I sentieri di Cimbricus / La corsa selvaggia di Christine

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Venerdì 2 Luglio 2021

 

mboma 

 

Nel pronostico per Tokyo sarà bene tenere in considerazione Christine Mboma, la ragazza nata a Divundu, villaggio sulle rive dell’Okavango, il fiume che finisce nel nulla, uno degli ultimi paradisi.  

Giorgio Cimbrico

Giro d’opinioni tra vecchi suiveur reduci da quella visione: per Christine Mboma passa la definizione di “corsa selvaggia”, accentuata da quello sbatter di braccia nel finale. Per la 18.enne della Namibia una serie di record: il più emozionante è quello ufficioso, tre secondi e mezzo sulla polacca Justyna Swiety, un distacco da cronoprologo su due ruote, non su due gambe. Dati ufficiali: 48”54, record mondiale juniores migliorato di sette decimi (era suo, 49”22, come il precedente, 49”24, quello prima era il 49”42 di Grit Breuer, DDR), è record africano assoluto.

Tempo che pone Christine al settimo posto All time dietro Koch, Kratochvilova, Naser (fresca di sospensione per due anni per le troppe “visite” evitate), Perec, Vladykina e Miller. Christine è nata il 22 maggio 2003, stesso anno dell’altra namibiana, Beatrice Masilingi, che ora è a 99 centesimi dalla compagna di allenamenti ma che, sino all’anno scorso, era stata la prima a lanciare squilli dalla vecchia Africa del sudovest, un tempo colonia tedesca.

Progressi di Mboma, allenata da Henk Botha: nel 2020, da allieva, 51”57. Meglio la coetanea Masilingi, 50”42, 50”44 e 50”99. Tutti questi risultati hanno una costante: l’altitudine. Sia che gareggino in patria, a Windhoek (luogo natale di Frankie Fredericks, quattro argenti olimpici, un titolo mondiale e tuttora decimo di sempre con il 19”68 sulla scia di Michael Johnson ad Atlanta ‘96), sia che si spostino in Sudafrica o in Zambia, i teatri di gara variano dai 1660 metri della capitale della Namibia ai 1600 metri della capitale politica del Sudafrica, ai 1200 metri della capitale di quella che fu la Rhodedia del Nord.

E così, portate molto più in basso, volano. Christine, 22”67, al Memorial Odlozil di Praga; Beatrice, stesso tempo a Lucerna, il giorno prima del gran botto di Mboma che a Bydgoszcz ha onorato il meeting intitolato a Irena Szewinska che con il 49”28 della vittoria ai Giochi di Montreal sfiora ancora la ventesima posizione di sempre.

Rilevamenti presi al volo testimoniano di un avvio veloce, 11”9, e di un primo rettilineo bruciante, 11”1. Curva in 12”2 e ultimo segmento, in naturale sofferenza, in 13”4. Viene naturale confrontare con il “giro dei giri”, quello offerto da Marita Koch il 6 ottobre 1985, a Canberra: Wolfgang Meier, allenatore e marito, sosteneva che i primi 100 fossero stati divorati in 10”9 e gli altri, a seguire, in 11”5, 11”7 e 13”5. Una più attenta analisi video ha dato questi risultati: 11”70, 10”77 (il 22”47 ai 200 merita un punto esclamativo), 11”75 e 13”38. Chi scrive è uno fortunati testimoni diretti di quell’impresa e ammette che quando Marita passò ai 300 e uno dei display d’angolo stava passando da 33 a 34, provò una scarica di adrenalina che, 36 anni dopo, potrebbe portarlo a gravi conseguenze.

In realtà, un’emozione non troppo lontana è arrivata durante quella che i vecchi della confraternita hanno definito “corsa selvaggia”. Nel pronostico per Tokyo sarà bene tenere in considerazione Christine Mboma, la ragazza nata a Divundu, il villaggio sulle rive dell’Okavango, il fiume che finisce nel nulla, uno degli ultimi paradisi.