Italian Graffiti / "Sciur padrun da li beli braghi bianchi"

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Domenica 9 Gennaio 2022


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Stagione post-olimpica dell’atletica incentrata su due mondiali in quattro mesi. Più che un esame di laurea, un master per Stefano Mei al giro di boa del primo anno sul ponte di comando. Proviamo a mettere in fila gli ultimi avvenimenti.

Gianfranco Colasante

Sarà capitato anche a voi, ma io sono troppo vecchio per stupirmi ancora di qualcosa. E la prendo con misurato giudizio. Per di più il mio cardiologo dice che mal che vada, aiuta a mantenersi. L’ultima volta mi è capitato qualche tempo addietro, quando ho ricevuto una telefonata da Stefano Mei, il razzente neo-presidente della FIDAL, il quale – senza preamboli e col cipiglio energico e il tono da “sciur padrun da li beli braghi bianchi” – mi ammoniva aspramente per avere – noi tapini di sportolimpico.it – anticipato la data degli Awards (in inglesorum fa fico, premiazioni è così polveroso …) per di più sbagliandola di una settimana. Tirata d’orecchie in piena regola.

Non ho l’abitudine di registrare le telefonate (non saprei neppure come fare), ma sarebbe stato opportuno averlo fatto, solo per poter riascoltare di tanto in tanto quel monologo frenetico. Esemplarmente istruttivo. Non per l’argomento base, ci mancherebbe (chi sbaglia paghi, …), ma per l’aggressività dell’eloquio e la totale assenza di senso della misura. E di una penosa mancanza di eleganza, aggiungerei, ma questo stupisce fino ad un certo punto. Da operetta, poi, la frase conclusiva: “prima di scrivere, potete sempre chiamare, questo è il mio numero”. Bontà vostra, sciur padrun.

Ho conosciuto Mei una trentina d’anni fa, nel quartiere commerciale di Tokyo, mentre assieme ad un paio di scapestrati commilitoni metteva a soqquadro un negozio di elettronica saltabeccando frenetico da un bancone all’altro alla cerca delle novità. Poi l’ho seguito negli anni, con simpatia direi –, anche se quanto ben riposta non saprei –, incrociandolo a volte sui campi, più spesso nel mio ufficio nelle frequenti visite che lui faceva al CONI sperando di incontrarne i maggiorenti, nello specifico l’accoppiata Pescante-Pagnozzi che all’epoca governava dal piano nobile.

A quel tempo il giovanotto aveva già ordinato per posta le prime dispense per il corso di laurea in presidenza della Chiesa Madre quale per me, – e per tanti altri della nostra datata confraternita –, resta la federazione di atletica ("la Federazione", la chiamava Onesti). Che poi oggi Stefano sieda sulla sedia che è stata di Bruno Zauli e sulla poltrona che fu di Primo Nebiolo, più che una naturale evoluzione delle stagioni a me pare un incrocio bizzarro di eventi e di concause. Non tutte inevitabili. Le cui responsabilità andranno suddivise per molte teste, comprese quelle di altri avventati candidati alla presidenza: Roberto Fabbricini, ora nell’appartato cimitero degli elefanti della Fondazione Onesti, ed Enzo Parrinello che ha appena fatto gli scatoloni dalle Fiamme Gialle. Ma questo sentiero ci porterebbe lontano e lo vedremo col tempo.

Fatto si è che Stefano Mei conquistò la presidenza, come dire, quasi senza volerlo dopo averla inseguita per più d’un decennio con una testardaggine della quale gli va dato atto. Ma riuscendoci da anatra zoppa, come dicono gli americani, visto che accanto (o contro, fate voi) si trovava e si trova una maggioranza di consiglieri a lui decisamente avversi. A quel punto sarebbero state necessarie altre doti: una cinica capacità di mediazione tra passato e presente, un pragmatico senso della realtà, una disincantata visione del futuro e dei programmi. Ma pare che queste non siano tra le sue qualità più appariscenti. Chissà perché mi torna in mente una vecchia intervista su Mei rilasciata da Alberto Cova alla Gazzetta dello Sport all’indomani di Stoccarda (4 settembre 1986): “Un solo consiglio gli do: non dovrà mai esagerare o cercare soddisfazione in una lotta personale contro qualcuno, perché è un gioco che non paga e può anche danneggiare. L’atletica è uno sport che apre la mente e aiuta a capirsi”. Visionario e, perché no, sinistramente attuale.

Come sono invece andate le cose, è ben noto. E qui non mi riferisco tanto alla sgradevole telefonata di cui sopra, solo un dettaglio. Quanto alle vicende seguite all’elezione. Che trovano il loro punto di svolta nella riunione del C.F. tenuta al Foro Italico il 22 maggio del 2021 cui prendono parte, ospitanti e benedicenti, sia il n. 1 che la n. 2 del CONI a loro volta appena rieletti. Un legame già saldo, quello tra il CONI di Malagò e la FIDAL di Mei, che aveva già un precedente nel responsabile della P.O. membro di diritto (con voto?) dello stesso consiglio federale.

Una scelta di campo e di alleanze nata sulla stessa sponda del Tevere che via via si è andata rafforzando, come sta a testimoniare la recentissima nomina di Eugenio Giani – attuale governatore della Regione Toscana e fino al 2020 membro del C.N. del CONI – alla presidenza della commissione federale per le onorificenze in sostituzione del veterano Augusto Frasca, testimone di epoche lontane. E perché no, come sostiene qualche maligno, la decisione annunciata di far disputare i campionati nazionali del 2023 a Molfetta, località molto lontana dalle abituali rotte ma, guarda caso, molto vicina a Vito Cozzoli, dominus di Sport&Salute al cui padre è intitolato lo stadio appena rifatto.

