari già esistenti.


L’età di Stranamore non è mai tramontata. E il vecchio Don è il tipo da incoraggiare il progetto per un “ordigno fine di mondo che renderà Terra pelata come luna” (citazione dal discorso dell’ambasciatore sovietico nel film di Kubrick).

A Hong Kong il popolo degli ombrelli ha capito e qualcuno sventola l’Union Jack. Attacchi di nostalgia quando la città, con Gibilterra, Aden, Singapore, era uno dei cardini e una delle perle. Ricordo che quando nel ’97 venne l’ora dell’ammainabandiera, Ian Morris scrisse: “L’impero è andato”. Era già andato prima, ma Hong Kong era l’ultimo orizzonte perduto.

Con le Fiji si vola. A meno di un mese dal calcio d’inizio dei Mondiali di rugby – in Giappone: dopo i Signori degli Anelli, ecco i Signori degli Ovali - degno di uno studio socio-storico-antropologico è che Inghilterra (Cokanasiga), Francia (Raka), Australia (Koroibete) e Nuova Zelanda (Reece) sulle ali avranno giocatori fijiani, approdati dai più diversi canali. Cokanasiga, ad esempio, è figlio di un militare dell’esercito britannico. Per gli isolani e per i gurkha nepalesi la porta è sempre aperta.

Gli afghani hanno un meraviglioso gioco che si fa a cavallo, strappandosi l’un l’altro un montone morto, sostituto oggi da una pelle del detto animale. Vengono organizzati tornei ad alta quota, con la partecipazione di kirghisi e di tajiki che delle frontiere se ne sbattono.

I luoghi dove vengono accolti i rifugiati si chiamano hot spot.

L’hot sport, il calcio, non ha mai smesso di martellare costituendo un sicuro rifugio per menti stravolte, per cacciatori di selfie e per destinatari di nuove nomenclature: la plusvalenza ha preso il posto di un bel gesto, di una rincorsa, di un’invenzione, di un volo.

L’addio a Felice Gimondi mi ha riportato a quand’ero ragazzino e la prima cosa che m viene in mente è quel mazzo di fiori fasciato di cellofan (profumo di Paolo Conte…) che gli diedero per il giro d’onore al Parco dei Principi.

La Russia gareggia in tutti gli sport meno che in atletica. O meglio, i russi gareggiano ma sotto l’etichetta Ana, atleta neutrale autorizzato. Sembra che porcherie ne abbiano combinato dappertutto e allora perché il bando è solo in atletica? I buoni cronisti di giudiziaria sportiva, dagli archivi ordinati,, possono rispondere meglio di me. Finire ai margini e oltre equivale a un progressivo crollo interno. Andate a cercare i risultati dei campionati nazionali e capirete. Tutto molto triste.  

Dieci anni fa Usain Bolt (Vonnegut lo avrebbe descritto come inviato dal pianeta Zag o dalla galassia Kan Kan o assemblato dalla BarryTron Corporation), correva in 9.58 e 19.19. Da allora il tempo si è fermato. Ed è andata bene così. In altitudine e con due metri in coda, quanto?

Tra qualche giorno torna in pista Filippo Tortu. L’unico legame con Vonnegut è che suo padre Salvino, da eccellente aficionado di fiction, conosce quei libri. Ma quel che ha prodotto – e affinato – è un esemplare di naturale umanità. Bene così.