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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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IAAF / Tra Bubka e Coe chi sara' il nuovo presidente?

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Martedì 3 Febbraio 2015

La lotta tra due grandi ex-atleti per governare uno sport che ha molti problemi e che necessita di una rapida rifondazione


LUCIANO BARRA

Con il recente annuncio di Sergej Bubka, che segue quello di alcuni mesi fa di Sebastian Coe, la corsa alla presidenza della IAAF è incominciata sul serio. Non è prevedibile un terzo candidato, anzi ce ne è sempre stato solo uno, e va ricordato come in 103 anni di storia il nuovo eletto sarà solamente il sesto presidente della federazione internazionale di atletica, a sottolineare quanto questa federazione sia stata nel tempo molto “conservatrice”. Prima di iniziare, merita un breve excursus su quanto accaduto in questi 103 anni, anche per meglio capire cosa ci attende. Vediamo. Tre giorni dopo la conclusione dei Giochi Olimpici di Stoccolma 1912, Siegfrid Edström – velocista svedese di livello nazionale – forte dal successo dei Giochi di cui era stato presidente, fu l’artefice della fondazione della IAAF diventandone presidente, scettro tenuto per ben 34 e lasciato solo per andare a presiedere il CIO. Rimane famoso per aver impedito a Paavo Nurmi la partecipazione ai Giochi di Los Angeles del 1932 con l’accusa di professionismo. Ciò creò una dolorosa frattura fra Svezia e Finlandia che fu rimarginata solo nel 1952, quando a Nurmi fu dato l’onore di accedere il tripode all’apertura dei Giochi di Helsinki.

A Edström successe David Burghley, quarto marchese di Exeter. Campione olimpico ad Amsterdam nel 1928 nei 400 ostacoli e grande rivale di Luigi Facelli. Esiste una storica foto di Exeter assieme a Facelli: sembra che il nostro si inchini davanti al futuro Lord. E ciò sintetizza molto bene i 30 anni della sua presidenza: referenza e poca democrazia. Non aveva mai voluto dei vice-presidenti nello Statuto della IAAF ed aveva fatto sì che con i voti “plurimi” il potere fosse saldamente nelle mani dei paesi del Commonwealth. Ricordo il primo Congresso della IAAF a cui partecipai, nel 1970 a Stoccolma. Exeter lo presiedeva alla sua maniera. I delegati africani (fra i quali l’attuale presidente della IAAF Lamine Diack) alzare il braccio per chiedere la parola, e lui (Exeter), con il suo famoso martelletto, picchiare sul tavolo e ignorandoli, annunciare “next point”.

O quando, nel 1973, arriva a Rotterdam, sede degli Europei Indoor, senza valigia, ma dall’aereo sbarcò invece la sua Rolls-Royce. Poi ancora, nel 1974, ai Campionati Europei di Roma (allora non esistevano Mondiali e la IAAF era anche finanziata da una percentuale delle entrate televisive degli Europei), preferì non venire perché in quei giorni, nel suo maniero, si svolgeva un tradizionale Concorso Ippico. Burghley detestava ogni modernizzazione e qualsiasi rapporto con gli sponsor. A Edimburgo, durante la finale di Coppa Europa del 1973, il suo futuro successore, Adriaan Paulen, voleva fare entrare nella tribuna d’onore il proprietario dell’Adidas, Horst Dassler. Paulen lo disse ad Exeter che gli chiese: “è membro del Consiglio della IAAF?” Ovviamente la risposta di Paulen fu un “No”. “Allora fuori” replicò Exeter.

