Terza pagina / Onesti e Zauli: i due nemici che inventarono il CONI

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Lunedì 14 Maggio 2018

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Una pagina di storia ignota ai più, che si pone alle radici della costituzione "democratica" del nostro Comitato Olimpico.

di Gianfranco Colasante

Accanto all’uscio del suo ufficio, posto al piano nobile della ex-Accademia Fascista di Educazione Fisica, all’ex Foro Mussolini, ufficio che Giulio Onesti occupò dalla primavera 1951 all’estate 1978, figurava una scritta in caratteri corsivi: “Questa porta è aperta a tutti: la buona educazione imporrebbe di bussare prima di entrare”. Quando una sentenza del Consiglio di Stato annullò la sua ottava conferma alla presidenza del CONI, quella scritta scomparve. Rimossa da chi e per quale ordine, non è dato sapere.

Solo un aneddoto, ma non è azzardato ritenere che, assieme a quella targhetta, scompariva un modo di intendere e vivere lo sport che aveva caratterizzato in positivo gli anni del primo dopoguerra e quelli della ricostruzione. Di quegli anni l’avvocato Onesti è indubbiamente stato tra i protagonisti principali. Ma non il solo. Si potrebbe anzi dire che nel suo trentennio di potere assoluto, sia stato un direttore d’orchestra che ha suonato una sinfonia di grande successo ma che non aveva composto. Scritta invece a più mani dai pochi uomini che, al suo fianco, si impegnarono nell’opera di riscrittura, in versione democratica, di un comparto – quello sportivo – che era difficile sottrarre ai sospetti del passato, dopo che il fascismo ne aveva fatto uno dei pilastri più solidi del consenso.

E, tra costoro, in posizione apicale, figurava il dottor Bruno Zauli – medico, giornalista, umanista –, un uomo con il quale Onesti ebbe un difficile rapporto di convivenza e di confronto intellettuale. Bruno Zauli e Giulio Onesti si erano incontrati per la prima volta a fine giugno del 1944, pochi giorni dopo l’ingresso delle truppe alleate a Roma. Era capitato nel giorno in cui il giovane Onesti – aveva poco più di trent’anni, una decina in meno di Zauli – s’era presentato da commissario governativo all’ingresso principale di quello ch’era stato lo Stadio del PNF, sulle cui fondamenta Pier Luigi Nervi erigerà le ardite volute del Flaminio, un impianto oggi abbandonato al degrado.

Da allora i due tenori sarebbero rimasti l’uno a fianco dell’altro – sia pure da separati in casa – per vent’anni, fino cioè alla morte di Zauli, avvenuta a meno di un anno dai Giochi di Tokyo. E, assieme, pur su piani distinti, soprattutto per impegno e per motivazioni diverse, avrebbero acceso dapprima il motore della rinascita, in seguito costruito un modello sportivo più efficiente che razionale. Che ha raggiunto il suo momento più celebrato nei Giochi di Roma del 1960.

Questo è quanto racconta una certa retorica. Ma andò veramente così? Ci fu veramente quella sintonia di cui oggi si favoleggia e che si racconta con un certo compiaciuto rimpianto? A distanza di oltre settant’anni, resta ancora difficile dare una risposta credibile o ricostruire il clima di quel primo incontro tra due personalità tanto diverse per esperienze e, soprattutto, aspirazioni personali. Si può affermare, con certezza, che non si trattò di un incontro amichevole. Così come non fu mai amichevole il rapporto – più giusto sarebbe dire il confronto, quando non proprio lo scontro – che i due coltivarono quotidianamente nei venti anni successivi e a stretto contatto di gomito.

Torniamo per un attimo a quei giorni dell’estate 1944, giorni agri per tutti. Il sospetto la faceva da padrone nei rapporti umani e la tragicità dei giorni li condizionava e li avvelenava, tra fame, disperazione, vendette. Gli alleati erano da pochi giorni entrati a Roma, in fretta e furia si erano ricostruiti i partiti politici, nelle regioni del Centro Nord era in corso una guerra civile che, almeno ufficialmente, si sarebbe conclusa solo un anno più tardi, con ferite non rimarginate del tutto neppure ai giorni nostri. Zauli era appena rientrato per una licenza da Arbe, l’isola dell’orrore dove – non soltanto da ufficiale medico – aveva tentato di fronteggiare fame e malattie delle famiglie slave rastrellate come fiancheggiatrici della resistenza al nazi-fascismo. L’otto settembre lo sorprenderà all’ospedale del Celio, in cattive condizioni di salute. Onesti si trovava da tempo a Roma in attesa degli eventi, trascorrendo il suo tempo sul pontile del Circolo Aniene.

Un contributo alla chiarezza siamo in grado di chiederlo allo stesso Onesti, traendolo da un’intervista rilasciata nel 1977, a Gianni Melidoni per il Messaggero: “Quando mi ci collocarono, il CONI era un piccolo ente da liquidare. Difatti ci entrai come liquidatore. L’incarico mi fu assegnato dal Partito Socialista in cui militavo. Anche allora, come oggi, usava tra i partiti la ripartizione degli incarichi ed io sarei potuto diventare anche sottosegretario oppure ambasciatore in qualche paese sudamericano. Il CONI allora significava carte impolverate e tavoli sgangherati: il fascismo non lo aveva mai tenuto in considerazione, preferendo gestire lo sport attraverso la GIL.”

