Piste&Pedane / Un giovane quarantenne ci tira fuori dal guado

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Martedì 7 Marzo 2017

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di Daniele Perboni

Come promesso, eccoci puntuali per commentare la settimana atletica appena terminata, culminata, come ormai sanno, o dovrebbero sapere, i nostri cinque lettori (e sì carissimi, siete aumentati e il quinto ci ha pure contattato telefonicamente, …), nella tre giorni in quel di Belgrado. E come tutti ormai avranno letto, siamo stati “salvati” da uno splendido giovincello di buone speranze con quaranta primavere sulle spalle e milioni di balzi nelle caviglie. Un tal Fabrizio Donato (foto Colombo/Fidal) che già ci aveva fatto sognare nella “terra di Albione”, portando a casa un bronzo olimpico che in questa specialità fa il paio con quello ottenuto 44 anni prima dal Giasone pasoliniano. Sia chiaro: onore al ciociaro, al tecnico che lo ha supportato sino a cinque mesi or sono e a quanti lo seguirono, lo seguono e lo seguiranno. Avercene di atleti di tal fatta!

Detto ciò, basta cazzeggiare e veniamo al succo della questione. Ancora una volta, l’ennesima, si torna da una manifestazione di alto livello con le pive nel sacco. Inutile nasconderlo: la cura Elio Locatelli non ha dato i frutti sperati. E, obiettivamente, non poteva darne. Troppo poco il tempo trascorso dalla “presa del potere” del tecnico piemontese a questi EuroIndoor. Chi sperava in qualcosa di meglio ha “toppato” alla grande.

Certo, i recenti risultati dei tre lunghisti (Jacobs, Randazzo e Howe), tutti oltre gli otto metri agli Assoluti di Ancona, potevano lasciare presagire in qualcosa di meglio che uno striminzito settimo posto in finale (Filippo Randazzo, 7.77), specialmente alla luce delle statistiche. Ma le statistiche in atletica funzionano solo a posteriori. Insomma, un’Italietta avevamo sotto mano e un’Italietta torna da questa parte dell’Adriatico. Un lungo e paziente lavoro attende i responsabili federali prima di veder sbocciare i numerosi fiori del giardino. Che ci sono, sia chiaro, ma non si sa perché si perdono sempre negli appuntamenti che contano o alternano buone prestazioni ad altrettante da lasciar basiti.

Il "miracolo" polacco: qual'è il segreto?

In queste righe non staremo certo ad analizzare i risultati ottenuti (chi ha tempo e voglia può guardarsi i vari siti dedicati all’avvenimento o le pagine della FIDAL nazionale), ma qualcosina dobbiamo pur dirla. In primo luogo balza all’occhio l’enorme differenza fra il medagliere e la classifica a punti ottenuti dalla Polonia e dall’Italia. Diamo un’occhiata: Polonia: 38,5 milioni di abitanti distribuiti su 312.679 chilometri quadrati: prima nel medagliere con sette podi (7 ori, 1 argento, 4 bronzi) e nella classifica a punti (103).

Italia: 59,8 milioni di abitanti per 301.340 chilometri quadrati: diciottesima nel medagliere (su 26 nazioni salite sul podio) e decima (10 punti) nella classifica a squadre, su 36 nazioni andate a punti. Insomma, un divario più che notevole. E se consideriamo i bilanci delle rispettive federazioni si comprende ancor meglio la qualità e soprattutto la profondità del movimento polacco. Il “Bel Paese”, infatti, può contare su un finanziamento (bilancio preventivo 2017) che ammonta a 22 milioni di euro, contro il milione e mezzo circa della Polonia, la regina di questi Europei.

Non sappiamo come la Polonia riesca a “pescare” e far crescere così tanti talenti con così poche risorse. Ma una cosa è sicura: il metodo funziona, eccome! Domandina: perché non provare a studiare, copiare, emulare, imitare il metodo messo in campo dai Polacy? Vedi mai che forse qualcosa potrebbe funzionare anche da queste parti?

Si dirà che la nostra è una squadra giovane e che abbiamo messo in campo atleti con poca esperienza e in grado di crescere e migliorarsi. Vero. Vedi i vari Crippa, Randazzo, Ayomide Folorunso (gran frazione di staffetta la sua, forse era il caso di schierarla anche nei 400 individuali dove non avrebbe sfigurato, anzi…). Ma anche i polacchi, per intenderci, possono vantare una squadra piuttosto giovane. Senza contare le due staffette (che pure hanno vinto), la media è di 24,5 anni. Con una punta minima di 19 (Bukowiecki oro nel peso e Ewa Swoboda terza nei 60) e una massima di 28 (Omelko secondo nei 400).

Bilancio finale? Diremmo piuttosto scarso se non insufficiente, con la scusante che l’attività indoor non è poi così diffusa e che alcuni azzurri non avevano espressamente preparato la stagione invernale. Positiva la presenza dei nostri in alcune prove di mezzofondo, gare dove avevamo completamente perso bussola e talenti. Chiaro che non si esce dallo zero assoluto (Mondiali e Olimpiadi) in pochi mesi o anni, ma occorrono perseveranza, serietà, impegno, “fame” e soprattutto bisogna allargare il bacino da cui attingere. Ma questa è la solita storia trita e ritrita che sentiamo da anni. E che non ha ancora trovato soluzione. Ne arriveremo mai a capo?