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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Calcio / Le incertezze e i distinguo della giustizia sportiva

Mercoledì 23 Ottobre 2013


curva


Dal razzismo agli insulti “territorialmente discriminatori”, il passo è breve, come insegna anche ai più distratti il calcio malato dei nostri giorni. Che sport, almeno al massimo livello, non lo è più da tempo, trasformatosi com’è in uno spettacolo (si fa per dire) senza regole e, soprattutto, senza bilanci in ordine. Uno squarcio sul presente, figlio del nostro tempo, direte, ma che si fa una certa fatica ad accettare come metafora della nostra vita quotidiana. Ma tant’è. In tale direzione vanno le recenti decisioni del giudice sportivo (Giampaolo Tosel) con la chiusura delle curve – poi, chissà perché, solo quelle, come se gli altri settori fossero riservati solo alle educande – ad ogni sospir di canti al vento. Elevati contro tutto, gli avversari in campo, ma non solo. Con una certa apprezzabile fantasia rivolta anche contro chi si trova al momento lontano, ma pur sempre “nemico” dei propri colori. E allora giù con le sentenze, curve chiuse e tutti davanti ai televisori.

Visto che il buon senso è ormai merce scaduta, come se ne esce? Sta ai vertici della Lega stabilirlo, casomai riscrivendo (?) le norme e le pene. Ma un dato è certo: chiudere una curva è soprattutto una sconfitta del calcio e di chi lo gestisce. Il rischio di imitazione e di omologazione è alto. Se basta cantare per danneggiare qualcuno e, casomai, lanciare qualche messaggio a futura memoria ai “padroni”, chi potrà impedirlo? E così, alla fine della fiera, a rimetterci sono solo i club che quelle stesse curve hanno allevato in seno per decenni. Da quando hanno tollerato che vi prendesse piede il cosiddetto “tifo organizzato”. Non solo, ma avviando con i loro capi un dialogo stretto fatto di prebende, favori e biglietti. Oggi sono proprio le società l’anello debole, sotto l’incudine delle curve “territorialmente discriminatorie” e il martello di una giustizia sportiva che, pur tra mille condizionamenti, tenta di fare il suo dovere, seppure con qualche distinguo (leggasi “sospensiva”), in applicazione di quanto il CF della FIGC ha chiesto lo scorso 16 febbraio. Non sarà facile uscirne.

Chissà perché torna in mente uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale che ha portato Giovanni Malagò alla presidenza del CONI: la revisione della giustizia sportiva. Una giustizia, almeno lo si auspica, meno sportiva e più giusta. Dopo quasi un anno non sarebbe l'ora di rimettere mano all’intera materia? Se non proprio a nome del calcio, almeno a nome di una certa credibilità delle istituzioni.
 

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