Più di parte, se vogliamo, il più autorevole testimone di quegli anni: Gianni Brera. Di parte, certo, perché Brera era amico e grande estimatore di Zauli al quale dedicò diversi suoi libri. In morte di Zauli, nel dicembre del 1963, appresa la notizia al ritorno da una battuta di caccia, Brera scrisse di getto un ricordo per il Giorno che molto indispettì i vertici del CONI. Un epitaffio che era anche un necrologio per un certo mondo dello sport che scompariva con Zauli: “Se ne è andato anche lui. Era stanco: questi ultimi anni di lotte lo avevano logorato. Era di quelli che lavorano molto, soprattutto quando non pare che lavorino. Di natura introversa e schiva, elaborava in assiduo travaglio concetti e idee. Non improvvisava mai nulla.”

E ancora: “Giudicava assai lucidamente il fenomeno sportivo e come pochi possedeva la facoltà di compararlo sul piano critico universale. A lui si deve se lo sport italiano è sopravvissuto alla guerra. E se dallo sport abbiamo tratto le prime consolazioni e i primi spunti per una ricostruzione morale e materiale del paese, a Zauli più che ad ogni altro dobbiamo riconoscere questo merito”. Più in avanti, rievocando il difficile rapporto con Onesti, Brera affermava: “È rimasto pressoché solo fra le molte rovine ed ha ricostruito con la paziente, assidua applicazione, del politico non ignaro della quotidiana scienza del possibile. Gli avevano affiancato un avvocato ignoto a quasi tutti: ne seppe sfruttare il meglio, che era da ricercarsi non già nella competenza o nella cultura sportiva, assolutamente deficitarie, bensì nella validità dei rapporti umani. Lo sport italiano si resse diarchicamente sui due per lunghi anni. Zauli era talora compunto e severo fino alla tetraggine. Onesti invece estrinsecava la sua linea politica con le vaghezze esteriori del diplomatico.”

Con in mano le credenziali ministeriali di nomina, armato di una generica buona volontà ch’era la sua sola forza, in una mattinata di fine giugno 1944, Giulio Onesti s’era presentato all’ingresso principale del vecchio stadio di viale Tiziano – allora sede del CONI e delle federazioni – assumendo il controllo di tutti gli uffici, a “nome del legittimo governo del Re.”

Digiuno com’era di sport, non aveva alcun programma, seguì il suo istinto, improvvisò e a volte con una certa goffaggine. Nei primi tempi si mosse senza un filo logico, un obiettivo credibile, rifiutando caparbiamente, se non sgarbatamente, consigli e avvertimenti. Era stato scelto da chi comandava ed ora era lui solo al comando: ci vorrà qualche tempo perché emergano le sue doti di mediatore. Ma se è vero che le sue decisioni iniziali non furono coerenti con la salvaguardia di quanto restava, non modificavano una certa impressione accattivante che il giovane avvocato comunicava a chi lo avvicinava per la prima volta.

Come capitò alla maggioranza degli sportivi, con sentimenti che partendo da un atteggiamento guardingo, finivano per attenuarsi in sensi di prudente fiducia. Renato Casalbore, fondatore di Tuttosport e che perirà a Superga con il Grande Torino, così lo definiva nel luglio 1946, nel giorno della consacrazione: “Il giovane presidente del CONI ha l’istinto della diplomazia: corretto, cordiale, sfuggente, direi che ha spiccata l’arte di convincere.” Massimo Della Pergola – il creatore del Totocalcio, poi “scippato” dal Governo e affidato in gestione al CONI che ne trasse i mezzi per progredire – era più realista: “Onesti era un uomo intelligente, un po’ cinico, romanamente pigro, non era un appassionato di sport ma conosceva l’arte di apprendere e la capacità di agire.”

Doti che probabilmente suggerirono ad Onesti l’opportunità di non lasciarsi sfuggire le capacità e le conoscenze che Zauli poteva mettere al servizio di un obiettivo comune: un rilancio dell’organizzazione sportiva e, soprattutto, una dignitosa collocazione di lavoro per entrambi all’interno del nuovo CONI che rinasceva “democratico”. Pur se non è azzardato ritenere che tra i due non nacque una simpatia immediata, tuttavia i giorni successivi permisero all’uno di misurare le qualità (o i difetti) dell’altro, e di trarre conseguenze e valutazioni.

Un inizio, si può intuire, disagevole per entrambi, con le asperità superate progressivamente e in nome di un reciproco interesse. Quale era la considerazione iniziale che Zauli aveva di Onesti? Possiamo verificarlo attingendo a un suo manoscritto dell’autunno 1944, che riporta giudizi un po’ stizziti, a loro modo definitivi: [1]

“L’Avv. Giulio Onesti assunse l’incarico di Reggente provvisorio del CONI in data 27 giugno 1944, con lettera ufficiale del Prefetto Flores, vice-capo di gabinetto della Presidenza del Consiglio, [e rappresentante] in assenza del Governo che in quell’epoca non si era ancora tra-sferito dalla [residenza] sede di Salerno a quella di Roma.

Tale nomina fu accolta senza alcun entusiasmo, poiché l’Onesti, giovane poco più che trentenne, era assolutamente ignoto all’ambiente sportivo. La mancanza di una qualsiasi notorietà, [sia pure non] tanto nel campo sportivo quanto in quello politico, non potevano cattivargli quella fiducia, che solo può nascere da un passato di attiva operosità.

