Doping / IAAF: gli atleti russi cacciati dai Giochi di Rio

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Sabato 18 Giugno 2016

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Una decisione, quella presa venerdì scorso a Vienna dal panel incaricato dalla IAAF (25 membri presenti sui 27 designati), che scuote dalle fondamenta non solo l’atletica, ma l'intero sport olimpico. Confermando la sospensione comminata lo scorso novembre, la task force guidata dal norvegese Rune Andersen ha vietato a “tutti” gli atleti russi la partecipazione ai Giochi di Rio. E’ la prima volta che un provvedimento di tale estensione e gravità viene preso da un organismo sportivo per motivi “non-politici”. A guardare infatti all’indietro, non si trovano casi analoghi. Né vanno posti sullo stesso piano l’esclusione dai Giochi, tra il 1964 e il 1988, degli atleti sudafricani a causa dell’apartheid, o quella comminata alla Iugoslavia nel 1992 a seguito della risoluzione dell’ONU sulla guerra nei Balcani.

Nei giorni scorsi si era diffusa la convinzione che il provvedimento, se non ritirato, sarebbe stato meno drastico. Sia per motivi di geo-politica (la Russia di Vladimir Putin è ancora sottoposta a sanzioni da parte dell’UE per il caso Ucraina) che di opportunità economiche. Anche se la stessa IAAF ha fatto filtrare la remota possibilità di ammettere alcuni atleti russi “che vivono o si allenano all’estero”, ma senza bandiera nazionale. Una doppia beffa.

Lo stesso presidente del CIO Thomas Bach, che in materia di doping ha spesso enfatizzato la “tolleranza zero”, aveva auspicato una possibile apertura per quegli atleti che potevano dirsi “certamente puliti”, provando a distinguere tra responsabilità collettiva e giustizia individuale. Ma, pare, senza successo.

Che esista o meno in Russia un “doping di stato” ereditato dalla vecchia Unione Sovietica, o se sia stato instaurato un “sistema” di nuova generazione, come viene affermato dal panel IAAF (del quale fa parte l’italiana Anna Riccardi, oggi con importanti incarichi nella Preparazione Olimpica del CONI), le conseguenze della decisione peseranno a lungo. In uno con le nuova indagini in corso e le rivelazioni sui Giochi del 2008 e del 2012 (in attesa che venga scoperchiato il vaso di Sochi 2014). Con grave nocumento per la credibilità dell’intero movimento olimpico. A Londra, in atletica, i russi avevano vinto 18 medaglie, 8 delle quali d’oro: quattro anni dopo nessuno di loro potrà provare a difenderle.

A margine del summit economico italo-russo, in corso a San Pietroburgo, Putin ha commentato a caldo e con una certa amarezza il provvedimento. “Esistono principi universalmente riconosciuti, – ha detto – uno di questi precisa che le responsabilità devono sempre essere individuali: se qualcuno commette un delitto, e per questo viene condannato, la stessa condanna non può estendersi alla sua famiglia”. Come reazione più diretta, il ministro dello sport Vitaly Mutko ha indirizzato una lettera aperta alla IAAF nella quale tende a rassicurare sull’impegno del suo paese a contrasto del doping. Servirà?

Agli atleti coinvolti – che non potranno gareggiare neppure ai prossimi Europei di Amsterdam – non resta ora che la possibilità di rivolgersi al tribunale arbitrale sullo sport di Losanna. Non è chiaro se a titolo individuale o come federazione nazionale, seppure qualcuno vorrà percorrere quella strada. Nel frattempo, penosa ma inevitabile, è partita la caccia alle medaglie perdute: chi trarrà giovamento dall’assenza degli atleti russi?

Fa così una certa impressione, sentire che tra i maggiormente beneficati di tale assenza figura il nostro marciatore Alex Schwazer, un ex-drogato che potrà ora, con più serenità, tentare la doppietta 20 km/50 km. Quando si dice doping, …