Saro' greve / Atletica: sui sentieri abbandonati della Cultura.

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Lunedì 16 Gennaio 2017

ranzetti

di VANNI LÒRIGA

“Sarò greve” e non assolutamente breve. Voglio infatti aprire un dibattito sulla situazione della nostra Atletica (A maiuscola). Parto, simbolicamente, dalla Scuola di Formia dove si sono incontrati i giovani di Stefano Baldini. Un bel fermento, tanta gente. Fra i presenti anche un personaggio che ha svolto un grande lavoro in un arco di oltre sessant’ anni. Si tratta di Ugo Ranzetti. La sua biografia richiederebbe ben altri spazi e pertanto la riassumo, in calce, in poche righe. Premetto soltanto che, oltre ad essere famoso per aver allenato l’olimpionica Gabriella Dorio, fra i vari incarichi ha ricoperto anche quello di Direttore Tecnico della SNAL di Formia: mi sembra quindi la persona adatta e nella sede ideale, a cui porre gli opportuni quesiti sull’argomento indicato all’inizio. Parto con le domande.

Perché Azzurri così scadenti a Rio 2016?

“Successi ed insuccessi hanno in genere più di una concausa. Le prestazioni individuali meritano un’analisi dettagliata dei motivi, che in caso di controprestazione possono avere le radici nel fallimento di un progetto tecnico generale. Cose che sono accadute nella storia di tutte le attività federali, che hanno portato a critiche interne e cambiamento di progetti futuri.

Per quanto riguarda l’atletica a mio avviso sono stati due i motivi che hanno portato al “disastro olimpico” 2016. Il primo è legato all’adozione di una nuova struttura tecnica federale, quindi un fatto strutturale a cui consegue il secondo nell’anarchia operativa di atleti e tecnici conseguente alla nuova impostazione tecnica federale.

Voglio precisare che non è il medagliere vuoto a concretizzare il disastro, come moltissimi fanno per immediata comodità di critica, bensì la classifica a punti dei finalisti, che ci colloca tanto in basso da farci ritenere sostanzialmente assenti come valore tecnico. Non sarebbero servite nemmeno il paio di prestazioni degli assenti eccellenti, che avrebbe consentito di dare comoda immagine positiva di un movimento al collasso, ma che non avrebbe cambiato di una virgola lo sconfortante esito olimpico degli italiani”.

La nostra struttura tecnica era inadeguata?

“Il progetto federale prevedeva di assegnare al territorio le basi dello sviluppo dell’attività alle sedi con eccellenze operative ben radicate appunto sul territorio, con il delicatissimo compito di costituire riferimento tecnico e culturale per tutto il movimento.

Un fallimento assoluto. Sembrerebbe escogitato da chi non conosce il territorio, cosa non vera. Ed allora fa pensare ad una funzione “politica federale” di gestione del territorio, con una presunta volontà cosiddetta democratica, trasferendo alla base la responsabilità tecnico – prestativa – culturale di tutto il movimento.

La Federazione è un’azienda che ha il compito di produrre attività e risultati di vertice. Nel nostro caso l’“azienda” ha avuto mezzi economici utili a sviluppare qualsiasi progetto in funzione dei traguardi olimpici. I risultati disastrosi in qualsiasi ambito suggerirebbero dimissioni dei responsabili: qui invece, a fronte dei risultati fallimentari, emergono scuse e colpe per tutti meno che per i responsabili veri. E’ ancora più grave mantenere la stessa struttura prefigurando che il degrado della nostra atletica proseguirà senza freni, mentre occorrerebbe una coraggiosa revisione del modello, riattivando ciò che di buono è stato fatto in passato”.

Possiamo fare qualche nome?