Nel frattempo, da quel giorno d’inverno che consacrò l’attuale governo federale, è trascorso un anno. Cosa ne resta? Non si risponda, per favore, cinque-medaglie-d’oro-cinque, perché di quella irripetibile cornucopia Mei e i suoi –, come tutti noi, d’altra parte – sono stati e restano solo stupiti spettatori. Altri sono gli scenari e ad altri, semmai, vanno i meriti. Ripeto, cosa resta di questo primo anno? Fatta salva una certa supponenza di fondo, direi poco, e quel poco tutto da costruire. A cominciare dalla neo-fondazione per Roma ’24 fortemente voluta e fortemente sostenuta dai poteri centrali ma della quale ci sarà modo e tempo per riparlare. Poi una confusa revisione dei campionati nazionali e un congelamento della struttura tecnica, già autopromossasi di suo a Tokyo. E poco altro. Tutte iniziative assunte all’interno di un governo federale immusonito e ad alto tasso di litigiosità. Frutto, si dice, dei compromessi iniziali. Tendenza che, a quanto viene di verificare giorno per giorno, si va accentuando.

Tutto ciò premesso, piuttosto che telefonare per farmi “spiegare” cosa o come scriverlo, provo a mettere in fila gli avvenimenti più recenti di natura, diciamo così, un po’ più politica. Partendo dall’affollato modello tecnico, come è stato etichettato, presentato l’11 novembre scorso con la scontata conferma al vertice di La Torre. Le cronache riferiscono che lo stesso modello sia stato approvato con la maggioranza di 12 voti, ma col voto contrario del vicepresidente vicario (avete letto bene: vicepresidente vicario) e capo delle Fiamme Oro, il veneto Sergio Baldo. Il perché ed il percome di questa salita all’Aventino, se mai sono stati in seguito chiariti, devono essermi sfuggiti. (Nota di servizio: in tempi non sospetti, avevo scritto una mail a Baldo perché avrei voluto scambiare con lui qualche idea, mi pareva la persona più interessante del lotto al comando, ma impegnato come deve essere non ha trovato mai il tempo di rispondermi).

Secondo episodio, qualche settimana più tardi. Il 24 novembre, sul mio computer approda una lunga nota firmata da una trentina di società “civili”, tra le maggiori d’Italia, che prendono le distanze dalla ristruttura dei campionati, ritenuta pleonastica e costosa. In quell’occasione un altro vice-presidente, la lombarda Grazia Maria Vanni, mette e fuoco il suo pensiero senza infingimenti: “Ho votato contro questo cambiamento perché mi è sembrato senza consistenza tecnica e troppo frettolosoMi sembra solo la politica dell’apparire”. Ma non potevate parlarne prima?

Ancora un mese, e su Via Flaminia cala la pasticciata distribuzione di fondi pubblici da parte di Sport&Salute nata dalla sostituzione del vecchio algoritmo del CONI con un algoritmo nuovo di zecca ma, si assicura, molto più “democratico” (e chi ne dubitava?). Alla FIDAL vanno poco meno di 13 milioni che a conti fatti portano il bilancio federale a 24.843.176 euro, più o meno un milione e 700.mila in più della stagione olimpica. Ci sarebbe da compiacersi, e invece al momento dell’approvazione del bilancio di previsione 2022, presentato il 29 dicembre, sei consiglieri si astengono. Ufficialmente i loro nomi non sono noti, deve essere per il rispetto dovuto alla privacy, ma resta comunque una bizzarria, a mia memoria senza precedenti. Che cosa vuol dire, in soldoni, quest’ultimo vulnus?

Una prima valutazione, non certo definitiva, la prendo a prestito da un post pubblicato il 30 dicembre su FB da Saverio Gellini, ex-azzurro degli ostacoli e altro candidato, seppure eliminato in batteria, nella corsa alla presidenza del ’21 (ma che dovremmo ritrovare tra quattro anni). Dunque, scrive l’imprenditore Gellini, attualmente CEO di una importante azienda nazionale: “Il bilancio preventivo di una qualunque organizzazione, che sia una azienda, una federazione sportiva o sia anche una associazione no profit, rappresenta la ‘via maestra’ che scandisce da un punto di vista economico/finanziario il percorso da seguire al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati. Il fatto che sei consiglieri, pari al 43% dei membri del C.F. della FIDAL, si siano astenuti dalla approvazione del bilancio preventivo non può essere derubricato a semplice nota di contorno. Il mondo dell’atletica ha il diritto di sapere le ragioni di una così critica discrasia creatasi all’interno del Consiglio Federale”. Appunto, casomai con in calce i nomi di chi ha ritenuto di doversi astenere.

Mi fermo qui, per ora. Chiudo con una nota personale. Nella sua ultima esternazione pubblica, il nostro Stefano ha pubblicato una sua foto di copertina – che lo ritrae ai tempi belli – di un vecchio numero di Uomo Vogue. Cita, con gratitudine, il nome del fotografo, ma dimentica che quel fascicolo di oltre 300 pagine glielo avevo regalato proprio io comperandolo apposta per lui. Molto, ma molto tempo fa.