I sentieri di Cimbricus / C'e' progesso senza componente artistica?

Print

Sabato 14 Aprile 2018

all-blacks 2

Se lo sport punta sulla potenza, il rischio reale è che la creatività finisca ai margini. Si tratta di un vantaggio?

di Giorgio Cimbrico

Citius, altius, ma soprattutto fortius: il viaggio che porta nelle terre dei titani e dei ciclopi è cominciato da tempo. Ma siccome le parole e le immagini sono belle ma possono anche lasciare il tempo che trovano, meglio prender nota di numeri e di proiezioni solide, non quelle del tipo: nel 2032 il record del mondo dei 100 sarà 9”27 e quello dell’alto 2,61. Lo spunto arriva da un bel pezzo, sul sito del Guardian, di Paul Rees, gallese, giornalista sportivo. Nel senso che, così come un gruppo di suoi colleghi, studia, analizza, segue alcune discipline sportive e così ha gli strumenti per scriverne. Sembra una precisazione da poco e non lo è. Forse contiene anche una dose di ironia – o del più vetriolesco sarcasmo – sugli appartenenti alla stessa categoria di un certo paese. Chissà.

Passi salienti del pezzo, pubblicato il 12 aprile per la rubrica The Breakdown e così rintracciabile con un’agevole ricerca anche a semianalfabeti come me: dalla nascita del rugby professionistico, poco più di vent’anni fa, ogni generazione di giocatori è aumentata di 2,5 cm in altezza e di 4,5 kg di peso. Per la Coppa del Mondo 2031 la stazza media degli All Blacks sarà 1,954 per 119,3.

Rees fa notare che si gioca sempre in 15, su un campo di 100x70 e, preso da nostalgia, ricorda Phil Bennett e quel suo improvviso passo di danza che diede inizio all’azione della META, la più bella della storia, quella di Gareth Edwards: Cardiff, 27 gennaio 1973, Barbarians-Nuova Zelanda 23-11. Sette uomini, sette cervelli, quattordici mani per organizzare un contrattacco che neppure il Napoleone delle giornate più brillanti, delle intuizioni più vivide, avrebbe saputo concepire. Erano tutti uomini molto normali, alcuni li ho incontrati, e quando Paolo Rosi ne definiva qualcuno gigantesco, scoprivi che era 1,86 per un quintale scarso. Oggi, con quelle misure, si vedono i mediani di mischia, qualche ala. Gli uomini della mischia, oggi, faticano a uscire dalla porta degli spogliatoi. Ne 2031 sarà necessario intervenire sulle strutture murarie.

La potenza è tutto, la creatività è relegata in zone sempre più striminzite. Si può parlare di progresso senza componente artistica, si chiede il nostro collega britannico? Me lo chiedo anch’io, lasciando lo sport  e allargandomi al mondo estraneo e vuoto che ci circonda. Di mozartiani come Federer (voglio segnalare il fresco “Codice Federer” di Stefano Semeraro, edizioni Pendragon, lungo viaggio dentro uno dei più grandi che, per fortuna, non ha ancora pensato all’addio) ne esistono sempre meno e a occhio il futuro non promette nulla di buono.

Un paio di settimane fa ho seguito per un po’ la finale del torneo di Miami: Sasha Zverev (malgrado il nome, è di Amburgo) contro John Isner, americano. Zverev è 1.98, Isner è 2.08 e non è che si muova come Nureyev. L’uno e l’altro servono a 135 miglia, sui 215 orari, e tirano bordate di diritto terrificanti. Rod Laver – come dicono gli ebrei, possa campare sino a 120 anni – adesso è un vecchietto ma anche ai tempi del doppio Grande Slam 1962 e 1969 era un ometto.

La potenza è sempre stata importante (vedi Ercole, vedi Milone di Crotone) ma adesso si è impadronita della scena. Al Masters di Augusta, impeccabile giardino del golf, registrati drive da 200 metri molto abbondanti: i picchiaduro hanno preso il sopravvento su quelli che avevano mani da ricamatrice ma avevano bisogno di almeno due colpi per arrivare dove adesso si atterra in uno. Sono cambiati i bastoni, sono cambiate le palline, d’accordo, ma andate a dare un’occhiata alla stazza di Patrick Reed, l’ultimo a indossare la giacca verde, e paragonatelo con Gary Player: il piccolo “cavaliere nero” era un peso mosca.

Purtroppo, la bilancia pende ormai da chi ha più peso. Zuckerberg, ad esempio. Altro che i giganteschi, sempre più giganteschi All Blacks, sempre più simili al Golem di Praga che obbediva a chi l’aveva creato. Perché la potenza non è soltanto questione di chili, di muscoli.