Bordo campo / Oltre la linea rossa del dopo Bolt

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Venerdì 9 Febbraio 2018

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di Carlo Santi
 
Non corre più, se ne va dalle piste. In una notte di metà agosto, quello del 2017, Usain Bolt è scivolato fuori dall’atletica. Londra avrebbe voluto consacrarlo stella del suo Mondiale per renderlo indimenticabile ma il Fulmine non ha potuto recitare quel ruolo: era da tempo al passo d’addio, impegnato solo nei saluti. Aveva poca condizione atletica, Bolt, e lo sapeva perfettamente, ma contava sulla sua determinazione per prendersi comunque l’oro dei 100 metri e lasciare la pista da autentico re. Il sogno del Fulmine poteva avverarsi per davvero ma sul più bello altri hanno gridato scacco al re. Bolt ha chiuso al terzo posto battuto, possiamo dire d’un soffio, da Justin Gatlin e da Christian Coleman: 9”92, 9”94 e 9”95 loro tempi.

Bolt ci teneva da pazzi a mettersi al collo quell’oro, per uscire dal suo mondo in bellezza. Pensava al podio, allo stadio, quello dei Giochi del 2012, al pubblico. Sarebbe stata l’apoteosi della sua straordinaria carriera. Svanita l’opportunità dei 100 metri, il pedone più rapido del pianeta sperava fortemente nel riscatto con la 4x100. Il destino è stato ancora più beffardo con lui. Dopo pochi passi della sua quarta frazione, il Fulmine si è accasciato sulla pista dolorante. La peggiore delle uscite, la sua, ma Bolt con eleganza ha sorriso. «Non era certo questo il modo col quale avrei voluto dirvi addio – ha detto –. Ho dato tutto, in pista. Ho dato tutto me stesso, come sempre. Mi spiace non essere nemmeno riuscito a salutarvi».

Era il 13 agosto dello scorso anno e in quel momento, una decina di minuti dopo le 23, è calato il sipario sull’era Bolt. O, se vogliamo, sulla Bolt-mania. L’atletica era, da quell’attimo, orfana di chi è stato fin dall’Olimpiade di Pechino 2008 il suo gran signore e, va aggiunto, unico punto di riferimento. Il totem se n’era andato.

Tristezza e dolore o liberazione per un re troppo ingombrante?

Adesso si apre un nuovo capitolo del nostro sport, quello senza Bolt universalmente riconosciuto come l’atletica. Dei primati non ci importa troppo; quelli sono importanti ma non proprio necessari. Ricordate gli anni Ottanta con le sfide Coe-Ovett-Cram? Era bello vederli correre, combattere, qualche volta anche evitarsi. E le sfide tra Carl Lewis e i suoi antagonisti, da Leroy Burrell a Linford Christie, da Dennis Mitchell a Ben Johnson: bellissime e intense come i confronti tra Rose-Marie Ackermann e Sara Simeoni, in particolare nel giorno della loro battaglia agli Europei di Praga 1978, quando scaturì ancora il primato del mondo che l’azzurra seppe ripetere con 2.01. Ci piace ricordare il duello tra Tommie Smith e John Carlos nei 200 metri di Mexico ‘68 con l’australiano Peter Norman e, otto anni prima, il meraviglioso giro di pista di Roma ‘60 tra lo statunitense Otis Davis e il tedesco Carl Kaufmann, oro e argento con l’identico tempo di 44”9, il primo meno 45”0 della storia. Le grandi rivalità sono il sale dello sport.

Bolt non c’è più, atleticamente parlando, il totem è svanito e si potrebbe dire che ora l’atletica è più sola. Niente di più sbagliato; l’errore semmai è stato quello di puntare i riflettori solo su di lui escludendo da ogni manifestazione – campionato o meeting – tutto il resto che era sempre e inevitabilmente un semplice contorno. Certo, Bolt è stato un campionissimo, un atleta fantastico, un catalizzatore di simpatia ma troppo spesso ha fatto ombra - anzi: li ha cancellati - agli altri con la complicità degli organizzatori e della stampa.

Riappropriamoci dell’atletica, adesso, ridiamo il giusto valore e la giusta considerazione a tutti gli atleti. Solo così potrà germogliare un movimento di prima grandezza, un movimento che sarà il traino delle nuove generazioni, di ragazze e ragazzi che vorranno emulare le gesta dei campioni.

La linea rossa tra il “prima” – l’epoca con Bolt – e il “dopo” – il tempo senza più il Fulmine – è un confine che deve essere superato senza paure e rimpianti.

Torniamo a vivere l’atletica delle sfide e torniamo, soprattutto, a conoscere tutti i protagonisti, gli altri, con le loro storie e le loro ambizioni. Parte da qui il rilancio dell’atletica e i frutti potrebbero presto essere visibili anche nel giardinetto di casa nostra.