A ciò si aggiunga che egli era effettivamente digiuno di tecnica e di organizzazione sportiva e neppure aveva una preparazione qualsiasi per ricoprire cariche direttive. Tale inesperienza, insieme [alla mancanza di] all’assenza di cognizioni specifiche ed alla mancanza di prestigio personale, facevano dell’Avv. Onesti, malgrado ogni buona volontà, un elemento assolutamente inferiore all’altezza del compito assegnatogli.

Posto di fronte ai malumori degli impiegati e del basso personale dello Stadio, egli confuse per lungo tempo il modesto problema impiegatizio con i supremi interessi dello sport italiano ed ebbe del CONI la ristretta visione, che offrivano i corridoi dello Stadio. Sempre pressato dagli assilli quotidiani e contingenti, dai quali si lasciava completamente travolgere, scambiò in un secondo tempo per sport nazionale la semplice cerchia del movimento romano.

Non seppe discriminare rapidamente le singole figure degli sportivi, che [che vennero in suo contatto] in un momento così tumultuoso vennero a sottoporgli le più disparate richieste, i più diversi problemi. Ascoltò con serietà e pazienza degna di miglior causa le più sciocche proposte, gli elementi meno autorevoli, così come ascoltò persone autorevoli e competenti: ma non seppe districarsi tra gli opposti consigli, così che anche le più semplici questioni gli apparvero complicatissimi problemi e gli confusero la mente.

Se a ciò si aggiunge il suo carattere irrisoluto e titubante per natura, inframezzato da gesti impulsivi, da leggerezze, da scarso controllo d’azione, si possono comprendere molti gravissimi errori, che commessi in un momento drammatico per lo sport italiano, peseranno molto a lungo sul futuro.

Tutto ciò, alla luce della sua inesperienza ed incompetenza, sarebbe stato perdonabile se egli, dopo quattro mesi di reggenza, non avesse tenacemente insistito per essere nominato Commissario Straordinario del CONI, ciò che ottenne con molti stenti e con aiuti [del Partito d’Azione, per interessamento del Ministro Cianca, del Sotto Segretario alla Presidenza Fenoaltea e del Sotto Segretario agli Interni Canevari (Socialista)] politici.”

Questo è quanto. Acclarato che i due non si amarono mai, col tempo riuscirono a stemperare la difficoltà di rapporti in una forma di distaccato rispetto che teneva conto dei rispettivi ruoli. Sul fronte sportivo chiaramente pendente dalla parte di Zauli. Anche se a suo svantaggio, Zauli poteva dirsi un introverso, esattamente il contrario del suo interlocutore. Tanto più Onesti imparava a muoversi a suo agio nel mondo politico e imprenditoriale del tempo, tanto più Zauli si rinserrava nell’ambito più angusto, ma rassicurante, dello sport. Un gioco delle parti imposto dagli eventi e dalle rispettive tendenze caratteriali.

Non sappiamo chi fece il primo passo, ma avvenne che Zauli si accostasse a Onesti con meno prevenzione rispetto alle perplessità iniziali. Già in piena estate tra i due era subentrata una reciproca tolleranza, alimentata da interessi quanto meno simili se non coincidenti. Tanto che Zauli iniziò a redigere le circolari e i documenti a firma Onesti, il primo dei quali porta la data del 29 agosto 1944. Da quel giorno non smise più, anche quando al CONI si aprì la confusa stagione dei quattro vice-segretari, tutti uomini dell’anteguerra, via via recuperati alla ribalta pubblica proprio da Zauli.

Nei mesi successivi si saldarono gli interessi e le capacità di entrambi. Il comune terreno fu la gestione del Totocalcio, nel 1946 transitata tramite il Governo dalla SISAL al CONI. Con quello che significò in termini economici per lo sport nazionale che – come tutta la nazione – viveva una stagione di cinghie strette. Sempre nel 1946 Zauli venne nominato da Onesti segretario generale, assommando a quell’incarico la presidenza del Servizio Impianti Sportivi e l’organizzazione dell’intero settore Totocalcio. Se poi pensiamo che era già impegnato con la federazione di atletica e, in chiave olimpica, nella tessitura per il rientro dell’Italia negli organismi internazionali, abbiamo chiaro quanto debba essere debitore a Zauli lo sport italiano.

Molti anni più tardi, parlando del comune passato, Onesti riepilogò così quei lontani avvenimenti: “Consideravo Zauli un maestro per tante cose. Quando arrivai al CONI ce lo trovai come capo ufficio-stampa. È logico che forse avrebbe voluto essere nominato lui che già c’era, con la sua esperienza, con le sue capacità, al posto mio. Forse per questo o forse per dei caratteri diversi, tra noi non c’è mai stata cordialità. Da parte mia molta stima e rispetto”. A un uomo come Onesti, che ormai non aveva più nulla da chiedere, si può credere senz’altro. Nessuna cordialità, quindi, ma considerazioni molto prossime alla realtà.

