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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Storia / Lo spareggio dello scandalo: Pro Vercelli-Internazionale

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Mercoledì 22 agosto 2012

Con questo articolo Sportolimpico.it avvia una ricostruzione storica sul calcio italiano dall’origine fino alla Grande Guerra (uomini, club, federazione, campionati, nazionale) che, nel dettaglio, troverà spazio nella sezione FOOTBALL OLD TIME.


(gfc) Primavera 2010. Sulla ruota dell’Inter era appena uscito lo scudetto n. 18, il quinto consecutivo in attesa che i vari tribunali interessati – civili e sportivi – stabiliscano la piena legittimità della progressione. Ultimo, per ora, in ordine di tempo: ma c’è qualcuno che ricorda il primo? Quando lo scudetto non c’era ancora e il calcio era solo uno sport? Quel primo titolo la giovane Internazionale, ancora senza il vezzo dell’abbreviazione che interverrà molti anni più tardi, lo vinse oltre cento anni fa – il 24 aprile del 1910 – quando un gruppo di muscolosi giovanotti in maglia a strisce nero-azzurre, per lo più svizzeri di nascita e formazione calcistica, riuscì a strapparlo a una banda di adolescenti nati nella bassa vercellese.

Ma veniamo ai fatti. A quel tempo il club interista non aveva ancora compiuto il secondo anno di vita. Era nato da un gruppo di soci transfughi del Milan e di altre società meneghine, innervato da robuste iniezioni di giocatori nativi della Confederazione. Sin dal nome si segnalava una precisa scelta di campo, con l’intenzione di dare spazio proprio a quei giocatori stranieri contro la cui presenza in campo c’era molto malumore. Tanto che la federazione, per qualche tempo, aveva escluso dai suoi campionati le squadre che più li utilizzavano. Una tendenza, quella dell’Inter, mantenuta sempre e, se possibile, esasperata in occasione dello scudetto n. 18 quando sui 26 calciatori schierati, solo 4 erano gli italiani, per non parlare dell’allenatore (José Mourinho), unico in servizio in quel torneo a non essere nato in Italia.

Facciamo ora un lungo passo indietro e torniamo all’Italia di un secolo fa. Il campionato di calcio 1909-10 si annunciava in partenza come il più importante disputato fino ad allora. Per diversi motivi. Intanto perché si articolava per la prima volta nell’arco di due anni solari; poi perché, come non era mai accaduto, si disputava su un “girone doppio”, come si diceva al tempo, cioè con partite di andata e ritorno e titolo assegnato in base alla classifica finale. Né più né meno di quanto prevede la formula attuale.

A quel campionato di Prima Divisione, dodicesimo della serie, oltre all’Internazionale erano stati ammessi altri otto club: l’antica Andrea Doria di Genova; le storiche compagini di Genoa, Juventus e Milan; la nuova Pro Vercelli; i massicci granata del Torino di Vittorio Pozzo; l’esordiente Ausonia di Milano e l’US Milanese, la grande polisportiva destinata in seguito a confluire nel Milan e nelle cui fila faceva preziose esperienze Emilio Colombo, maggior giornalista italiano tra le due guerre. Era stata di contro respinta l’iscrizione del battagliero e giovane Piemonte FC perché giunta … in ritardo. Solo quattro delle partecipanti (Doria, Ausonia, Pro Vercelli e USM) erano interamente composte da giocatori italiani: per loro era in palio un titolo nazionale, distinto e secondario rispetto a quello assoluto.

Campione uscente (come ancora non si diceva) era la Pro Vercelli che l’anno prima aveva conquistato il suo primo titolo piegando, in un doppio confronto di finale, la blasonata US Milanese. I vercellesi costituivano la vera novità del momento. All’indomani di quella vittoria il “Corriere della Sera”, anticipando temi tecnici e tattici all’epoca sconosciuti, aveva chiosato: “Questa giovane squadra ha ormai dimostrato di possedere una tattica sua propria, fatta essenzialmente di insieme: assai più che nell’abilità dei singoli giocatori, essa confida nell’accordo completo fra i suoi undici componenti. [… ] Delle squadre composte da giocatori italiani, la Pro Vercelli è indubbiamente la migliore. La forza di una squadra risiede in gran parte nella linea di mezzo, negli halfbacks: orbene, la triade vercellese è forse unica in Italia: è di quelle pronte a rompere il gioco avversario, e che spingono avanti la linea di attacco, condividendone il gioco e nell’occasione tirando direttamente in goal. Gli avanti vercellesi poi hanno fatto un’arte speciale del passaggio fra giocatore e giocatore: essi riescono a portare la palla a poco a poco sotto il goal; a questo punto del gioco difetta loro solo una maggiore decisione”.

