I sentieri di Cimbricus / Lontano dalla casa dei suoni crudeli

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Domenica 3 Giugno 2018


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Che lo sport sia cambiato è acclarato. Che non lo sia in meglio, ce lo ricordano le urla scomposte dello speaker del GG.

di Giorgio Cimbrico


“Se urlerai a più non posso /
se nessuno capirà qualcosa / dei tuoi suoni inarticolati / se verrà rintronato / e se davanti a tutto questo, / il pubblico non se ne andrà / Allora tu, figlio mio,sarai uno speaker”. Kipling, come Shakespeare, spesso aiuta. E in questo caso non sarebbe male avere anche il contributo di Simon&Garfunkel: "The sound of silence". Ma sarebbe troppo. Reduci dall’Olimpico, casa dei suoni crudeli, della voce che strazia, e appena usciti da una visita alla Maico – slogan, la sordità vinta – rimane solo da chiedersi: Perché fa così? (O perché glielo fanno fare?).


Prima risposta: in questo modo si favorisce la partecipazione emotiva del pubblico. D’altra parte la partecipazione corporea (ed erotica) la si ottiene in locali dove è impossibile intrattenere una relazione verbale. Unz Unz. I quartetti di Haydn sono sconosciuti e, nel caso, derisi.

Seconda risposta: il ricorso alle emozioni a buon mercato è sempre più raccomandato da chi si intende di irreggimentamento e greggizzazione della massa. Vedi “Massa e potere” di Elias Canetti.

Terza risposta: la conoscenza della materia, sino a sconfinare nell’incompetenza, è gradita.

Quarta risposta: lo spirito sportivo, che in atletica dovrebbe ancora compiere brevi voletti, è uno straniero: chi urla, tifa scopertamente e incita il pubblico all’imitazione.

Non è sempre stato così, non è sempre così.

Se è scontato riesumare e ricordare l’elegante annuncio, a tono moderato e ispirato, di Norris McWhirter il 6 maggio 1954 alla caduta dei 4’ nel miglio (“Signore e signori, questo è il risultato della gara numero 9, il miglio: primo, il numero 41, Roger G. Bannister dell’Amateur Athletic Association e già studente dei college Exeter e Merton, con un tempo che  rappresenta un nuovo record della pista e del meeting e che, dopo esser stato sottoposto a ratifica, sarà un nuovo record inglese, britannico, su suolo britannico, europeo, dell’Impero britannico e del mondo. Il tempo è 3’…”), può apparire sorprendente ricorrere al mondo e agli scenari della boxe, così poco raffinati da sconfinare spesso nel triviale.

Bene, il maggior “araldo” della disciplina codificata dal marchese di Queensberry, Michael Buffer (nella foto), nei decenni immutato sino a far pensare a periodi di ibernazione, si limita a un solo e prolungato crescendo vocale poco prima che la zuffa inizi: Let’s get ready to rumble. Prima e dopo, in un alternarsi di toni tra il basso e il baritonale, le note anagrafiche e di carriera dei due combattenti. Niente di più.

Buffer interpreta la sua breve parte con lo stessa eleganza dei vecchi attori chiamati a concedere un “cameo”. Va avanti così da quasi quarant’anni, saltabeccando in prima classe al di qua e al di là dell’Atlantico. Non c’è boxe di qualità senza di lui. Lo stile è l’uomo, diceva Lord Brumel. Ecco, appunto.