 

Il 4 giugno 1944 le avanguardie della Quinta Armata del generale Clark entrarono finalmente a Roma provenienti dalla Pontina. Il giorno seguente il re Vittorio Emanuele III trasferiva i poteri al luogotenente Umberto. A Roma – dopo che gli Alleati avevano insediato la loro commissione di controllo – i poteri civili e militari erano stati assunti dal generale Roberto Bencivenga, mentre Mussolini, da Salò, aveva proclamato tre giorni di lutto per la “caduta” di Roma. Ancora qualche giorno e l’anziano Ivanoe Bonomi – ultimo presidente del consiglio dell’era prefascista – rendeva nota la composizione del nuovo governo del Re che s’insediava a Salerno. Bonomi resterà in carica per un anno esatto prima di dimettersi tra polemiche e tensioni. Cominciava proprio in quei giorni la dittatura dei partiti.

In attesa del trasferimento del Governo a Roma – che avverrà a metà luglio – a seguire gli affari correnti a Roma era stato incaricato il vicecapo di gabinetto della presidenza del consiglio – da cui dipendeva ora il CONI, dopo lo scioglimento delle organizzazioni fasciste –, il prefetto di seconda classe Ferdinando Flores. Veniva da lontano, Flores: era un funzionario di lungo corso che molte ne aveva viste nei corridoi dei ministeri. Non per nulla, a quel grado l’aveva elevato il neocostituito governo della RSI in una delle sue prime riunioni, collocandolo però “a disposizione”. [2] Rientrato nei ranghi della nuova amministrazione del Re, nel giugno 1944 gli si era presentato – non sappiamo tramite quali entrature – e con una buona dose di sfrontatezza, l’ex antemarcia Alfredo Santarelli, qualificandosi come caposervizio della segreteria del CONI, chiedendo che gli venissero affidati gli uffici del Comitato e delle federazioni. [3]

Il prefetto, che in quei giorni di grande confusione veniva tirato da ogni parte, senza aver svolto “alcuna seria indagine”, finì col cedere, incaricando Santarelli di “custodire temporaneamente gli uffici” del Comitato. Fu a quel punto che alcuni funzionari del CONI, che negli anni precedenti a loro spese avevano imparato a conoscere Santarelli e la sua protervia, si precipitarono da Bencivenga e Flores illuminandoli sul personaggio e, soprattutto, sul suo passato fascista. Solo a quel punto, come riferisce Zauli, il secondo “designò sotto la data del 25 giugno l’avvocato Giulio Onesti, che sostituì di fatto Santarelli il 27 giugno 1944.”[4]

Ma quel che più conta riferire è che la designazione di Onesti al CONI non fu priva di contrasti. Si materializzò come un articolato compromesso che se di politico non aveva molto, ignorava del tutto la componente sportiva. Maturata sulla direttrice che andava da Sergio Fenoaltea, all’epoca sottosegretario alla presidenza del Consiglio – una delle figure più avvedute di quegli anni tormentati, in costante ma precario equilibrio tra politica e diplomazia –, fino al costituente Alberto Cianca, appena rientrato dal lungo esilio in Francia, dove aveva faticosamente alimentato il focherello di Giustizia e Libertà acceso dai fratelli Rossetti.

Per di più Onesti non era solo: attorno a lui si agitava un composito coro di “nuovi amici”, prontamente accorsi in soccorso: il socialista Valerio Gemma e l’azionista Lionello Cianca – figlio quest’ultimo di Alberto (appena nominato ministro nel governo Bonomi) e cugino di Claudio Cianca, a lungo attivo deputato del PCI romano –, il comunista Mario Vivaldi (che cercò a più riprese, in quei giorni, di far “epurare” Zauli dal CONI, e nel cui seno toccherà poi a Zauli richiamarlo), il democristiano Piero Crostarosa. Ciascuno latore di un’idea, di una proposta, di un suggerimento. Soprattutto, tutti assieme, in cerca di una collocazione e di una nomina equivalente a uno stipendio e a un po’ di potere.

A guardare all’indietro, si rintracciano altri pretendenti per l’incarico affidato ad Onesti. Per trovare il bandolo bisogna rifarsi ai difficili equilibri di quel primo esecutivo Bonomi, entrato in carica l’11 giugno 1944, a seguito delle dimissioni di Badoglio, e posto sotto tutela dall’AMG, l’amministrazione militare alleata, vera padrona del paese. Di quel governo facevano parte le personalità di maggior peso dei partiti che componevano il neo-costituito CNL. Tra loro spiccava Meuccio Ruini il quale tentò di rivendicare il CONI per Edgardo Longoni, affiancandogli come vice il conte Leonardo Bonzi, antifascista e pluridecorato (condannato a tre anni di confino, la pena gli era stata condonata per meriti di guerra), un latifondista dagli interessi economici variegati e che in gioventù, nel 1924, era stato l’alfiere italiano ai primi Giochi Invernali. All’epoca Longoni era condirettore di Ricostruzione, il quotidiano di Democrazia del Lavoro, rinata dal ceppo prefascista di Democrazia Sociale, formazione guidata proprio dall’anziano Bonomi e dallo stesso Ruini.

