I sentieri di Cimbricus / Tra gli eterni fantasmi di Berlino

Print

Giovedì 2 Agosto 2018

porta-brandeburgo 2


Non ci si stanca mai di Berlino, crocevia della Storia, ogni volta diversa, ma caparbiamente uguale alla sua anima.

   

di Giorgio Cimbrico

Berlino è i suoi fantasmi. Una mattina sono andato allo zoo, a cercare quel che resta della gigantesca torre antiaerea (quale pezzo di fondamenta, immerso nei cespugli) e dove si erano rifugiati in migliaia. Ero sulle tracce di un’altra storia, quella del custode che salvò Abu, la cicogna becco a scarpa che portò a casa e che mise nella vasca da bagno. Fu uno dei pochi animali a salvarsi: gli elefanti bruciarono barrendo, gli ippopotami furono mangiati dai berlinesi affamati in un finale di partita che sembrava un quadro di Bosch: non era un giardino di delizie ma di orrori. Uno dei più bel libri che ho letto in questi ultimi anni, “Le Benevole” di Jonathan Littell, si chiude con questa visione da incubo, da apocalisse.

La prima volta che sono arrivato a Berlino mi sono fatto lasciare da un taxi in fondo all’Unter den Linden e ho camminato lungo gli edifici neoclassici che mi hanno ricordato Wincklemann e la riscoperta del mondo classico, e l’ambasciata russa e i bar all’aperto, sino alla porta di Brandeburgo e ho pensato a quelli che lì, sotto i tigli, marciavano nel 1870 e dicevano Nach Paris e ci sono arrivati, a quelli che dicevano la stessa cosa nel 1914 e non ci sono arrivati, a quelli del 1939 che si spingevano più in là e cantavano marchiert nach England, marceremo sull’Inghilterra. Non ci sono arrivati. Si sono fermati ancora a Parigi.

E dalla magnifica Hauptbanhof mi sono accorto di essere a un tiro di sasso da Wedding, il quartiere rosso, quello del 1° Maggio sanguinoso del 1929 quando la fragile repubblica di Weimar stava crollando sotto i colpi del revanchismo, uno dei brodi di coltura dei nazionalsocialisti. E ci fosse stato solo quello.

E Aleksandrplatz mi ha raccontato dell’ultimo approdo dell’Armata Rossa dopo migliaia di chilometri calpestati nell’odio e nel desiderio di vendetta, degli ultimi combattimenti dei “lupacchiotti” fanatici (uno è quello che si vede in un filmato famoso: Hitler gli consegna la Croce di Ferro e gli allunga una carezza), dell’architettura popolare della DDR e di quella torre orgogliosa, della riconversione degli ultimi trent’anni, degli spacciatori e dei barboni che oggi la popolano.

Un cammino tra i fantasmi, evocati dai nomi delle strade (Plotenzee, dove i congiurati di luglio furono appesi come bestie), delle stazioni, e che continua quando ci si sposta a est, verso Potsdam trionfò del rococò, culla di un re che si lavava poco e alle donne preferiva i suoi cani da caccia, o a ovest, verso l’Olympiastadion di pietra cruda, classico e barbarico, dove ancora è possibile udire i boati di Sieg Heil o percepire i passi leggeri di Owens sulla terra battuta o i passi possenti di Bolt sul tartan.

A Berlino ci sono Nefertiti e Cleopatra, il prodigioso Altare di Pergamo tutto intero, i vecchi ministeri prussiani, le gite in battello sui canali e sulla Sprea, magnifici Holbein e Rembrandt, fasci di binari, un’aria che non è stata cancellata.