I sentieri di Cimbricus / Tra gente e plebe, dovremo pur scegliere

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Lunedì 16 Luglio 2018
 
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Ancora una volta cresce, come una pianta prodigiosa, il senso di superiorità scandito dalla nostra creatività. 

di Giorgio Cimbrico

So più o meno come andrà a finire a Torino quando, tra poco, verrà rivelata, srotolata, offerta all’adorazione sudaticcia di mezzo luglio la Sindone dei nostri giorni: fremerà la plebe, richiamata da tale evento, fremeranno di studiata e interessata eccitazione gli addetti alla comunicazione immediata, fondata su effettacci, slogan coinvolgenti che presto la plebe ripeterà obbediente, grata di aver avuto gratis e senza sforzo qualche fonema da articolare, da ripetere.



Nel primo atto del “Giulio” Cesare Shakespeare è così bravo da riuscire a far avvertire l’odore e l’afrore della folla: Cesare ha un mancamento, deve esser sostenuto. CR7, così perfetto, levigato, simbolo di un culto del corpo che può toccare i confini del paranoide, verrà concesso a qualche tocco, a qualche sfioramento, a qualche alito o passerà rapido su una CR7mobile, versione contemporanea dell’antica sedia gestatoria?

So per certo, invece, come va in altri paesi, come va ad esempio a Wimbledon, al suo club ricco, potente, ma anche difensore delle tradizioni e delle buone norme di educazione, di civile convivenza tra l’affare gigantesco che si consuma all’interno dell’All England e il quartiere.

Qualcuno si è stupito quando, semifinale Nadal-Djokoc alla fine del terzo set, il giudice-arbitro ha interrotto il gioco alle 23,02 ora di Londra sul Centrale, illuminato e coperto. “Ma cosa hanno speso a fare 150 milioni di sterline per il tetto?” ha detto un noto cronista di cui non metto in discussione l’intensità dell’amore per il tennis, pari a quella che io provo quando vedo una pista e delle pedane.

Le fondamenta dell’interruzione sono salde come la Rocca di Gibilterra: dalle 00,30 e sino attorno alle 5,15 del mattino la metropolitana è chiusa. Meglio avere un certo margine per avviare una buona porzione dei quasi 20.000 del Centrale verso le due stazioni. Non tutti hanno la limousine che li attende e il viaggio su binari può esser lungo se uno abita nell’East End o ha trovato una sistemazione alberghiera a Londra Nord o a Lambeth. Una volta mi sono trovato ad aver mancato l’ultimo metrò e non è stato piacevole.

L’altra ragione è molto inglese: esiste un antico accordo tra il club e il quartiere per assicurare quiete e sonni tranquilli agli abitanti, orgogliosi di diventare per due settimane al mondo giardino del mondo, ma anche fermi nel rispetto delle loro abitudini, dei loro diritti, della loro pace.

So bene che tutto questo non può che creare risolini, o forse un senso di compatimento nei confronti di persone così singolari, mentre ancora una volta cresce, come una selvaggia pianta prodigiosa, il senso di superiorità scandito dalla nostra creatività. “…e la fine dell’Inghilterra comincia a Giarabub”, facevano cantare ai Balilla e agli avanguardisti durante le operazioni in Nordafrica. Come è andata a finire, è noto.

Assordato da moto fuorilegge che incrociano sotto casa, straziandomi i timpani ma deliziandomi (da sempre so dove vivo), continuo negli esercizi di resistenza.