“Basta sentire cosa si dice in giro. Sono tanti i commenti velenosi su Giomi, Ponchio, Magnani ed altri. Sembra che tutti abbiano operato fuori ruolo: ognuno ha svolto le funzioni dell’altro. Si accusa Giomi di aver studiato da presidente per fare il C.T., Magnani, che pare si sia lamentato delle interferenze del presidente, invece del C.T. ha fatto l’organizzatore (cosa in cui è peraltro bravo); Ponchio ha fatto il tecnico per arrivare alla presidenza (si era già lanciato nella campagna politica dopo che Giomi aveva dichiarato che sarebbe rimasto un solo quadriennio ed ha fatto una veloce marcia indietro quando Giomi ha deciso di restare). Sulle tre figure ci sarebbe molto da dire: posso solo dire che siamo molto lontani dallo spessore di un Primo Nebiolo e di un Gianni Gola”.

Quale era la vera debolezza di questa struttura?

“Essere basata su concetti, chiaramente antitetici alle possibilità di ricerca, programmazione, guida e controllo del movimento nazionale, per il quale, come in tutti i fenomeni umani, trattandosi anche per l’atletica di un fenomeno squisitamente ed umanamente culturale si affida il progresso alle menti migliori ed alle saggezze più elevate del movimento stesso.

Ecco l’errore fondamentale. Con questa struttura si è cancellato il settore tecnico nazionale, nucleo centrale di riferimento costituito dai settori tecnici nazionali di velocità, ostacoli, mezzofondo e fondo, marcia, salti, lanci e prove multiple.

Questa struttura centrale non andava soppressa, ma solo modificata, assegnando compiti ben precisi di programmazione e controllo di tutti gli atleti di vertice, affiancando gli allenatori personali al fine di raggiungere il massimo in funzione olimpica (ma vale anche per le normali annate di attività). Non per sottrarre gli atleti (ma va?) come spesso è stato fatto, in particolare, da un collega famosissimo, fenomeno che ha creato una barriera di sfiducia tra centro e periferia tecnica, fattore che forse può avere suggerito la cancellazione del nucleo tecnico centrale.

I risultati, come previsto non dalle solite Cassandre, ma dai colleghi di lunga esperienza e dai dirigenti che capiscono di atletica, hanno dimostrato che il progetto è totalmente fallito. I centri territoriali non hanno stanzialmente funzionato e gli atleti di punta sono stati lasciati a se stessi, privi essenzialmente di una guida e di un controllo centralizzato. Non serve a nessuna causa fare riferimento al saltatore in alto o alla quattrocentista in giro per il mondo a spese FIDAL o ai velocisti mandati inutilmente negli USA per essere assistiti da un tecnico ben pagato, ma di fatto senza beneficio alcuno, e ad altre negative situazioni personali, mentre alcuni tecnici italiani di valore hanno lavorato con ottimo profitto per altre nazioni.

Di fatto l’atletica italiana ha dunque operato secondo una organizzazione che definire anarchica è troppo benevolo. NOI NON SIAMO GLI STATI UNITI D’AMERICA, che abbiamo voluto imitare senza esito alcuno, cancellando una struttura che aveva storicamente prodotto grandi risultati.

Proprio tu mi hai ricordato un’arguta e acuta osservazione di Elio Papponetti: “Eravamo nella storia e non ce ne eravamo accorti!”. Allora perché demolire un sistema che aveva scritto la storia della nostra grande atletica? Se lo chiedono in molti in periferia.

Questa moda di affidare i nostri atleti a tecnici stranieri, ai quali non fa stimolo l’appartenenza alla nostra evoluzione tecnica, non è nuova ed è sempre stata deleteria (salvo ai tempi di Comstok nel lontani anni prebellici, di cui pochissimi hanno memoria, in cui il nostro movimento aveva bisogno di imparare da tutti).

In sintesi, mentre i settori giovanili hanno prodotto gli abituali buoni risultati, cosa che sarebbe normalmente avvenuta grazie al nostro ottimo movimento di base, a livello di vertice le forze si sono disperse in esperienza personali, prive di guida centrale e di controllo tecnico plurimo, sociale e federale.    

In definitiva non ha funzionato l’intero progetto, pensato su base politica e non tecnica. Temo che non ci sia speranza di un vero mutamento di rotta, per cui mi è dato pensare che il peggio potrebbe purtroppo ancora venire.

Come si potrebbe intervenire in ambito organizzativo?

