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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Amarcord / Europei 1946: quel lungo volo verso Oslo ...

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Martedì 12 Agosto 2014

brera(gfc) Cominciano oggi a Zurigo gli Europei d'atletica. La storia da raccontare ha come sfondo l’estate 1946. E mi piacerebbe la leggessero anche i giovani azzurri volati da Fiumicino a Zurigo. “Erano i giorni – come scrisse Gianni Brera – in cui avere i calzoni malconci non era grosso disonore ancora, perché l’importante era averli”. Da poche settimane un referendum – dopo due anni di guerra civile – aveva stabilito che l’Italia sarebbe stata una repubblica. L'Europa era un immenso cimitero sul quale era scesa, come la chiamò Churchill, una impenetrabile e grigia cortina di ferro. Era l’agosto del 1946. Ad Oslo si disputavano i terzi campionati europei di atletica (i primi s’erano tenuti a Torino nel ’34). Da pochi mesi nello sport s’era costituito il binomio Giulio Onesti / Bruno Zauli, due personalità non sempre in sintonia, ma che si rispettavano pur senza amarsi e che ricostruiranno assieme l’intero sport italiano. Il CONI, con diverse federazioni tra cui la FIDAL, era tornato nei malsani sottoscala dello Stadio Nazionale, al Flaminio, appena riconsegnati dagli americani. Il Foro Italico, come si chiamava ora il Foro Mussolini, era stato requisito per ospitare le salme dei caduti americani in attesa del rimpatrio. In quello scenario, grazie soprattutto ai contatti di Zauli e del conte Alberto Bonacossa (membro italiano del CIO), il rientro internazionale dell’Italia sportiva avverrà proprio a quegli Europei. Il solo paese tra gli sconfitti a figurare sulla pista in terra dello stadio Bislet. 

L’anziana squadra italiana, che s’era ricostituita da pochi mesi, contava su una ventina di atleti, tra loro solo due donne. Era stata affidata a Giorgio Oberweger, C.T. più di fatto che di nomina. Anche perché non c’erano soldi neppure per un rimbordo, altro che contratto. Il problema da risolvere, quello vero, restava come arrivare ad Oslo, l’antica Christiana ch’era stata una delle roccaforti della lotta al nazismo. Un viaggio in treno, con città distrutte, binari divelti, ponti crollati in tutta Europa, sarebbe stata una lunga e incerta odissea. Fu allora che spuntò l’idea dell’aereo. Ma di aerei non ce n’erano proprio: il trattato d’armistizio aveva imposto la distruzione dei pochi esemplari sopravvissuti alla guerra, senza rispettare neppure quelli conservati nei musei dell’aria.

I pochi mezzi aerei autorizzati erano a disposizione del Governo. E fu alla presidenza del Consiglio che un giornalista del CONI, Gorgio Giubilo, avanzò la richiesta. Della trattativa – durata settimane – fu incaricato un giovane funzionario del Ministero degli Esteri, Donato Martucci, appena rientrato da Lisbona dove aveva operato presso la nostra ambasciata, col compito di captare i messaggi dell’intelligence inglese e ritrasmetterli come poteva a Roma. Grazie anche a lui l’aereo alla fine fu trovato e reso disponibile sulla pista di Linate. La personalità e la profonda cultura di Martucci colpì molto Onesti che lo volle a capo del nuovo ufficio stampa del CONI. Dove Martucci resterà fino al 1981.

Messe finalmente a posto le tessere del puzzle, il lungo viaggio aereo poteva decollare (era la prima volta nella storia che una squadra d’atletica volava tutta assieme). Un viaggio mirabolante raccontato da Gianni Brera che su quell’areo c’era salito, non sappiamo quanto di malavoglia. “Ci incontriamo sulla pista di Linate, – scrisse il grande giornalista innamorato dell’atletica – stiamo per involarci alla volta di Oslo. Ci trasporta un Savoia Marchetti 91 a tre motori: di legno e tela, anime sante! Viene caricata l’intera squadra atletica destinata agli Europei 1946. Come non riusciamo a superare le Alpi, scendiamo per l'Isère fino alle Bocche del Rodano. Siamo due soli a riflettere sulla morte possibile, forse imminente: Oberweger ed io [entrambi, in guerra, avevano servito tra i paracadutisti]. La Piccinini divora la merenda sua e dei compagni svenuti o boccheggianti. Imponenti pareti rocciose ci si profilano davanti: vaghiamo a lungo sperduti fra gli apicchi, prima di sfociare stremati, al Mediterraneo. Poi caleremo a Parigi, a Brema, e finalmente poseremo le ruote malconce sulla pista breve di Oslo. Saremo stolidamente fieri del nostro ippogrifo di pezza (che nessuno, ovviamente, vorrà comprare)".

Arrivati e salvi, come andarono poi le cose sul campo, lo sanno tutti. Il discobolo Adolfo Consolini [1917-1969], il maggior atleta italiano del dopoguerra, ad Oslo c’era arrivato da giorni, dopo una tournée che l’aveva portato a Zurigo, a Praga, fino a Vålådalen, ospite di Gösta Olander, il creatore di quella filosofia della corsa chiamata Fartlek. Consolini aveva trascorso la guerra in un battaglione d’artiglieria, ma senza abbandonare il disco. Non per nulla, proprio all’inizio del 1946 aveva ritoccato il suo primato mondiale portandolo a 54.23. Per una curiosa circostanza il maggior rivale lo aveva trovato in casa, in Beppe Tosi [1916-1981], un gigantesco corazziere novarese di stanza a Roma. L’epopea di Consolini e Tosi al vertice del disco mondiale ebbe inizio proprio ad Oslo: Consolini si impose con 53.23 contro i 50.39 del rivale, secondo. Un uno-due ripetuto in fotocopia alle Olimpiadi di Londra 1948 e nelle due successive edizioni degli Europei, a Bruxelles nel 1950 e a Berna nel 1954.

PS – Si può aggiungere che su quell’aereo volò anche Carlo Monti – terzo nei 100 metri con 10”8 – che quest’anno ha maturato i suoi splendidi 94 anni, gran parte dei quali scrivendo di atletica (tra le sue ultime fatiche ricordo “Marcia Mondiale”, il racconto di una epopea italiana, uscito nel 1996).

 

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