Non a caso fu proprio Paulen, due anni più vecchio di Exeter, a prendere il suo posto nel 1976 al Congresso di Montreal, proprio con Horst Dassler come grande sponsor. Pur essendo un buon corridore di 400 metri, il miglior risultato di Paulen fu un settimo posto negli 800 ai Giochi del 1920. La sua presidenza, anche a causa dell’età, durò solo cinque anni, ma Paulen era un personaggio eccezionale e, dopo il trentennio di conservatorismo di Exeter, fu lui a dare nuovo slancio all’atletica internazionale. A lui va il merito di aver inventato la Coppa del Mondo, di aver ammesso la Cina nella IAAF al Congresso del 1978 a Puerto Rico, ad aver avviato il cambio delle regole sul dilettantismo e nell’aver approvato l’introduzione dei primi Campionati del Mondo, assegnati a tempo di record ad Helsinki per il 1983.

L‘aneddoto che neglio raffigura il personaggio è quello relativo alle sue visite agli uffici della IAAF, allora ospitati nella consunta sede di Putney. Paulen andava di sera all’aeroporto di Amsterdam con la sua Alfa Romeo (con cui aveva partecipato a otto Rally di Montecarlo e a una Mille Miglia). Dormiva in macchina e prendeva il primo aereo della mattina per Londra: sfruttando il fuso orario era in ufficio alle otto per poi tornare nel pomeriggio, niente classi business o aerei privati! Il boicottaggio di Carter ai Giochi di Mosca favorì la sua non ri-elezione. Infatti il Congresso di Mosca vide l’assenza di tutti i più importanti paesi occidentali, tanto che le elezioni vennero spostate a Roma dove, nel 1981, si svolgeva la Coppa del Mondo.

Paulen “soffriva” Primo Nebiolo, essendo completamente differente da lui, ma lo stimava. Anzi, aveva ben chiaro che Nebiolo era il solo a poter gestire la nuova IAAF che lui aveva contribuito a far crescere. Fu nel maggio del 1981, durante una finale della Coppa dei Campioni di calcio a Parigi (vinse il Liverpool per 1 a 0 sul Real Madrid) che grazie a Samaranch, Dassler e Carraro, venne trovato l’accordo per la successione. Ricordo che mi disse: “Come potevo, da solo, resistere alla vostra potenza Italiana, dalla mia avevo solo il mio segretario senerale, che suona il piano, …”. Il resto, la presidenza di Nebiolo (durata 18 anni) e quella di Diack (16 anni) è storia dei nostri tempi, che ho vissuto in prima persona, e non è giusto da parte mia, darne un giudizio, anche se meriterà un giorno rivisitare quei lunghi 34 anni.


I GRANDI ATTUALI PROBLEMI

Parlare dell’attuale corsa alla presidenza della IAAF sarebbe improprio se non si affrontassero i reali problemi dell’atletica di oggi. Infatti, il Congresso di Pechino del prossimo agosto dovrà scegliere colui che dovrebbe risolvere
questi problemi. Altrimenti l’atletica rischierà di perdere la sua leadership nel Movimento Olimpico, già fortemente intaccata.

I grandi problemi dell’atletica, detta in maniera semplice, sono quattro: a) Il suo appeal; b) il doping; c) il suo programma di gare; d) la responsabilità finanziaria. Vediamoli in ordine.

a) L’appeal dell’atletica –
Piaccia o non piaccia, è misurato in maniera esatta ed impietosa dai dati di ascolto televisivi, dati oggettivi che sono in crollo verticale. Il tutto viene nascosto dal sostanziale aumento delle ore di trasmissione, dovuto solo alla moltiplicazione delle piattaforme televisive, non certo dagli indici qualitativi d’ascolto. Questi i dati che riguardano gli ascolti dei Campionati del Mondo, da quando esiste una misurazione ufficiale, in Europa, vale a dire il mercato più importante che tra l’altro produce alla IAAF entrate superiori al 60% del suo totale (80 milioni nei 4 anni).