Più fantasioso il giudizio che della “Pro”, destinata per anni a rendere il nerbo della squadra nazionale, avrebbe dato Gianni Brera declinando, con un pizzico di fantasia personale, ricordi altrui e cedendo a qualche collaudato luogo comune: “[…] Nella mediana sono rimasti Ara, Milano I, Leone. Intorno a loro nasce la leggenda. Sono splendidi lottatori, picchiano a bulloni roventi. Milano I è un magnifico atleta longilineo e gioca centromediano. Ha carattere imperioso e franco. Quando le cose non procedono per il meglio, Milano I si rimbocca le maniche della casacca e questo significa che è venuto il momento di darci dentro con il ringhio. L’altro mediano, Leone, non faceva mistero dell’appartenenza ai mastini: si avventava sull’avversario e lo azzannava sul coppino senza mollarlo più. Innocenti, il portiere, veniva dal pallone elastico: qualche volta usciva roteando il braccio teso e facendo sfracelli (o testa o balla). Il più bravo degli attaccanti era Rampini I. Un mio amico agricoltore come lui mi ha raccontato che dopo l’allenamento tornava alla sua cascina saltando un paracarro dopo l’altro”.

Ma torniamo ora a quel campionato 1909-10 e all’incontro che lo concluse, il match dello scandalo. Come d’abitudine, la federazione aveva rinnovato i suoi quadri in autunno (esattamente il 3 ottobre 1909) eleggendo alla presidenza il ragionier Luigi Bosisio, un dirigente che proveniva dalla ginnastica e che negli anni precedenti, da segretario, si era segnalato come il vero fondatore della FIGC. Di aspetto ieratico, quasi da predicatore, con una lunga e incolta barba bianca, vestiti stazzonati, cappello floscio a larghe tese, gambali da cacciatore, Bosisio era figura caratteristica ai margini dei campi, bene al centro del nascente movimento calcistico nazionale che egli tentava di razionalizzare con acume e buon senso. A lui si doveva la stesura dei regolamenti e un abbozzo di organizzazione del movimento, che coordinava dalla segretaria federale ospitata … nella sua casa milanese. Tra l’altro, proprio a lui si doveva se la federazione – dalla sua sigla – aveva finalmente cassato il termine “Football” per un più autarchico, e fortunato, “Calcio”.

La prima giornata del nuovo campionato – il dodicesimo dalla istituzione – era fissata per il 7 novembre 1909 secondo un calendario stabilito per sorteggio. L’Internazionale s’era visto imporre il pareggio (2-2) sul proprio campo dai giovani dell’Ausonia; nel derby torinese il Torino aveva strapazzato la Juventus per 3-1; la Pro aveva superato in casa la Doria per 1-0 mentre, con lo stesso punteggio, il Genoa s’era imposto sul campo dell’Unione. Aveva riposato il Milan. Dopo quell’inizio, gli incontri successivi ebbero un andamento tranquillo, qualche partita venne rinviata per la neve (che allora cadeva ben più abbondante di oggi), ci si fermò per un paio di settimane per l’abituale attività internazionale dei club, ma alla fine – siamo giunti a domenica 17 aprile 1910 – al primo posto della classifica si trovavano alla pari Pro Vercelli e Internazionale, entrambe con 25 punti. La terza classificata, la Juventus, era distanziata di sette. A termine di regolamento, lo spareggio per assegnare il titolo federale andava giocato sul campo della squadra con la miglior differenza reti: quindi sul campo dei “bianchi” che nel computo prevalevano per +31 a +29. Nei due match di campionato la Pro aveva stravinto all’Arena per 4-1; al ritorno, gli “internazionali” avevano reso la pariglia imponendosi a Vercelli per 2-1. C’erano quindi tutte le premesse, e le incertezze, per una grande gara di spareggio che qualcuno già presentava come una sfida tra italiani piemontesi e svizzeri lombardi.