“Alla luce delle risultanze del passato quadriennio servono alcuni interventi correttivi sul territorio, sostenendo le province che hanno mostrato capacità promozionale ed organizzativa, ed aggregando in centri di promozione i territori con modesta attività. Breve osservazione: l’atletica è quella che si pratica classicamente in pista, per la quale chi la governa deve possedere sensibilità e cultura specifiche, mentre quella su strada è un’appendice di grande successo di questi tempi, ma è soltanto una parte dell’atletica delle Olimpiadi. Certamente fa piacere salvare l’immagine della partecipazione olimpica almeno con una vittoria nella maratona (come accadde ad Atene nel 2004), ma i risultati modesti in pista, evidenti da almeno tre quadrienni, avrebbero dovuto suggerire una grande e specifica attenzione a questo comparto e non alla maratona, peraltro anch’essa ora fallimentare oltre misura.

Vedere nella squadra olimpica di maratona soggetti maschi e femmine che erano già presenti nel quadriennio 2000/2004, vuol dire che nei due cicli olimpici non si è stati in grado di rinnovare la squadra a livelli decenti, pur avendo un C.T. delle squadre assolute ed uno delle squadre giovanili in tutto e per tutto espressione dell’ambiente.

A livello centrale ridare vita ai Settori Tecnici (si cambi pure nome se si vuole cancellare qualcosa del passato) per dare alla periferia un elemento di guida e riscontro tecnico per evitare la perdita di un formidabile patrimonio tecnico accumulato in decenni di grande attività.

A titolo di esempio, incuriosito dall’andazzo generale, ho chiesto ad un giovane tecnico specializzato di recente se aveva un riferimento cui rivolgersi in caso di dubbi o di desiderio di approfondimento tecnico.

La risposta è stata che non aveva nessuna idea circa la possibilità di confronto tecnico non sapendo a chi rivolgersi.

Invece serve che almeno uno dei tecnici anziani e ritenuti più idonei a trasmettere cultura tecnica sia l’elemento di riferimento per la programmazione dell’attività degli atleti e garanzia culturale per la corretta applicazione delle conoscenze da attuare sul campo.

La struttura ideale dovrebbe essere secondo me costituita da un tecnico di esperienza che sia da riferimento tecnico-programmatico per i settori Under 23 ed Assoluto in quanto le problematiche sono ben diverse rispetto a quelle dell’intero settore giovanile, di cui sarebbero comunque i referenti programmatici.

A questi andrebbero affiancati in pari numero i tecnici culturalmente più affidabili del settore giovanile con l’intento di guidare anche loro stessi verso la conduzione futura del settore assoluto.

E cosa si dovrebbe fare nell’ambito culturale?


“Il progetto attuale di formazione dei tecnici è vecchio di almeno trent’anni. Lo avevo concretizzato proprio io ed io stesso avevo anche segnalato, alla luce della mutata realtà culturale dei nuovi tecnici e dell’ambiente territoriale, la necessità di rivedere il sistema, non più adeguato ai bisogni di apprendimento dei nuovi utenti.

Verso la fine del quadriennio 2000/2004 pure Carlo Vittori aveva colto questa necessità e ne parlammo in un colloquio interpersonale (nessuno sa che tra me e Vittori ci sia sempre stata una confidenza, assolutamente riservata, in cui ci si scambiava impressioni e tendenze tecniche).

A lui chiedevo suggerimenti circa le metodiche utili al mezzofondo breve (la corsa sugli 800 metri, che tutti insistono in Italia a chiamare gara di velocità mentre attualmente non lo è proprio) ed da parte mia gli trasmettevo le esperienze utili allo sviluppo delle resistenza per i giovani velocisti in formazione.

Il nostro rapporto sfociò in una proposta che egli mi fece nel 2004. Mi disse testualmente: “Prepariamo noi un progetto, senza alcuna interferenza, per l’aggiornamento dei tecnici. Lo presentiamo al Consiglio Federale e se accettato lo portiamo avanti”.