COMPARAZIONE DEI 10 ANNI – MONDIALI
Ore di trasmissione TV / Audience spettatori (x 1000)

Parigi 2003 – 1590h 33’ / 509.274
Helsinki 2005 – 1855h 05’ / 484.039
Osaka 2007 – 2035h 00‘ / 251.000
Berlino 2009 – 2133h 46’30” / 493.035
Daegu 2011 – 1687h 00’ / 201.904
Mosca 2013 – 2094h 14’48” / 277.092

E’ facile dedurre che nonostante il forte incremento di ore televisive (per i motivi su citati) vi è un crollo verticale degli ascolti. Gli stessi ovviamente sono più alti quando i Mondiali si svolgono in Europa, ma come si può vedere questo non è stato il caso di Mosca 2011. Difficile prevedere che l’edizione di Pechino 2015 e quella molto discutibile di Doha 2019 prevista ad Ottobre risollevino gli ascolti. Forse solo Londra nel 2017 segnerà un ritorno a cifre pari a quelle del 2003 , 2005 e 2009.

Appare di contro impietoso (in negativo) il paragone con i Campionati Europei, che si svolgono solo su 6 giorni e non su 9 giorni come i Mondiali. Questi i dati, che mostrano un calo solo nell’edizione “ridotta” di Helsinki 2012:

COMPARAZIONE DEI 12 ANNI – EUROPEI

Ore di trasmissione TV / Audience spettatori (x 1000)

Monaco 2002 – 1187h 35’24” / 394.928
Göteborg 2006 – 1425h 12’52” / 340.461
Barcellona 2010 – 1583h 47’59” / 368.319
Helsinki 2012 – 1017h 17’33” / 149.660
Zurigo 2014 – 1728h 24’23” / 358.440

Non va poi dimenticato che, anche a livello olimpico, gli ascolti dell’atletica non abbiano premiato la IAAF. Infatti, fino a Londra 2012, il CIO aveva messo la IAAF al primo posto fra le Federazioni Internazionali, con una contribuzione pari al doppio delle altre federazioni. Dopo Londra, nella distribuzione, la IAAF è stata raggiunta dal Nuoto e dalla Ginnastica, perdendo una decina di milioni di dollari. Su ciò hanno influito molto gli aumentati ascolti televisivi di queste due ultime discipline e, nel contempo, il calo di quelli dell’atletica. E’ un paragone non giusto per moltissimi motivi. L’atletica, purtroppo, durante i Giochi (nelle sue sessioni pomeridiane) dura oltre 3 ore, mentre le altre discipline hanno finali più compatte, spesso intorno all’ora. Questo fa si che gli ascolti, che vengono misurati sui valori medi, alla fine punisca l’atletica. Qui ci sarebbero da fare altre valutazioni tecniche e politiche. Il predecessore di Diack avrebbe spalancato la porta dell’ufficio del presidente del CIO, chiunque lui fosse, con i piedi prima di permettere tale declassamento.

Il motivo di tutto ciò? La stucchevole visione dei vari meeting della Diamond League, importanti solo a livello nazionale, e di totale disinteresse in campo internazionale. Un dato su tutti: l’ultima edizione della European Team Championship (la vecchia Coppa Europa) su due giornate gara e con un livello tecnico molto modesto, ha registrato un ascolto di oltre 10 milioni di telespettatori. Tutta la Diamond League, su 16 giornate in TV, non ha avuto più 50 milioni di ascoltatori. A significare che quando gli atleti gareggiano con la maglia del proprio paese, esiste un interesse maggiore mentre quando si tratta di una fiera multi-colorata, dove nessuno capisce chi-è-chi, c’è meno interesse. Ma soprattutto perché non si ha il coraggio di mettere mano al sistema dei meeting che sta uccidendo l’atletica in mano, spesso anche se non sempre, a manager poco scrupolosi (ora anche coinvolti nel doping) espropriando le federazioni delle loro competenze.

b) Il doping –
Che dire? Quanto accaduto in questi ultimi mesi è sconvolgente. Non sono un esperto della materia ed evito di commentare i dati pubblicati di recente. E’ vero che la IAAF è la Federazione Internazionale che fa più controlli doping, ma è un fatto che ora è anche in testa alla graduatoria dei casi “positivi”. La Russia e gli Stati Uniti hanno dato un grande aiuto al raggiungimento di questa terribile posizione. Ora raggiunti dal Kenya e dai sospetti che gravitano sulla Giamaica. Ma sarebbe limitante indicare la responsabilità su individui, chiunque essi siano.