Ma fu allora che avvenne il fattaccio. Il presidente factotum della Pro Vercelli, l’energico avvocato Luigi Bozino – sarebbe stato lui il primo italiano a entrare nel consiglio della FIFA –, trovandosi a non poter disporre di tre giocatori convocati per un torneo riservato ai militari (il portiere Innocenti, il centro di prima linea Fresia e l’estrema destra Milano II) e di un altro (Guido Ara) impegnato nei campionati universitari di Perugia, chiese che lo spareggio venisse rinviato d’una settimana. Ma né gli avversari né la federazione ritennero di dover aderire e l’incontro rimase regolarmente fissato per domenica 24 aprile. Tanto più ch’erano stati già designati sia l’arbitro – l’avvocato Umberto Meazza, il migliore dell’epoca, “ex-giocatore, ex-ginnasta, ex-alpinista”, di lì a poco primo selezionatore della Nazionale – che i due segnalinee: Vittorio Pedroni del Milan e il giornalista Franco Scarioni dell’Ausonia.

L’attesa attorno all’avvenimento, anche a causa della montante polemica che rimbalzava sulle due sponde del Ticino, s’era fatta spasmodica, non priva di una coda velenosa condita di minacce fisiche neppure tanto velate. Diversi quotidiani – da Torino, da Milano e da Genova – avevano spedito a Vercelli un proprio inviato. I giornali che avevano da poco scoperto il calcio e il “tifo” – un neologismo fortunato che stava entrando nell’uso comune – dedicavano spazio crescente alle cronache di uno sport che andava facendosi rapidamente adulto. Erano nati anche diversi periodici specializzati (prima della Grande Guerra non saranno meno di cinque i settimanali incentrati sul calcio). Certo, eravamo ai primordi della comunicazione sportiva, ma ci si ingegnava alla meglio. La più antica di quelle testate, “Foot-Ball” (proprio così, con il trattino fra mezzo), a Milano in edicola il giovedì mattina, aveva annunciato: “Domenica 24 aprile, appena terminato il match a Vercelli per la grande finale del Campionato Italiano di Prima categoria, un nostro incaricato telefonerà d’urgenza il risultato a Milano, al Touring Office Gondrand in Galleria Vittorio Emanuele 22-24. La vittoria di una delle contendenti, oppure l’eventualità di un match nullo, verrà subito fatta conoscere con un manifesto che resterà esposto nella vetrina, per cura del Foot-Ball”.

I due club si apprestavano allo scontro con stati d’animo diversi. Tensione e rabbia: queste le componenti dell’atmosfera elettrica che si respirava attorno al piccolo campo vercellese intitolato al “Principe di Napoli”, 60 metri per 90 di lato, verso il quale era convenuta tutta la cittadina che non superava allora i 15.000 abitanti (contro i 600.000 che ne contava Milano, quasi una sfida tra campagna e città). Una folla strabocchevole premeva fin sulle righe esterne della pelouse – come si chiamava, con un certo sussiego, il terreno di gioco –, rumoreggiando e aizzandosi a vicenda con cori e grida, rigorosamente espressi nello stretto e duro dialetto locale.

Ed ecco finalmente entrare le squadre. I massicci milanesi a strisce nero-azzurre accolti con fischi e insulti, seguiti da un gruppo di ragazzi non ancora adolescenti nella classica camicia bianca della “Pro”. Per scherno e irrisione, i vercellesi avevano deciso di far giocare lo spareggio alla loro quarta squadra. Un affronto al quale gli imbarazzati “internazionali” non potevano sottrarsi, pena la sconfitta a tavolino. Si è sempre ritenuto che la squadra fosse formata da ragazzini poco più che undicenni. Non è vero: essi avevano un’età compresa tra i 13 e i 15 anni, con qualcuno già prossimo ai 17. Il vero handicap era che nessuno di loro aveva affrontato avversari di quella levatura e di quella esperienza.