Presso l’Archivio Centrale di Stato è conservato il decreto di nomina di Longoni e del maggiore pilota Bonzi, proposti l’uno come commissario, l’altro come vice, “per provvedere alla temporanea amministrazione e gestione del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, a decorrere dalla data del presente decreto.” Data che non fu mai apposta e decreto che non fu mai firmato.[5]

Pur con quelle pesanti credenziali, l’ex amministratore di Gazzetta e Littoriale fu infine consigliato di farsi da parte. Alla fine dei giochi e, soprattutto, dei traffici tra funzionari di governo e maneggioni di sottogoverno, venne accantonato e, in seguito, – nel gennaio 1945 – dirottato a dirigere la neocostituita ANSA presieduta dall’ex fuoriuscito Renato Mieli. Longoni mantenne quell’incarico per poco tempo. Poi si ritirò in un paese del Varesotto dove, dimenticato dai più, si spense nel 1964, a ottantatré anni. Era stato un dirigente avveduto, ma soprattutto un grande giornalista che molto aveva innovato nella professione, partendo dalle lontane corrispondenze che faticosamente aveva inviato dalla Pechino-Parigi del 1911 ad un paio di testate britanniche.

 

Così il Comitato Olimpico toccò allo sconosciuto Onesti che ne uscirà solo trentaquattro anni più tardi, il 7 luglio 1978, ma solo perché invitato ad accomodarsi da una sentenza del Consiglio di Stato. Si ritirerà in una stanza del corridoio diametralmente opposto, dividendola per qualche mese col mite e signorile Giorgio de’ Stefani. Il giovane avvocato era nato a Torino il 4 gennaio 1912, ma negli anni della Grande Guerra s’era trasferito a Roma al seguito della famiglia. Qui era cresciuto e s’era laureato in giurisprudenza con una specializzazione in diritto canonico ottenuta alla Lateranense. Dopo la lunga permanenza al Foro Italico – da presidente e da membro del CIO, carica raggiunta dopo la morte di Zauli, – l’avvocato Onesti si è spento l’11 dicembre 1981, ucciso da un tumore alimentato col fumo e forse combattuto tardivamente.

Si è favoleggiato molto su quella nomina imprevista: si ripeteva a voce bassa, che a quella sedia – neppure tanto scomoda, per il vero – si fosse seduto per pressioni di Pietro Nenni che, si diceva, era stato amico di suo padre. Possibile, ma non provato. Semmai si può ricordare – come ha fatto Marco Travaglio anni addietro sul Giornale – che Nenni si mostrava infastidito della “inestinguibile fame di poltrone del CLN”, scatenatasi proprio coi due governi Bonomi: motivo per cui rifiutò assolutamente di farne parte. “Non entrerò in questo governo, – si era sfogato l’anziano leader, antico compagno di lotta, e di cella, di Mussolini –, non mi piace la sua struttura. Troppi ministri, troppi sottosegretari, scelti per giunta con criteri di conventicola massonica.” Quasi a voler indicare un percorso, o a seminare un sospetto.

Per di più il trentaduenne Onesti poco o nulla conosceva di sport e dei suoi rituali. E non aveva alcun imbarazzo ad ammetterlo. Anzi, lo fece a più riprese, vantandosi d’aver voluto accanto a sé solo “persone edotte” in quei misteri, proprio a causa di tale carenza. Anche se, sempre in seguito, interessati esegeti hanno inteso attribuirgli vivaci trascorsi da canottiere (nel suo ufficio al CONI, alle spalle della scrivania, teneva in mostra una foto giovanile che lo ritraeva ai remi di un sandolino). Qualche gara l’avrà pure fatta, certo. Ma semmai era stato un assiduo “fiumarolo”, erede dei mitici “pellerossa”, una specie estinta, che a Tevere scendeva per fini salutistici o al più per prendere la “tinta”, come si diceva a Roma.

Priva di fondamento anche la diceria che gli attribuiva un ruolo attivo, o anche soltanto di raccordo, nel movimento partigiano romano, ma che non risulta da alcuna fonte (come invece si attesta per Bruno Beneck che nei dintorni di Roma fu alla testa dell’AntiDecima, formazione braccata dalla Gestapo che ne arrestò molti esponenti senza catturare mai il capo). Semmai, visti i tempi grami, non si può certo imputare ad Onesti d’aver colto il modo per dare un seguito pratico ai suoi studi in legge rimasti fino ad allora senza sfogo e, soprattutto, dopo un fallito tentativo come assicuratore. E allora? Un’occasione gli era capitata, l’aveva semplicemente colta con quel senso pratico – c’era chi preferiva, bonariamente, tradurre in “cinico” – che lo precederà per l’intera esistenza.

 

Tornando alla torrida estate del 1944, fulmine a ciel sereno (si fa per dire) il CONI venne sfrattato dallo stadio per far posto a reparti australiani. Inizialmente furono requisiti i quattro/quinti degli uffici, poi – col 1° ottobre – giunse l’ordine di sgombero immediato e totale. La ricerca frenetica di nuovi locali – per l’interessamento della presidenza del Consiglio – approdò infine ad un piccolo hotel in disarmo, l’albergo Luxor di Via di Sant’Eufemia 19. Possiamo appellarci di nuovo ai ricordi di Onesti per ricostruire anche quell’episodio: “Il CONI era per la strada. Lo salvò Francesco di Campello, aiutante di campo del re, al quale fui raccomandato. Mi recai in bicicletta al Quirinale e la affidai alla custodia di un corazziere e mi presentai all’aiutante di campo del re, e il giorno dopo il CONI trovava alloggio in un alberghetto disoccupato di via Sant’Eufemia, sopra il Foro Traiano.”[6]

Ma in quelle anguste stanze c’era spazio solo per gli uffici del CONI. Le federazioni dovettero ingegnarsi a trovare altre collocazioni. La federazione d’atletica, ad esempio, s’era trasferita in un piccolo appartamento al n. 24 di Via Piave. Quello che c’era da salvare non era molto. Se ne occupò Ottaviano Massimi con l’aiuto del ragionier Ferruccio Porta, a lungo responsabile dei giudici e nota personalità della marcia internazionale. Per il trasporto non avevano trovato di meglio che … un carretto di piazza da spingere a mano. Caricate così sul pianale le casse e i faldoni d’archivio, a forza di braccia i due volenterosi trasportarono il prezioso carico fino alla nuova sede (dove a lungo rimase il Comitato Laziale della federazione).