Aderii con convinzione in quanto i principi che Vittori mi espose collimavano perfettamente con la mia idea di modello adeguato ai bisogni dei tecnici con concetti tuttora validi. I tempi hanno fermato il percorso. Nel quadriennio successivo Vittori fu collocato nel Centro Studi, nel cui ambito avrei gradito operare, ma non ebbi il rinnovo dell’incarico federale.

Ribadisco che quei discorsi sono ancora quanto mai validi e due anni orsono chiesi colloquio con Giomi, il quale mi ascoltò (capii che mi ascoltava per pura cortesia, ma forse aveva scarso interesse al problema) e mi disse che avrebbe verificato la realtà e mi avrebbe dato una risposta. Devo raccontarla tutta: dopo alcuni giorni mi pervenne risposta scritta in cui mi si diceva che era tutto a posto e che le mie indicazioni erano fuori luogo. Tutto corretto dunque, anche il fatto che dopo alcuni giorni ancora mi telefonò Ponchio chiedendomi se il Presidente mi avesse risposto. Gli risposi che i contenuti della lettera erano non del Presidente, ma di Ponchio stesso. Risata di conferma e tutto fini li.

Ma i problemi rimangono e gravissimi alla soluzione dei quali si dovrebbe porre mano ad una revisione del percorso di formazione e di aggiornamento dei tecnici. Tra le cause della mancata maturazione verso l’alto livello di molti nostri talenti giovanili sono anche la conseguenza di una carenza culturale, che poi si tramuta in capacità organizzativa della evoluzione tecnica del singolo atleta.

Almeno non cancelliamo la memoria storica

Ormai si sta cancellando la memoria storica della grande atletica del passato. Non è riunendo ad Abano nel contesto della manifestazione “Atleticamente”, di cui Ponchio è autore e guida, che si qualifica un tecnico come specialista, ma è impostando corsi di formazione e specializzazione con tenuti tecnici attuali e soprattutto con percorsi didattici dall’esordio alla specializzazione che si ricostruisce un patrimonio tecnico che si tradurrà inevitabilmente in risultati tecnici.

Esempio: alla fine degli anni Sessanta, Mario Di Gregorio, allora responsabile del mezzofondo, organizzò il primo (non primissimo, perché il primo in assoluto fu frequentato da Enzo Rossi e Piero Massai con altri ormai defunti) corso di specializzazione nel mezzofondo, fondo e marcia. Prima tappa 15 giorni a Formia con studio di rara intensità dal mattino alle 8,30 fino alle 11.30 di sera, di tutto quanto era l’attualità tecnico scientifica del momento. Quindici partecipanti dei quali indico alcuni che in seguito legarono il proprio nome a risultati di alto profilo (a te che sai tutto saprai abbinare gli atleti da ciascuno guidati). Purtroppo alcuni di questi ci hanno lasciato nel corso degli anni, qualcuno anche recentemente.

Ecco alcuni nomi del gruppo originario: Arcelli, Assi, Cazzetta, Clemente, D’Agostino, Gigliotti, Lenzi, Leone, Ranzetti, Tordelli (e altri di cui ho perso le tracce) ma questi bastano per ricordare una generazione che ha raggiunto grandi traguardi grazie all’approfondimento culturale, di cui la metodologia dell’allenamento nei suoi percorsi didattici era in grado di seguire passo dopo passo la formazione dell’atleta, dall’avviamento al traguardo internazionale. Tutti intercambiabili ed in costante scambio di esperienze e di opinioni in dipendenza del fatto che avevamo ricevuto tutti uno stesso modello formativo di base in grado di proiettarci anche nella ricerca tecnica a ragion veduta.

Quando ero responsabile dei corsi di formazione dei tecnici inventai di sana pianta, avendone capita la necessità, il corso di specializzazione giovanile. Fu tenuto in vita per un paio di volte, poi, dopo di me fu cancellato. Ora mi giunge voce che in federazione hanno intenzione di riprendere questo modulo. Va bene se attualizzato ed inserito in un nuovo piano di formazione di cui i vertici federali non hanno nemmeno la più pallida idea di come si debba operare, ma soprattutto con quali contenuti agire essendo anche quel modello da modificare.