Il vero problema resta il “modello di atletica” che negli ultimi venti anni si è perseguito: record e dollari a tutti i costi. Fino a quando non si cambierà questo modello, il problema del doping non si risolverà. Così come fino a quando non verranno introdotte norme chiare per investigare e squalificare tutti coloro che gravitano attorno agli atleti (medici, tecnici, manager e quanto altro) il bubbone non si estirperà . Chi crede che siano gli atleti a “doparsi” solo per il risultato, non ha capito nulla.


c) I programmi gare –
Oggi, in campo internazionale, se si escludono i Campionati del Mondo, gli Europei e le gare ai Giochi Olimpici, tutto il resto è di poca importanza, talvolta spazzatura, senza alcuna connessione fra loro. L’atletica non ha saputo, in questi ultimi decenni, adeguarsi a quanto hanno fatto altre Federazione Internazionali, per proteggere i proprio Campionati del Mondo e per collegarli eventualmente alle altre gare in programma nell’anno. Non solo: è un errore che le stesse regole tecniche siano applicate ai Campionati del Mondo o Giochi Olimpici così come all’ultima gara provinciale. A Wimbledon le regole del gioco sono differenti rispetto alla Coppa Davis, ai tornei non del Grande Slam e alle manifestazioni nazionali. Ovviamente non mi riferisco alle regole tecniche che stabiliscono come vanno regolate misure e tempi. Mi riferisco alle normative di sviluppo delle varie manifestazioni. Che ai Giochi del Mediterraneo, od a tutte le altre manifestazioni di questo tipo, siano previste qualificazioni, turni eliminatorie e finali è una maniera per appesantire il calendario e logorare gli atleti. Ci sarebbe da dilungarsi su questo tema, ma è sufficiente seguire quanto fanno molte discipline (soprattutto quelle invernali, comprese le gare “miste” o “ad handicap”) e farsi un’idea delle possibilità esistenti. In materia ho scritto tanto già nel passato e sarà utile ritornarci più avanti.

d) La responsabilità finanziaria -
In inglese si chiama “accountability” e significa tante cose, ma soprattutto “responsabilità ed obbligo di rispondere a qualcuno”. Che le gestioni finanziarie di moltissime Federazioni Internazionali siano fuori controllo è cosa ben nota, non vale pena fare esempi. E questa è anche una responsabilità del CIO, che di fatto – nella maggioranza dei casi – finanzia lo shareholders maggioritario delle stesse, grazie ai contributi provenienti dai Giochi Olimpici. La Raccomandazione n. 27 dell’Agenda 2020 è così intitolata: All organizations belonging to the Olympic Movement to accept and comply with the Basic Universal Principles of Good Governance of the Olympic and Sports Movement (“PGG”). Introduce quindi un principio fondamentale. Sarà da vedere come verrà regolamentato e poi applicato.

Nel caso della IAAF esiste un altro aspetto da non trascurare. Nel corso degli anni la IAAF ha costruito nel proprio bilancio riserve finanziarie molto importanti. Si parla di oltre 75 milioni di dollari che alla fine del 2015 dovrebbero salire a 90. Nonostante questo la IAAF, nell’assegnare le proprie manifestazioni, mette Organizzatori e Federazioni in condizioni proibitive. Basti pensare ai Campionati del Mondo dove gli Organizzatori o le Federazione Nazionali devono garantire la copertura finanziaria di: produzione televisiva, viaggi e soggiorni degli atleti, premi in denaro agli atleti, viaggi e soggiorni dei vari dirigenti, organizzazione del Congresso, ecc. ecc.

