Saro' greve / Quando Oscar era l'anagramma di ... Corsa

Print

Lunedì 12 Febbraio 2018

scan_20180210_103211 2

di Vanni Lòriga

Mi accingo a raccontare, come annunciato, i dettagli di quanto ho vissuto nello scorso fine-settimana-lungo, cioè domenica 4 e lunedì 5 febbraio. Anticipo soltanto che ho capito perché ho il dovere di essere felice; in poco più di ventiquattro ore ho rivissuto infiniti momenti di splendide vicende, frequentando persone di sicuro valore. Tutto è cominciato domenica scorsa a Civitavecchia. In una giornata esaltata da un sole inebriante abbiamo corso (“ciascuno e tutti insieme “come avrebbe detto il poeta Mario Luzi che ebbe anche pregevoli trascorsi atletici nella Mens Sana) “Semplicemente ricordando Oscar”.

Foto. Dicembre 1971, Stadio dell'Acquacetosa. Franco Arese seguito da Oscar Barletta in motorino. A sinistra, con imperneabile bianco e ombrello, Amos Matteucci che cerca di riparare un giovane Mario Pescante, da poco tempo al CONI.

Il giro di Barletta: 1004 metri

Abbiamo corso sul “giro Barletta”, un tracciato ricavato in zona San Gordiano attorno al campo Moretti – Dalla Marta. È lungo esattamente 1004 metri, cioè la quarantaduesima parte della maratona. Come tutti sanno fra le tante cose realizzate da Oscar ci fu il rilancio della maratona italiana prima al maschile (debutto vittorioso a Nove Mesto il 5 giugno 1971) e poi femminile (trionfo in Coppa del mondo ad Hiroshima il 13 aprile 1985 precedendo URSS e DDR …).

Per ricordare molto semplicemente le sue vittorie tanti sportivi civitavecchiesi formano squadre di tre elementi (due uomini ed una donna), ognuno dei quali percorre un terzo di maratona, cioè 14 giri a testa. Da cinque anni si replica questo appuntamento, ideato da un amatore maratoneta (personale di 2ore42') che fu allievo del Maestro. Si chiama Calogero “Lillo” Cappalonga, un siciliano giunto nella città laziale per il servizio militare e che da allora non si è più mosso. Parla di Oscar, a cui ha tenuto buona compagnia negli anni finali di vita, con filiale devozione. “Ero l’ultimo dei suoi allievi ma ogni martedì, libero da altri impegni, seguiva i miei allenamenti a bordo del suo inseparabile motorino”.

Il motorino più famoso del mondo

La storica foto (scattata dal nostro direttore, e tratta dal suo archivio) è forse il simbolo migliore del “maratoneta” Oscar Barletta e del suo inseparabile ciclomotore. È il 31 dicembre 1971, corsa di San Silvestro a Roma. Vince Francesco Arese, campione europeo dei 1500; fra le donne si afferma Paola Pigni e fra gli juniores Franco Fava. Di lui parleremo più avanti, ma voglio prima sottolineare che quella gara dimostrò, una volta per tutti, che la maratona non è la corsa della morte, riservata ai vecchi fondisti prossimi alla pensione. Così la pensava Barletta.

img_1725aa 2

Civitavecchia: da sinistra, Lillo Cappalonga, l'autore e Ilio Rambozzi.

Tornando alla domenica civitavecchiese segnalo che la partenza viene data per telefono da Roberta Brunet, trattenuta ad Aosta dai suoi impegni di Forestale. Ed allora pensi alle ultime imprese di Oscar (un argento mondiale ed un bronzo olimpico della sua allieva) e non puoi dimenticare i suoi primi successi. Perché fra gli spettatori c’anche Giancarlo Peris, ultimo tedoforo ai Giochi di Roma. Fu tra gli atleti di Barletta a vincere la finale nazionale del Gran Premio di Mezzofondo, gara di propaganda del Corriere dello Sport. E non fu il solo: colsero il successo anche Befani, Simeoni e Sacco. A dimostrare che Oscar era partito proprio dalla base per giungere ai vertici mondiali.   E fra i tanti ragazzi portati da lui all’atletica abbiamo incontrato, fra gli altri,

Gatti, Massarelli, Ilio Rambozzi. Quest’ultimo è fra i più impegnati nel ricordare il suo allenatore. Vanta un personale di 50 secondi netti sui 400 correndo per la Molinari Civitavecchia.

