I sentieri di Cimbricus / Non e' piu' tempo della lepre di pezza

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Lunedì 10 Giugno 2019

 

wa 


I cambiamenti sconvolgono le normalità che hanno garantito l’esistenza: arriva la notizia che la IAAF è morta, che è nata una nuova sigla, più breve, più adatta a quel che è ormai un brand: WA, World Athletics. Globalizzare è la parola d’ordine.

Giorgio Cimbrico

Leggo che a Hengelo, giochi in onore della brusca e decisa Francina Blankers Koen, non sono state usate lepri  o scanditori di ritmo, come dicono gli inglesi – ma un fascio luminoso che correva sul cordolo, ad indicare l’efficacia dell’andatura. Leggo anche che si è svolta una gara tra un’atleta e un’apparecchiatura ad energia solare. E così, dopo esseri detto che avrei preferito una lepre di pezza, proprio come quella inseguita dai levrieri all’osso che amava dipingere Pisanello, salto il ruscello della modestia per ricordare che anni fa, prima che il suo nome finisse nella cronaca nera e subito dopo in quella processuale, scrissi un racconto cui benevolmente, il mio giornale, il Secolo XIX, dedicò un’intera pagina, illustrata con un bel disegno.

Il titolo – l’Isola del dottor Pistorius – risentiva della lettura di uno dei più brillanti parti letterari di H.G. Wells: l’Isola del dottor Moreau, lo scienziato che voleva trasformare le bestie in uomini. L’ambizione si fermò a una perigliosa metà, con catastrofici effetti finali.

In sommi capi, dopo aver conquistato il titolo dei 400 a Londra 2012, Pistorius si ritira su un’isola inaccessibile dove, con il supporto di un’equipe scientifica di prim’ordine e di una finanziaria con pochi scrupoli, progetta, costruisce e mette in produzione braccia meccaniche per i lanciatori, occhi con elaborati sistemi di puntamento per i tiratori, aste di materiali così raffinati da permettere ascese attorno ai 7 metri e altre meraviglie del possibile, per usare la definizione coniata da Fruttero e Lucentini per memorabili antologie di fantascienza degli anni Sessanta e Settanta che i suiveur conservano con immutata gratitudine. Quei racconti sono la realtà in cui siamo finiti.

C’è, in questo nostro tempo, un ricorso asfissiante a quel che la tecnologia può offrire, a costo di affidarsi alle macchine, a delegare a loro il potere – e non la gloria – a renderle padrone. Lo scenario, in questo caso, è il primo Terminator. Di pari passo, uno spasmodico inseguimento all’esattezza che intende cancellare i magnifici dubbi che hanno disseminato la nostra vita di appassionati, ingenui voyeur.

Domande senza risposte, come quelle che si facevano i ronin, samurai senza padrone: il Var avrebbe cancellato il gol di Geoff Hurst che decise Inghilterra-Germania, ancora Ovest, il 30 luglio 1966 a Wembley alla presenza di una quarantenne Elisabetta II? Il Tmo avrebbe stabilito che la meta delle mete, quella di Gareth Edwards nell’indimenticabile Barbarians-All Blacks del 27 gennaio 1973 a Cardiff, doveva essere annullata per un passaggio in avanti? Su gesti del genere abbiamo alimentato la nostra vita, gli entusiasmi, le gioie, i ricordi, lunghe chiacchiere tra amici, solidali e appassionati. Oggi non è più così. Oggi è l’età dei riesami fotogramma dopo fotogramma, all’ultimo pixel. Che tristezza.

I cambiamenti sconvolgono le normalità che hanno garantito l’esistenza. Proprio mentre scrivo queste riflessioni arriva la notizia che la IAAF è morta, che è nata una nuova sigla, più breve, più adatta a quel che è ormai un brand: World Athletics. Globalizzare è la parola d’ordine: l’International Rugby Board, accusato per anni di essere un’accolita di parrucconi, è diventato World Rugby, accolita di affaristi che hanno messo in archivio la memoria e antiche chanson de geste. IAAF stava per International Athletics Amateur Federation. Cancellato l’anacronistico termine Amateur, è diventata International Association of Athletics Federations. Ora WA. Where Athletics? Dove è finita l’atletica.

Non mi rimane che rimpiangere la lepre di pezza e la foto di quei vecchi gentiluomini che al Parlamento di Stoccolma, nell’estate del 1912, decisero che lo sport degli sport aveva bisogno di un’associazione, di un governo, di regole precise. Roba vecchia. Addio.