Questa policy fa si che, nella maggioranza dei casi, la IAAF non ha più candidature per organizzare le sue varie manifestazioni e quando ne ha più d’una, come per i Campionati del Mondo, essi di fatto finiscono al maggior offerente. Ciò è immorale. Ricordo che nelle prime edizioni dei Mondiali, la IAAF dava un sostanziale contributo di 6 milioni di dollari agli Organizzatore e prendeva a suo carico tutte le spese su citate. L’appetito vien mangiando, ma quel che è grave è che questa bramosia della IAAF si è ampliata proprio nell’ultimo decennio, quando la situazione economica internazionale ha messo in grave difficoltà tutte le Federazioni d’atletica.


RIUSCIRANNO I NOSTRI EROI?

La domanda che ora tutti si pongono è se riusciranno i nostri due eroi candidati alla Presidenza IAAF a correggere la rotta? Le premesse ci sarebbero, ma una cosa è la teoria e un’altra sarà la pratica. Coe ha lanciato un suo manifesto ed un suo sito (www.sebcoe2015.org) esteso ed abbastanza dettagliato. Sicuramente molto seguirà. Bubka, nel fare il suo annuncio, ha scritto solo 113 parole, inclusi la titolazione come ha sottolineato Inside the Games. Questa è già di per sé una chiara indicazione.

Quando si parla dei due eroi si fa sempre riferimento ai loro risultati sportivi, che nulla hanno a che spartire con la loro eventuale capacità a gestire un’azienda da 200 milioni e più ogni quadriennio. Come dirigente Coe ha sicuramente dimostrato di aver maggiori capacità, soprattutto grazie all’organizzazione dei Giochi di Londra di cui è stato il grande artefice. E’ nota la sua grande capacità di ispiratore. Bubka, più fresco dei suoi record e grazie alla sua elezione al CIO come rappresentante degli atleti, ha fatto una carriera molto più veloce nel Movimento Olimpico, fino ad essere eletto Membro dell’Esecutivo, cosa avvenuta proprio nella Sessione di Londra 2012, pur con un voto molto contrastato, senza tuttavia lasciare alcun segno importante. Anzi Diack gli attribuisce la colpa di non aver difeso la IAAF (sia nell’ASOIF, dove Bubka la rappresenta) che nell’Esecutivo del CIO, quando si è discusso della divisione dei contributi per Londra 2012.

Qualcuno dice che il problema di Bubka è quello di aver volato troppo alto nel salto con l’asta e ciò ha caratterizzato le sue ambizioni dirigenziali. Solo così si comprende la sua candidatura alla presidenza del CIO dove ha subito una grave umiliazione ottenendo voti pari al palmo della mano. Recentemente Bubka, durante l’ultima Sessione del CIO, parlando dello scandalo del doping in Russia, ha fatto dichiarazioni che hanno fatto sorridere. Proprio lui, ex-atleta dell’URSS e figlio di quella cultura sportiva, ha voluto condannare la situazione e prendere le distanze da quanto era accaduto. Peccato che lui sia noto per il suo silenzio all’interno del Consiglio della IAAF su tale materia e che presieda un Comitato Olimpico, quello dell’Ucraina, dove non solo non esiste un’Agenzia Nazionale Antidoping indipendente (come accade in Russia), né un laboratorio doping ufficialmente riconosciuto (che è sospettato di svolgere attività di screening pre-competition, cosa proibita) e dove i casi doping negli ultimi anni sono stati molteplici (oltre venti) e tutti a causa di steroidi!

Sapete chi deciderà, alla fine? Sarà Lamine Diack! Infatti, pur essendo al momento l’anatra zoppa (lame duck) della situazione, causa gli scandali che hanno coinvolto il figlio, lui se la caverà e – in un’intervista di alcuni giorni fa all’Equipe – ha detto: "Now there are two candidates who want to lead the global athletics. I reserve for me the opportunity to give my opinion and say later which one will suit better for the position and why. I will give the reasons for my choice, but it is clear he will have a lot of challenges."

Il problema sarà quanto negativamente influiranno il figlio, e gli altri intorno a lui, che devono salvare la loro testa. Certo se Diack avesse il coraggio di indicare la corretta via e non essere influenzato da altri fattori, lascerebbe una bella immagine.

 

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