I sentieri di Cimbricus / La carta vincente dei pentacerchisti

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Lunedì 8 Aprile 2019

 

milamo-cortina 

 

Con indispettito scorno del Padre Dante e l'eccitante slogan "Dream Together", dopo le garanzie fornite dal Governo, i coriferi delle candidature olimpiche in servizio permanente effettivo danno le località di Milano e Cortina nettamente favorite sulla deleritta Stoccolma.


Giorgio Cimbrico

L’ovovia veneziana firmata Santiago Calatrava che verrà presto rimossa (non funziona, funziona male, si blocca, è stata ricoperta di scritte e adesivi) e che contrasta furiosamente con altre opere dell’architetto sparse per il mondo - a cominciare dal magnifico teatro di Valencia ch negli ultimi anni ha fatto concorrenza alla tedesca Bayreuth mettendo in scena la Tetralogia wagneriana -, ha finito per crearmi un’associazione di idee, soltanto all’apparenza bizzarra, con la candidatura Milano-Cortina 2026, che inalbera orgogliosamente lo slogan Dream Together e che i corifei, dopo la garanzie fornite dal governo, danno come nettamente favorita su Stoccolma, presentata come pallida, indecisa, poco competitiva. E che, udite dite, vuole concentrare in Lettonia, a Sigulda, le prove nel budello ghiacciato.

L’accostamento, a questo punto non più così bizzarro, è dovuto agli impianti e alle strutture che, in caso di vittoria di quelli che “sognano assieme”, dovranno essere costruite. Saranno una legacy per i territori, per le città, dicono i sostenitori della candidatura e gli uomini del Lombardo-Veneto ai quali, a questo punto, si sono uniti anche quelli della coalizione di governo. Legacy significa eredità, è sempre bene precisarlo in un paese che ancor oggi potrebbe tradurre “the king was smoking” in “il re era in abito da sera”.

All’avvocato Conte, che ha insistito sul concetto nella lunga dichiarazione stesa dal suo ufficio stampa, consiglio vivamente di recarsi a dare un’occhiata alla legacy lasciata a Torino e alle valli Susa e Chisone da quei Giochi invernali persi nei meandri del tempo e risalenti al lontanissimo 2006. L’eredità è pari a quella di chi aveva una buona fortuna ed è finito nei gorghi del gioco d’azzardo: all’apertura del testamento, nulla.

Hanno cominciato “sbrinando” la pista di bob e slittino di Cesana, abbandonando i trampolini e l’anello dello sci di fondo a Pragelato, cancellando il percorso del biathlon, chiudendo i “patinoire” per velocità, short track e figura a Torino, dove il Villaggio, prospiciente alla stazione del Lingotto, versa in condizioni miserande. Ad abundantiam, le valli olimpiche sono subito uscite dallo scenario delle competizioni di Coppa del Mondo delle varie discipline invernali.

Rispetto a Milano-Cortina, Torino 2006 aveva però un pregio geografico-logistico: tutto si svolgeva su direttrici non più lunghe di un’ottantina di chilometri proponendo una certa vicinanza dei siti al luogo principale. La candidatura per cui battono i cuori di Malagò, Bianchedi, Fontana, Zaia, Sala, e a questo punto anche di Conte, Salvini e Giorgetti, ha caratteristiche molto diverse: una parcellizzazione sul territorio che trasforma in Giochi in una serie parallela di campionati mondiali, distanti l’uno dall’altro, divisi da catene montuose, raggiungibili solo con perigliosi e lunghi trasferimenti automobilistici. In Austria, Germania e Francia la maggior parte delle località sciistiche si raggiunge in treno. In Italia, no.

Dopo esser stati sbaragliati da Mario Monti e bloccati dallo sguardo cerbiattesco della Gorgone Virginia Raggi, gli irriducibili pentacerchisti sono pronti a calare una carta vincente: il gigantismo è stato condannato a morte dal CIO, ora i Giochi si fanno con cifre modeste. Il costo zero è in agguato. E i vantaggi sono grandi. Pardon, enormi: posti di lavoro, rilancio delle imprese e del turismo. La legacy si moltiplica come i pani e i pesci, inebria e inonda come il vino che scorreva alle nozze di Cana.

Non resta che immaginare la cerimonia di apertura sotto i tetri torrioni di San Siro, a meno che nel frattempo non venga abbattuto e ricostruito. Più bello e più grande che pria.