Tra i primi visitatori del Luxor ci fu Giorgio de’ Stefani, appena rientrato a Roma dopo il volontario esilio in Svizzera, e subito rituffatosi nella riorganizzazione della federazione tennis. Nel suo libro di memorie, l’ex-capitano di Coppa Davis ha scritto:[7] “Nei locali del CONI incontrai Bruno Zauli che cercava di riassettare quanto era rimasto in piedi. Fui accolto molto benevolmente e poco dopo giunse Giulio Onesti. Le sue prime parole furono: ‘Ti abbiamo tanto cercato, dov’eri? C’è tanto da fare.’ Io risposi: ‘Eccomi qua.’ E con quelle poche parole, riprese la mia collaborazione col CONI.”

Fu proprio de’ Stefani, recatosi a Wimbledon nell’estate del 1946, in un incontro con l’aristocratico e bizzoso Lord Burghley (il protagonista di Chariot-of-fire) a riprendere i contatti con l’organizzazione sportiva inglese, contatti che portarono all’invito per i Giochi del 1948. La decennale e silente opera del gentiluomo de’ Stefani a favore dello sport italiano – da eccellente tennista dalle caratteristiche uniche, ambidestro capace di due “diritti”, da prezioso dirigente, da illuminato membro del CIO e dell’Esecutivo – non è stata ritenuta sufficiente, dai nuovi reggitori del CONI, perché gli venisse intitolato il “Centrale” del Foro Italico, attribuito ad altro nome. Proprio come è capitato a Zauli con lo Stadio delle Terme. Riconoscenze e riconoscimenti sono sempre stata merce rara nell’universo sportivo.

In ogni caso per il CONI si trattò di un esilio breve. Già nei primi mesi del 1945 Zauli e Onesti potevano rientrare a pieno titolo nei locali disastrati dello stadio, portandosi appresso le povere suppellettili. Sistemazione che lascerà, per accasarsi definitivamente al Foro Italico (come, dal luglio 1944, si chiamava il Foro Mussolini: una definizione che doveva essere provvisoria, ma che ovviamente è rimasta definitiva) a far data dal marzo 1951. Per rimarcare quel nuovo volto, sulle facciate principali del Palazzo H, vennero collocate due enormi scritte bianche, FORO a sinistra e ITALICO a destra. Tanto appariscenti quanto pacchiane. Opportunamente rimosse dopo Roma 1960.

Come visto, la prima incombenza che il reggente Onesti si trovò a dipanare concerneva gli impiegati. La considerava la priorità assoluta, un vero tormento per chi, come lui, era al primo lavoro (altro che avviato studio, come si scrisse in seguito, …). All’arrivo aveva verificato che il CONI aveva 84 dipendenti distribuiti su tredici uffici; le federazioni con sede a Roma ne contavano 285. Nella prima relazione al Governo – inviata a fine luglio, a un mese esatto dalla nomina – aveva annunciato l’intenzione di disboscare drasticamente quell’apparato che pareva cresciuto quale figliastro degenere del consenso al regime.

Al CONI sarebbero così rimasti solo 22 impiegati per cinque comparti: verranno accorpati a quattro alla metà del 1945, con l’aggiunta dell’ufficio stampa ch’era stato di Zauli (affidato ora a Giorgio Giubilo). Per le 17 federazioni, sarebbero stati riassunti solo 36 dipendenti, alcuni con doppi incarichi, come toccherà allo stesso Zauli, impegnato in primis nella ricostruzione della FIDAL.

Quali sono stati gli uomini e le donne che hanno “rifondato” il CONI democratico? Questi i nomi da ricordare, con l’avvertenza che furono riassunti solo per due mesi – dal 1° novembre al termine dell’anno –, ma poi confermati in blocco nel 1945.[8] In segreteria c’erano Ferruccio Colucci (responsabile), Ottavio Ranzi, Ettore Silvi, Mario Piccinin, Anna Prosperelli (la fedele segretaria di Zauli); agli affari generali Americo Gatta, Giovanni Ribes, Teclo Crisanti, Alfredo Calzetta, Giulio Matiddi, Giovanni Felici; all’amministrazione Caio Tiddi, Luigi Chamblant, Solidea Rocchi; alla gestione impianti: Carlo Salimbeni Taurelli, Dery Di Bello; all’ufficio studi Raniero Nicolai, An-tonio Vannucci; al centralino Teresa Leone. Tutto qui. Il piano generale di quel riordino, neanche a dirlo, lo aveva preparato Zauli che più di tutti conosceva la situazione pregressa, congelata dagli eventi, e soprattutto l’affidabilità delle persone. Anche se molte delle caselle dell’impianto originale rimasero vuote.