Secondo me urge ripartire con un nuovo progetto, poiché i nodelli in atto non sono consoni ai nuovi tecnici, come detto prima,ma dubito che questa cosa sia nell’interesse di chi governa la federazione.

Proprio qui a Formia ho parlato con numerosi tecnici che mi hanno salutato con tanto affetto e riconoscenza per quanto avevo fatto per loro quando ero responsabile dei corsi di formazione per il Centro Studi. Mi ricordo che allora i tecnici, che avevano frequentato i corsi nazionali per la qualifica di Allenatore, mi contattavano per avere consigli e suggerimenti e molti di loro venivano a Brescia per stare un paio di giorni in campo con me. Una forma di tutoraggio che dava loro molta soddisfazione. Località di provenienza: Sicilia, Piemonte, Friuli, Venezia Giulia, Emilia Romagna. Non aggiungo altro.

Sempre a Formia con Antonio Andreozzi, persona di assoluta serietà che segue con grande competenza da circa vent’anni il settore giovanile, ho avuto uno scambio di informazioni circa il livello culturale dei tecnici operanti con i giovani, di cui egli ha totale conoscenza. Confermò la mia impressione di una decadenza culturale rispetto alle passate generazioni ed aggiunse anche una osservazione interessantissima, che torna utile a< qualsiasi progetto di formazione futura. Queste le sue parole: i nuovi tecnici conoscono i programmi attuali di allenamento dei campioni, ma non sanno come fare per portare un atleta all’alto livello. Si tratta chiaramente di un percorso di formazione da sempre ben calibrato per formare tecnici capaci.
 
In fondo la Fidal ha abbandonato l’idea che l’atletica sia un fatto culturale. Credo che sia assolutamente necessario un progetto globale di formazione ed aggiornamento dei tecnici, impostato su altre basi rispetto a quelle attualmente in uso. Quindi un problema serio di diffusione della metodologia, su tutto il territorio nazionale, per portare con programmi poliennali il principiante ai traguardi massimi compatibili con le sue possibilità.

Se ci si chiede come mai i tanti nostri talenti giovanili non maturano verso l’alta prestazione può darsi che talvolta dipenda anche dalla decadenza delle conoscenze tecniche”.

Vale la pena stracciarsi le vesti? Con questa intervista-sfogo con Ugo Ranzetti vogliamo aprire un dibattito che possa tornare utile al progresso della nostra atletica. So già che sono in molti a ricordarmi che è finito il tempo delle denunce e che bisogna passare ai fatti, che è addirittura negativo continuare a strapparsi le vesti, esercizio del tutto inutile e per niente produttivo. Ma mi torna in mente quanto sosteneva il grandissimo Ignazio Lojacono. Se gli avessi chiesto quale utilità possa avere il denunciare le cose che non vanno, mi avrebbe seraficamente risposto: “E che giovamento si avrebbe a non farlo?”

Ritengo che avesse ragione lui. Questo è il motivo per il quale continuerò ad “essere greve”.


UGO RANZETTI

Bresciano, 80 anni il prossimo 4 ottobre, vedovo, tre figli, partendo dalla laurea dell'ISEF alla Cattolica di Milano e da quella quadriennale in Scienze Tecniche (STAPS) dell'Università Claude Bernard di Lione, ha percorso tutti i gradi della conoscenza tecnica nello sport. Nel nuoto, nel Rugby, soprattutto in Atletica. Da Assistente Tecnico Regionale e Nazionale ad Allenatore Specialista di mezzofondo, fondo e marcia. Attualmente è Allenatore Benemerito. E' stato l'allenatore che ha portato Gabriella Dorio a vincere il titolo olimpico dei 1500 metri nell'84. D.T. della Scuola di Formia, docente presso l'ISEF alla Cattolica e al corso di laurea in Scienze Motorie all'università di Brescia. Cavaliere della Repubblica per meriti sportivi e Stella d'Oro del CONI. Tra le tante pubblicazioni, la più recente: "Cammina e corri per la tua salute" (Calzetti&Mariucci, 2015).