Da Gabriella a Mohamed

Parlando di quella società non si può dimenticare che fu tecnicamente diretta proprio da Barletta, ai tempi in cui vantava fra le sue fila anche Gabriella Dorio. E riandando con la memoria mi ritorna in mente che sempre Oscar scoprì, quando seguiva il pentathlon alla Scuola di Educazione Fisica di Orvieto, un giovane saltatore in lungo tunisino e lo avviò alla corsa lunga. Il suo nome era Mohamed Gammoudi.

Nel ricordare tanti nomi debbo confermare che veramente ho vissuto nell’epoca dorata della Atletica.

E come già detto ne sono felice. Perché eguali sensazioni provo il giorno successivo quando ci ritroviamo in parecchi per onorare gli ottanta anni di Augusto Frasca. Siamo in zona Capannelle, altro luogo dedito allo sport anche atletico, nel ristorante dei Fratelli Salvi, quelli della Amatrice-Configno che abbiamo citato recentemente sul nostro sito.

Il lungo applauso del carcere spoletino

Sono presenti, elencati in rigoroso ordine alfabetico (con doverosa e rispettosa precedenza alle donne) Rita Bottiglieri, Teresa Pacilio e Fiammetta Scimonelli. Seguono Ruggero Alcanterini, Sandro Aquari, Luciano Barra, Nicola Candeloro, Gianfranco Carabelli, Giorgio Cimbrico, Gianfranco Colasante, Gianni Gola, Franco Fava, Giuseppe Fischetto, Giancarlo Gambelli, Giuseppe Gentile, Gianni Gola, Giorgio Logiudice, Giors Oneto, Marco Perciballi, Tiziano Petracca, Carlo Santi, Giorgio Sordello oltre al festeggiato ed allo scrivente.

Frasca rievoca brevemente la sua inimitabile carriera nel campo della comunicazione ad ogni livello; Gianni Gola ne esalta le capacità professionali e morali; Ruggero Alcanterini ricorda i ruggenti anni 70/80 che insieme abbiamo vissuto, quelli di Sara e di Pietro. E non solo.

Porto anche la mia testimonianza. Ritengo opportuna una sintesi augurale e mi astengo dai tanti aneddoti legati alla amicizia semi-secolare che mi lega ad Augusto. Penso che sarà doveroso e divertente organizzare un altro incontro proprio a queste vicende dedicato. Intanto, per entrare nel tema. ne anticipo due che si riferiscono alle principali passioni del Frasca.

Il suo debutto in società per il giornalismo ad alto livello avvenne in occasione degli Assoluti 1968 a Trieste. I primi che incontrammo a bordo pista furono Livio Berruti ed Eddy Ottoz.

“Vi presento – dissi – il mio braccio destro Augusto Frasca …”

“Piacere – replicò Eddy con la immancabile faccia di bronzo – io mi chiamo Livio Berruti“.

“E quell’altro signore – rispose sorridendo Frasca – è sicuramente Eddy Ottoz…”

Uno ad uno e palla al centro!

Il secondo si riferisce alla musica, Pochi sanno che colui che fu il mio braccio destro essendo nel bel canto un basso profondo partecipò anche al Festival di Spoleto. Un giorno lui ed un soprano coreano (il che non guasta in questi giorni) cantarono una romanza davanti alla Rocca Albormoziana. Al termine del loro duetto da quella fortezza. che allora era un carcere, si levarono gli evviva ed un caloroso applauso. Erano i detenuti che così parteciparono indirettamente al Festival dei Due Mondi di Giancarlo Menotti.

Concludo con una considerazione che spiega quanto anticipato all’inizio. Guardando uno per uno i commensali sono giunto alla conclusione che da nessuno di loro ho mai ricevuto uno sgarbo. Anzi, solo cortesie, non sempre ricambiate. E valutando persona dopo persona mi è tornata una definizione che un mio caporale dei bersaglieri dette alla squadra che comandava: “Ah sor Tenente, qui il più stupido potrebbe fare il Sindaco di Napoli…”

“Ma hai frequentato solo gente in gamba ed affidabile? “potrebbe chiedermi l’attento lettore. Certo che no: ma in questo eccezionale fine settimana gli altri non c’erano. Peggio per loro.