 

A questo punto appare opportuno ricordare per sommi capi chi è stato Bruno Zauli, un uomo la cui ombra copre un lungo tratto dello sport italiano – almeno dagli anni Venti fino ai Giochi di Roma – e al cui lavoro e alle cui idee si devono, ridotti in soldoni:

– la riorganizzazione, nel dopoguerra, dello sport nazionale in chiave democratica (fu lui a stilare i primi statuti e regolamenti del Comitato Olimpico);

– il trasferimento del Totocalcio dalla SISAL al CONI;

– la ricostruzione e l’ampliamento della rete impiantistica;

– l’introduzione e lo sviluppo dello Sport nella Scuola;

– la doppia celebrazione olimpica di Cortina 1956 e Roma 1960.

Molto altro si potrebbe aggiungere alla sua biografia. Una parte per il tutto: la ricostruzione da zero della federazione d’atletica e il merito – condiviso con almeno tre notevoli personalità d’anteguerra, Alberto Bonacossa, Giovanni Mauro e lo stesso de’ Stefani – della ripresa dei contatti internazionali per l’ammissione dell’Italia, unico paese tra gli aggressori, ai Giochi del 1948, prima invernali e poi estivi. Sul piano internazionale, Onesti sarebbe arrivato dopo, ma raggiungendo nel 1964 (a dieci mesi dalla morte di Zauli) il soglio olimpico.

Una vita intensa se non lunga, quella di Zauli, improntata al culto per uno sport percepito, e vissuto, quale sintesi finale tra valore fisico e idealità morali. Ancora Brera aveva scritto: “Vedeva nello sport un mezzo educativo così importante da assurgere a ideale di redenzione patria. Non sono, benché sembrino, parole troppo grosse.” Ma se Zauli poteva dirsi un mistico, di certo nel concreto era un innovatore.

Con una frase un po’ retorica si potrebbe affermare che Zauli sia stato la “voce narrante” dello sport italiano nel quarantennio attraversato nelle sue molte vite: da atleta e da dirigente/allenatore, da medico e da giornalista, ma soprattutto da educatore, nel nome di una missione che si era imposto come un cilicio e che ha improntato l’intera sua esistenza.

“Colto, preparato, fervido di vita interiore, abile parlatore” – sono le parole di un altro grande giornalista dei suoi giorni, il torinese Renato Morino – Bruno Zauli era in possesso di una personalità forte, determinata, poco incline ai compromessi, la quale se gli consigliava prudenza nelle scelte, lo rendeva nel contempo determinato nel loro perseguimento. Studiava i problemi quasi maniacalmente, elaborando le soluzioni attraverso passaggi logici e progressivi. Molto più interessato ai risultati che agli annunci, trascorreva la giornata fino a notte nel suo ufficio del Foro Italico, arredato spartanamente col solo lusso di alcune foto in bianco/nero dello Stadio Olimpico, impianto alla cui costruzione aveva dedicato molte energie e lunghi mesi di lavoro.

Zauli è ricordato volentieri, e non a sproposito, per l’introduzione e lo sviluppo dello sport nella scuola. Un progetto ufficialmente partito nel 1950 ma che egli aveva elaborato sin dall’inizio degli anni Trenta, nei viaggi compiuti a Londra e a Los Angeles dove aveva avuto modo di studiare da vicino le realtà sportive anglosassoni. Specie la scoperta della California, con i suoi campus universitari, costituì una rivelazione che gli additò la strada da percorrere.

Il progetto finale prese corpo nei primi mesi del 1944 quando cominciò a pubblicare i primi elaborati sul Corriere dello Sport che allora usciva in un solo foglio. Il resto lo fece la rapida sintonia del piccolo CONI del tempo e con il CSI di Luigi Gedda, che già l’anno seguente aveva dato corpo nel centro-sud ai primi campionati studenteschi.

Nelle difficili condizioni economiche del paese, parve più che un miracolo che solo in sei anni – grazie anche alle nuove disponibilità economiche del CONI provenienti dalla schedina – poterono decollare i primi Gruppi Sportivi scolastici (si ricordi, con un piccolo contributo finanziario degli studenti e delle loro famiglie) grazie all’accordo con il ministero della P.I. E nello stesso tempo prendesse l’avvio il piano per la costruzione dei campi scuola per l’atletica leggera (e più tardi per le piscine) – uno per provincia – e si varasse un apposito quindicinale di informazione affidato a Sisto Favre, primo italiano accolto nell’Accademia Olimpica greca.

Nel pensiero di Zauli il progetto – aperto quasi subito anche alle ragazze, e questo non era affatto scontato nell’Italia dei primi anni Cinquanta – avrebbe dovuto toccare il suo apice nel 1975: quando la generazione dei giovani che aveva conosciuto lo sport a scuola, sarebbe entrata nel mondo del lavoro con capacità decisionali. Tutto allora sarebbe diventato più semplice e generalizzato.

Non andò così: il 1975 è invece ricordato nello sport per l’ingresso forzato del CONI nel Parastato, un atto che ne frenò indubbiamente lo slancio, avviandolo verso una stagione di stretta osservanza sindacale che ha finito con snaturarne gli scopi iniziali. Gli stessi studenteschi avevano esaurito la loro spinta dopo i Giochi di Roma, quando sarebbe stata necessaria una seconda fase. Che non arrivò. Così come non giunse mai a maturazione lo sport nelle Università, da noi inteso sempre come un ridotto comparto dell’attività federale.

