I sentieri di Cimbricus / E' a rischio anche il quarto scimpanze'

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Lunedì 8 Luglio 2019

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Se lo sport (?) che ci ammanniscono è ormai questo, ... facciamocene una ragione e proviamo a difenderci rifugiandoci nel passato. In un mondo scomparso fatto di rispetto e buone maniere. Ma siamo vecchi e superati: questo è il tempo dei Fognini e dei Balotelli. E della loro gioiosa epopea.  


Giorgio Cimbrico


Un ricordo di dieci anni fa, Italia-Svizzera di Davis a Genova: Roger Federer, che era già ampiamente e meravigliosamente e mozartianamente Roger Federer, era amabile, disponibile: Fabio Fognini rispondeva a monosillabi e inalberava un’espressione beffarda, arrogante. In dieci anni ha fatto passi in avanti: offende pesantemente suo padre, apostrofa volgarmente una giudice a Flushing Meadow, ora spruzza il suo veleno anche sulla storia, bestemmia in chiesa. Prego, nella cattedrale, nel tempio, ricorrendo al repertorio di Mario Appelius, evocando l’arrivo di bombe già cadute sull’All England. Fossero stati liguri come lui, i vertici del club, avrebbero potuto rispondergli: “Emmu sa detu, abbiamo già dato”, rispolverando immagini bianco e nero del blitz dell’autunno 1940 quando il campo centrale venne colpito dagli Heinkel 111. 

Quelle parole, quel comportamento mi hanno provocato un flashback, quando gli italiani – sono corretto, non aggiungo aggettivi – arrivati a Berlino per la finale del Mondiale di calcio 2006 fischiarono la Marsigliese, circostanza ripetuta dopo a San Siro. A me, lo giuro, non piace citarmi ma scrissi che non si fischia la Marsigliese perché non è l’inno della Francia, è l’inno della libertà. Ma della libertà ormai nessuno sa cosa farsene. Meglio la licenza, accompagnata dalle sue muse. Un paio sono l’ignoranza, la sguaiatezza.

Mi sono venute in mente tante altre cose, ad esempio la prima volta che sono andato nel vecchio Wembley e prima di entrare l’ho guardato, ho pensato a mio padre che non c’era più e mi son detto. “Guarda, ci sono arrivato”. E non mi sono lamentato dell’esiguità del posto che mi era stato concesso né del menù che venne servito nella banqueting hall, alla presenza di Alf Ramsey e di Geoff Hurst. Gli stessi sentimenti affiorarono quando mi avviai per la prima volta verso Twickenham e trovai che la Fortezza aveva un aspetto grigio, quasi sovietico, prima che mi si rivelasse quella solenne unica navata interna.

Wembley e Twickenham rappresentano la storia dello sport moderno e i suoi canoni. Wimbledon affonda le sue radici in un passato ancora più profondo, e così ancora più degno di rispetto. A Wembley deliziosi bronzetti art deco commemorano i capocannonieri della FA, a Twickenham maglie che sembrano cotte di crociati testimoniano scontri che hanno meritato l’ingresso nella storia e di lì nel mito; a Wimbledon dagherrotipi di giovanotti in calzoni di flanella e cap simili a quelli usati da Qui, Quo e Qua e di signorine in gonna alle caviglie e cappellino trasformano il museo in un salotto dove è normale usare le buone maniere.

E ritornano quella parole – “maledetti inglesi, una bomba ci vorrebbe su questo circolo, una bomba” – e ritornano quelle scuse così formali, pronunciate con lo stesso tono dei monosillabi di dieci anni fa. Io non mi sdegno, lascio il compito ad altri, io sorrido tristemente e mi compiaccio, da troppi anni capisco tutto.

PS. Domenica, prima pagina della Gazzetta, in alto  a destra, titolo e fotina di Balotelli che elargisce 2000 euro a chi si butta in mare cavalcando una vespa. Ho rivalutato i feudatari che si pulivano le mani unte di arrosto nei lunghi capelli dei paggi. Voglio precisare che della cosa mi sona accorto grazie alla rassegna stampa di Sky. Cosa volete farci, sono a corto di contanti, l’edicola, con questo caldo, risulta essere troppo lontana e sono impegnato a finire una deliziosa raccolta di racconti di Gerald Durrell, generoso protettore di specie in pericolo. Fosse ancora in vita, comincerebbe a preoccuparsi per il quarto scimpanzé. Noi.