I sentieri di Cimbricus / La febbre rovinosa del cambiamento

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Martedì 12 Marzo 2019

 

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La IAAF cancella la marcia, la World Rugby manda in soffitta il Sei Nazioni. Certo, lo sport non ha più etica. Da tempo. E’ stata sostituta dal denaro, dal profitto. Una sete inestinguibile. E chi comanda, obbedisce.


Giorgio Cimbrico

Il termometro che segna la febbre rovinosa del cambiamento viene posizionato in bocca, sotto l’ascella o in zone innominabili da primari che amano praticare cure nuove, radicali. E se il paziente morirà, pazienza, suoneranno un bel requiem e passeranno ad altre interessanti riforme. Vediamo di dare un’occhiata a due sport molto vecchi: l’atletica e il rugby. L’atletica, più che vecchia, è antica, o meglio, leggendaria: la praticavano già gli eroi omerici e a seguire quei giovanotti tutti nudi che vediamo sui vasi attici. Il rugby è vicino al 200° anniversario. Per come la vedo io, vanno bene così.

Ma ho il vantaggio di non avere a che fare con Ceo, network televisivi, sponsor che vogliono ed esigono e poi se uno viene beccato per doping si sdegnano e dicono che è una cosa orribile, che lo sport non ha più etica. Certo, lo sport non ha più etica. Da tempo. E’ stata sostituta dal denaro, dal profitto. Una sete inestinguibile. E chi comanda, obbedisce.

Se è cambiato il cricket, inventando il Twenty, possiamo cambiare anche noi: è il riassunto del pensiero di Sebastian Coe dopo le linee guida della Diamond League che verrà nel 2020: meeting di 90’ (senza recupero), taglio drastico inflitto con la Durlindana o lo spadone del Cid Campeador alle gare lunghe. Salvati i 3000 che durano 7’-8’ e possono esser sopportati dal pubblico pronto allo sbadiglio. Almeno, così la pensano loro. Tutto deve essere eccitante, rapido, da condividere via social. Il nuovo formato arriva poco tempo dopo la morte molto annunciata e certificata della 50 km di marcia. Il 3h59’19” di Liu è una specie di morte del cigno. E la decisione di Mo Farah di tornare in pista a Doha può esser presa per una specie di smania collezionistica.

Passiamo al rugby. Neppure al momento del passaggio al professionismo, nel 1995, il rugby si era trovato a un bivio così cruciale, dalle potenzialità devastanti. World Rugby, il governo del mondo ovale (che ha preso il posto dell’Internation Board, per lunghi anni accusato di parucconismo) ha deciso: intende dare una svolta al calendario, stravolgerlo, avvilire e limitare il ruolo del più antico torneo, il 6 Nazioni, aprire a nuove opportunità, nuovi scenari, tentare di cogliere le opportunità offerte da un mercato televisivo e pubblicitario in ebollizione, instaurare un regime di promozione e retrocessione sino ad oggi sconosciuto, respinto. Con un’insidiosa incognita: chi cade in basso, avrà difficoltà a rialzarsi.

Il disegno, portato avanti in primis dal vicepresidente, l’argentino Agustin Pichot, prevede dal 2022 la nascita di un Nations Champioship articolato in due conference: quella europea è il 6 Nazioni, l’altra, etichettata Rest of the World, resto del mondo, comprenderà Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica, Argentina e Giappone, con la speranza, legata a intuibili interessi economici, che il sesto paese siano gli Stati Uniti. Attualmente sono le Fiji che non fregano niente a nessuno.

Nella prima fase le Union del Sei Nazioni e le altre giocheranno i loro tradizionali tornei. A giugno e a luglio Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda, Francia e Italia incontreranno le altre sei per giungere a una classifica globale che a novembre ammetterà le prime due tra le squadre del Sei Nazioni e le prime due del Championship a semifinali incrociate e alla finale. L’ultima delle squadre del Sei Nazioni e l’ultima del Championship vengono retrocesse e al loro posto vengono promosse le prime del Sei Nazioni B (Georgia, Russia, Romania, Spagna, Belgio, Portogallo) e del Championship B: Tonga, Usa (o Fiji), Samoa, Uruguay, Hong Kong, Namibia. Il problema della caduta nella seconda fascia deriva dalla scadenza del Nations Championship che non va in scena nell’anno della Coppa del Mondo e nella stagione del tour dei Lions, la selezione britannica che ogni quattro anni visita in alternanza Australia, Nuova Zelanda o Sudafrica.

Un esempio chiarificatore: se nel 2022 una squadra a caso, l’Italia, viene retrocessa, giocherà nel Sei Nazioni B nel 2023 con la prospettiva di poter tornare nell’elite nel 2024. Dovesse fallire, se ne riparlerebbe nel 2026. “Il gioco sarebbe sempre più globale e appassionante e darebbe possibilità di inserimento anche alle squadre di seconda fascia”, è il messaggio ecumenico lanciato da Bill Beaumont, presidente di World Rugby.

Per il momento il progetto è stato attaccato a testa bassa dall’Associazione dei giocatori (sempre più preoccupati per la piega fisica presa dal gioco), dai vertici dei due campionati più importanti e ricchi (Inghilterra e Francia) e dal gruppo delle nazionali isolane (Fiji, Tonga e Samoa) che hanno capito da tempo che il loro compito è fornire “carne da cannone” per i campionati degli altri.