Zauli era medico, laurea che aveva preso con lode nel rispetto della volontà paterna. Ma avrebbe voluto studiare architettura, un desiderio alla radice del suo impegno nell’edilizia sportiva. Si pensi alla sua opera per gli impianti di Cortina e di Roma e in particolare per lo Stadio Olimpico che fu inaugurato nel maggio 1953. Basti un solo dato, in anni nei quali il CONI era il solo protagonista nella progettazione e nel finanziamento degli impianti sportivi, come responsabile del servizio impianti, incarico mantenuto fino al 1962, Zauli ha autorizzato e finanziato oltre 1200 impianti sportivi.

Tra questi figurano i 12 grandi “impianti prototipo”, ideati per discipline diverse, nei quali rientrava la Scuola di Atletica Leggera di Formia aperta nel 1955. Una realizzazione alla quale dette un seguito accettando l’elezione plebiscitaria a sindaco della città, ricostruendola in pochi mesi dalle macerie della guerra e dotandola di scuole, strade, acquedotti, nuovi quartieri per chi aveva perso la casa sotto i bombardamenti.

 

Gli ultimi anni della vita di Zauli, lacerato il rapporto con Onesti, furono privi di serenità e soddisfazione, specie a cavallo dei Giochi di Roma, al cui programma lavorò con impegno rifacendosi a quello che aveva già stilato per l’edizione del 1944, assegnata dal CIO a Londra, anche se poi la guerra si portò via tutto. Ma senza ricevere i riconoscimenti dovuti.

Quel clima crepuscolare lo ha rievocato a tinte forti Brera: “Era all’opposizione e gli amici lo sapevano. Rimaneva sulla diligenza del Foro Italico perché ormai non avrebbe saputo vivere se non su quella. Ma disapprovava, talora aspramente. Forse anche per questo lo si chiamava, dato il suo grande prestigio, a dirimere questioni sempre più inciprignite dall’avversione, dall’interesse di parte. A lui le funzioni più ingrate, a lui le grane più impopolari, Teneva come sempre il suo posto con dignità e accortezza politica. Era però profondamente disanimato e anche questo sapevano gli amici.”

Una di quelle funzioni ingrate gli cadde addosso alla vigilia di Roma, quando Onesti lo incaricò di rifondare il calcio malandato di quegli anni e portarlo fuori dalle secche nelle quali si era arenato negli anni Cinquanta. Come sua indole, non si tirò indietro. In pochi mesi venne a capo della questione, muovendo da una riforma economica delle società, una ridistribuzione dei club e, soprattutto, prioritarie norme di tutela per i giovani calciatori, messi al riparo del vincolo.

Ma era una riforma che a molti non piaceva, in specie ai padroni delle società, i “ricchi scemi” come li aveva etichettati Onesti. Conseguenza fu che la squadra olimpica di calcio, qualificatasi per la fase finale dei Giochi di Tokyo, venne fermata quasi sulla scaletta dell’aereo perché i club non intendevano più concedere i loro giovani al CONI. Il quale CONI se ne fece una ragione approvando in C.N. la rinuncia alle Olimpiadi (una decisione unica nella storia del Comitato). Il calcio italiano tornerà ai Giochi solo un quarto di secolo più tardi.

Quando fu presa quella decisione, così poco onorevole per tutti, Zauli era morto da qualche tempo. E la storia, com’è noto, la scrive sempre chi sopravvive.    
 



 

[1] Memoria manoscritta, senza titolo, databile agli ultimi mesi del 1944. Le cancellature presenti nel testo sono state riportate in caratteri barrati. (Archivio Zauli).

[2] Riunione del Consiglio del Ministri della RSI, 28 settembre 1943. Nel movimento dei prefetti proposto dal ministro dell’Interno Buffarini Guidi, i due ex-presidenti del CONI Parenti e Manganiello furono destinati come prefetti rispettivamente a Sondrio e a Firenze. (Renzo De Felice, “Mussolini l’alleato”, Einaudi, 1997).

[3] Nella denuncia di Onesti, indirizzata alla presidenza del Consiglio in data 6 dicembre 1944, per il gerarca Alfredo Santarelli si legge: “Ha tentato illecitamente di impossessarsi del CONI (5 giugno) al quale non potrebbe, del resto, neppure appartenere dato che il suo certificato penale non risulta immacolato. Notoriamente creatura di vari gerarchi fascisti dei quali si è servito per una rapida e immeritata carriera nell’ambito sportivo. Si suggerisce si indaghi sulla sua attività fascista in Francia.”

[4] Per una analitica ricostruzione storica del periodo 1943-1946 e su tutte le vicende del CONI tra gli anni Venti e fine 1963 v. Gianfranco Colasante, “Bruno Zauli”, Garage Group Srl, Roma, 2015,

[5] ACS, PC, Gab., 1955-58, fasc. 3-2-5/10024-13. Per Longoni, in alternativa, era stata proposta la presidenza della Consociazione Turistica Italiana, l’ex Touring Club.

[6] Il Messaggero, 13 Luglio 1977.

[7] “Appunti e Ricordi” di Giorgio de’ Stefani, Tip. Morara, Roma s.d. [1980 ?]        

[8] “Funzionari, impiegati e subalterni (assunti) con contratto bimestrale il 1° novembre 1944”. (Archivio Zauli).