I sentieri di Cimbricus / Il mistero della borsa chiusa nel caveau

Print

Martedì 31 Luglio 2018

owems-cavallo
 

Nella cupa Berlino post-olimpica degli anni Trenta, tra divise brune, sospetti e complotti, ribellione e riscatto.

di Giorgio Cimbrico

“La sta aspettando, Sturmbannführer”. Seifred entrò senza bussare. L’Obergruppenführer Liss era seduto dietro la scrivania, il sigaro Mercator stava esalando gli ultimi sbuffi di fumo nel portacenere di cristallo di Boemia. “Si sieda, Seifred. E vediamo di procedere senza preamboli, senza perdite di tempo. Ho scelto lei non per lo stato di servizio: negli anni Venti qualche ombra, qualche simpatia per l’altra parte c’è. Ma dopo, tutto bene. Impeccabile, dice, vero? C’è una consegna da fare, delicata, importante. Potrebbe bastare, vero? Qui nelle SS gli ordini non si discutono e il mio onore si chiama fedeltà, non è vero?”, gracchiò Liss rivolto alla fibbia della cintura.


“Ma lei mi piace, non è il solito fanatico che urla Jawohl e che ha fatto carriera, e così mi sono detto: gli devo delle spiegazioni: Seifred non è un fattorino che deve portare da Marburg a Berlino una valigetta, consegnarla e tornare alla base. Mi segue, Sturmbannführer?”

“La seguo, signore”.

“La valigetta deve essere portata in PrinzAlbrechtstrasse e consegnata alla segreteria del Reichsführer. A questo punto, ma badi, è una mia supposizione, il contenuto sarà trasmesso al ministero della propaganda”.

“Al dottor Goebbels?”, provò Seifred a disseccare la bocca.

“Probabile, molto probabile, Seifred, considerato il passo successivo di cui sono a conoscenza. La conferenza stampa che è già stata fissata per il 15 gennaio 1937, tra una settimana, nella sala attigua alla tribuna d’onore dell’Olympiastadion e alla quale stanno per essere convocati la stampa tedesca e i corrispondenti stranieri”.

Seifred aveva voglia di fumare e non aveva il coraggio di chiedere il permesso.

“Una sigaretta le farebbe stendere i nervi, Seifred, mentre io le riassumo il dossier che ho qui davanti a me. Ha presente l’Olimpiade di Berlino di qualche mese fa?”

“Ero di servizio all’Olympiastadion, Obergruppenführer”.

“Bene, quel negro, Owens. Non penserà che l’abbia fatta franca, vero? È arrivato e, mi perdoni il termine, ci ha smerdato tutti. E non solo lui. Al Führer non è piaciuto neppure il comportamento del presidente del CIO, quel conte belga, e del presidente della federazione di atletica, quello svedese. Si figuri che Baillet, per via di tutti quei negri americani, ha detto al Fuhrer: o si congratula con tutti o con nessuno. In breve, sono passati sei mesi ed è arrivato il momento di sistemarli tutti: negri, aristocratici, gentlemen. E noi abbiamo i mezzi, i modi, l’organizzazione, gli uomini, la scienza, per farli saltare tutti in aria”.

Seifred aveva l’idea che i braccioli della poltrona cominciassero a stringerglisi attorno.

“In realtà, non è stato difficile. Un’inserviente del Villaggio Olimpico, una che fa piccoli lavori per noi, ha raccolto un po’ di urina di quel tipo. O almeno dice lo sia. E noi abbiamo messo al lavoro i nostri laboratori. Anche quelli della Farber hanno dato una mano. Risultato: quel negro aveva dentro più doping di un cavallo. Almeno, è quello che risulta dopo che il lavoro è finito. Ora lei sa tutto ed è anche pronto a partire, Seifred. Un ultimo particolare interessante: quell’americano vicino a Goebbels, Brundage, darà una mano. E’ uno che ha capito dove tira il vento”.

֍֍֍

Seifred non abitava in caserma. Aveva affittato due stanze nella città vecchia. Hilda lo aspettava, spesso con un’espressione scoraggiata, stanca. Prussiana di nobiltà terriera, continuava a non capire perché avesse incrociato la sua vita con quella di un berlinese che si era fatto attrarre dalla Lega di Spartaco per poi finire in divisa nera e teschio. “Non sono l’unico, Hilda”, mormorava Seifred senza provare a giustificarsi, a chiedere comprensione.

Quel giorno freddo – gli stivali scricchiolavano sulla patina di ghiaccio che copriva l’acciottolato del cortile – l’accoglienza fu più gelida del solito: Hilda provava a indovinare il mondo di fuori dai vetri opachi e gli concesse un saluto che assomigliava a un grugnito. Seifred, seduto sulla punta della poltrona, provò a massaggiarsi le tempie, colse un sorriso ironico, raccontò tutto, si svuotò.

“Quando?”, disse Hilda.

“Domani. Alle 7 verrà a prelevarmi con la Mercedes lo Scharführer Munde. Cinque ore e saremo a Berlino”.

“Liss ha scelto il miglior cane da guardia”.

Seifred indicò con gli occhi la borsa di cuoio nero che aveva appoggiato sull’altra poltrona.

“E’ lì?”

“Sì”.

“Si fidano ciecamente di te. Pensavo che l’avrebbe portata Munde, chiusa in uno scomparto del sedile. A questo punto, esiste ancora una via d’uscita”.

“Io non so…”

“So io. Il locale da Marburg a Stoccarad, tra un’ora. Il diretto delle 20,30 per Zurigo. Levati quell’uniforme”.

“I documenti …”

“Non servono: scendiamo alla stazione prima del confine. Da lì alla Svizzera sono trenta chilometri. Campagna ondulata, controlli rari”.

“Come fai a saperlo?”

“Ho qualche contatto di là”.

֍֍֍

Nella locanda appena sopra le cascate di Schaffhausen, il tepore dopo il freddo notturno e quei trenta chilometri nel buio. Seifred aveva tremato, Hilda no, mai. Ora erano davanti a una tazza di caffè nero. “Il locale per Zurigo è tra mezz’ora”, disse l’oste notando per la seconda volta l’esiguità del bagaglio di quella coppia, una borsa di cuoio nero. “Lei sa se accettano reichmark? Non abbiamo avuto il tempo di fare il cambio”. “L’accettano, certo. Siamo in Svizzera”, ammiccò l’oste e mentre i due si alzavano notò ancora che mostravano qualche schizzo di fango, sui calzoni l’uomo, sulla gonna della ragazza. Le scarpe erano lucide della guazza notturna.

“La cassetta di sicurezza deve essere a nome di Hilda Muller”. “Muller, un nome assai comune”, provò a scrollarsi di dosso un po’ di amido l’impiegato della banca affacciata su Banhofstrasse mentre porgeva a Hilda una piccola chiave e li precedeva verso il caveau. “Molto comune”, strizzò appena gli occhi grigi Hilda mentre Seifred le porgeva la cartella. A Marburg lo Scharführer Munde era andato al comando e aveva chiesto con urgenza dell’Obergruppenführer Liss. Di Seifred, di Hilda e della borsa nessuno seppe più nulla.

NB. I gradi delle SS erano differenti rispetto alla Wehrmacht. Obergruppenführer: tenente generale; Sturmbannführer: maggiore; Scharführer: sergente.