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  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Calcio / Minuto di silenzio per Andreotti: il trionfo degli imbecilli

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Giovedì 9 maggio 2013

Non ha nessuna importanza appurare a chi sia venuta l’idea, se al CONI (Malagò) piuttosto che alla FIGC (Abete), anche se il secondo poteva avere qualche motivo in più: leggasi quanto Aldo Grasso ha scritto del presidente federale, qualche tempo addietro, sulla prima pagina del Corriere della Sera. Si può anche convenire sull’idea del “minuto di silenzio” o disquisire se il personaggio – stiamo parlando di Giulio Andreotti – lo meritasse o meno. E’ il gioco della dialettica e bisogna pur accettarne le logiche. Quello che non si capisce proprio, pur con tutta la comprensione, è il non aver valutato i rischi di una decisione del genere: imporre il silenzio per onorarne la memoria all’inizio degli incontri della 36.ma giornata di serie A disputati ieri sera. Siamo d’accordo che un “minuto di silenzio” non si nega a nessuno: ma avere esposto il divo Giulio a tale ludibrio è stato francamente un po’ troppo.

Come sia poi andata a finire lo sanno tutti. Nei casi più tranquilli, il minuto di attesa più che di silenzio, è stato sonorizzato da bordate di fischi e da cori sboccacciati. Si poteva evitare? Certo, se i nostri dirigenti sportivi fossero maggiormante attenti alla società e ai suoi mal di pancia, peraltro sempre più ricorrenti (leggi Movimento 5S). Quanti, tra coloro che fischiavano o sghignazzavano nelle mai troppo lodate curve – gli imbecilli, insomma – sanno di Andreotti e dell’Italia in cui ha operato per sessant’anni e più. Ma sono gli stessi che passano allegramente il tempo, durante la partire, ad insultare le squadre avversarie cercando di aggredire fisicamente i loro tifosi (vedi le risse e il sangue di Atalanta-Juventus). Questo è il solo sport che veramente li appassiona.

Non averne avuto contezza, non si è tradotto tanto in un insulto alla memoria di Andreotti, uno statista del quale si può anche discutere l'iter politico o la statura politica e morale, non certo il ruolo a favore di un’Italia che si sfamava solo grazie al piano Marshall. E, perchè no, quanto fatto per la riuscita dei Giochi Olimpici di Roma '60 e la tutela (tramite i diritti sul Totocalcio) dello sport italiano garantendogli un ricco e costante finanziamento. Quanto, in sintesi, una leggerezza (una colpa?) che si possono equamente dividere Malagò ed Abete. Con buona pace di entrambi e di chi li consiglia.  

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