I sentieri di Cimbricus / Il senso delle cose, in peggio (purtroppo)

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Sabato 11 Novembre 2017

beneath_hill_60

di Giorgio Cimbrico

Gli italiani sono specialisti nel cambiare il senso delle cose, spesso nell’involgarirle, e danno il loro meglio – cioè il peggio – nei titoli dei film. Guerra e sport, che spesso camminano fianco a fianco, risultano i più colpiti. L’altro giorno, quando mi sono imbattuto nel titolo – “Le Colline della Morte” – ho pensato: sarà una di quegli orribili film su famiglie antropofaghe, seghe elettriche, squartamenti, etc. Invece era un bel film australiano sulla Prima Guerra Mondiale, titolo originale “Beneath Hill 60”, Sotto Quota 60. La vicenda: la ricostruzione, rigorosa, della grande esplosione delle piccole alture di Messines, nei pressi di Ypres, che ebbe tra i protagonisti i soldati-minatori australiani, canadesi e dello Yorkshire. Servì a far muovere appena il fronte prima che i tedeschi, con una controffensiva, riportassero alla situazione precedente.

Una costante in tutti questi film: c’è un momento di sport e qui è una partita di rugby, nel fango vischioso, tra australiani e inglesi. Attori e comparse si muovono a loro agio: si vede che sanno giocare perché l’hanno imparato a scuola e hanno continuato dopo. La partita che si vede in “Gallipoli” di Peter Weir (titolo italiano, “Gli Anni Spezzati”) non va in scena nel fango delle Fiandre ma nella sabbia del campo di addestramento delle truppe Anzac (australiani e neozelandesi) a Giza, nei pressi delle Piramidi e della Sfinge, ed è altrettanto convincente. Così come perfetta, nella prima parte, è l’atmosfera che si respirava nelle sfide dei professionisti australiani nelle 100 yards su erba. Il giovane Mel Gibson e il meno conosciuto Archy Hamilton corrono benissimo, lo starter spara benissimo, i bookmakers incassano benissimo.

A correre secondo lo stile dell’epoca impararono Ben Cross (Harold Abrahams) e quel buonanima di Ian Charleson (Eric Liddell) in “Momenti di Gloria”. Titolo vero, “Chariots of Fire”, tratto da un verso di William Blake, finito nell’inno Jerusalem (usato da Vangelis per la colonna sonora) e tratto dal biblico secondo libro dei Re. La cosa che può apparir buffa, e che invece è solo desolante, è che se voi ricorrete al sistema di traduzione tramite motore di ricerca, Chariots of Fire risulterà come Momenti di Gloria. Ma non significa Carri di Fuoco?

Parlando di attori che sapevano muoversi da atleti perché venivano dallo sport vero, è venuto il momento di parlare di Richard Harris che non avesse avuto qualche problema ai polmoni, avrebbe avuto un futuro come giocatore del Munster, a Limerick. Che sapesse muoversi sul campo si vede in un livido film bianco e nero di mezzo secolo fa abbondante, regia di Lindsay Anderson (uno degli “arrabbiati”), ambientato nel mondo della rugby league, il gioco a XIII, in un’Inghilterra del Nord industriale e desolata. In italiano è “Io sono un campione”, in originale “The Sporting Life”.

C’è stato anche chi non aveva le basi, ma se l’è costruite: Robert De Niro prese lezioni da Jake LaMotta e “Toro Scatenato” (“Raging Bull” suonerebbe meglio come Toro Furioso, ma non stiamo troppo a sottilizzare …), in fondo a un lungo e accurato referendum indetto dal Times, finì per conquistare il titolo di miglior film a sfondo sportivo della storia del cinema.

Non è il caso si riesumare quanto ci è stato propinato negli sceneggiati (io li chiamo ancora così) su Dorando Pietri e Pietro Mennea (per tacere di Gino Bartali). In questi casi si dice che i diretti interessati si rivoltano nella tomba. Noi, per il momento, ci rivoltiamo in questa valle di lacrime e ci commuoviamo di fronte ai fuori campo di Robert Redford in "Il Migliore", "The Natural", naturalmente.

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