Ebbe così inizio – tra sberleffi e insulti sanguinosi – la più folle delle partite. Dopo una ventina di minuti gli interisti (per la verità non molto più anziani dei loro rivali) erano già andati a segno tre volte. Anche se si sforzavano di non far del male agli avversari, la vera preoccupazione era di non farsi prendere troppo in giro. Di contro i ragazzini, che sentivano pesare sulle spalle l’onore di tutta la città, istruiti a dovere, cercavano di buttarla in burla, arrivando anche a tirare verso la propria porta, per facilitare una sconfitta fortemente voluta. Ma segnando anche tre reti con Tacchini, Zorzoli e il quattordicenne Rampini. Il diapason delle risa si toccò quando il piccolo portiere vercellese, facendo onore al suo cognome, scagliò il pallone sul viso di un avversario. Insomma, una farsa, che non si chiuse neppure quando nell’intervallo, a raffreddare gli animi, si scatenò un vero temporale con pioggia torrenziale.

Ma sarà meglio cedere la parola a un testimone oculare, il redattore della “Gazzetta” Carlomagno Magni (un pioniere del giornalismo sportivo, primo ad aver pubblicato in Italia un trattato di tecnica calcistica): “[…] L’aspetto della folla ignorante e selvaggia, che pareva ieri invasa dalla comica follia dello scherno a oltranza, dava, ai sinceri appassionati dello sport, un senso di pena dolorosa, ancora più forte della nausea. Nè gli umili erano i più eccitati nella parola e nel gesto. Ah, che lezione rappresentavano per l’italiana squadra vercellese, i pallidi giuocatori italo-stranieri dell’Internazionale, muti come soldati in consegna, coi denti stretti e gli occhi lagrimosi sotto la valanga delle allegre contumelie, sotto lo strepito degli ironici applausi e delle grida di scherno!”.

Come Dio volle l’incontro-beffa giunse alla fine concludendosi con il punteggio di 10 a 3. Così l’Internazionale (che aveva schierato solo 4 giocatori italiani …) vinceva il primo titolo della sua storia mentre sulla Pro si abbatteva l’ira federale con pesanti squalifiche. Tanto che i “bianchi” vennero in blocco esclusi dall’incontro d’esordio della Nazionale, giocato qualche settimana più tardi all’Arena, e vinto per 6-2 sulla Francia (tra titolari e riserve ne erano stati inseriti sette). Ma quasi subito – dopo che i due presidenti Bozino e E.W. Hirzel s’erano scambiate roventi e reciproche accuse sui giornali – vennero tutti amnistiati. La storia dice ancora che i ragazzini continuarono a giocare e diversi di loro arrivarono fino in prima squadra. Qualcuno riuscì anche a indossare la maglia azzurra. Come capitò alla veloce ala sinistra Alessandro Rampini – secondo di una dinastia di quattro fratelli e che si spegnerà centenario – che all’epoca dei fatti non aveva ancora compiuto i 14 anni e, come rilevò scandalizzato un cronista, “oltrepassava di poco il metro di altezza”.

Il “tabellino” dello spareggio
(fra parentesi l’età dei giocatori, quando conosciuta)
Vercelli, 24 aprile 1910 – ore 15,30
Internazionale-Pro Vercelli 10-3 (6-0)
Sequenza nota delle reti: pt 8’ Payer I (I), 15’ ? (I), 24’ ? (I), quindi 3 autoreti della Pro; st Tacchini (V), ? (I), ? (I), ? (I), Zorzoli (V), Rampini II (V), ? (I).
Internazionale: Campelli (17); Fronte (17), Zoller (22); Stäbler, Fossati (21), Jenni; Payer I (20), Aebi (18), Peterly I (20), Capra I (23), Schüler.
ro Vercelli: Leone; Tacchini (17), Reis; Varalda, Caligaris, Degara (14); C.Bianco (15), M.Bossola III (15), Eula, Zorzoli (15), A.Rampini II (14).
Arbitro: U. Meazza.
Giudici di linea: Pedroni (Milan), Scarioni (Ausonia).
Nota. Secondo il “Corriere della Sera” nell’Internazionale figurava il 21.enne Engler il quale avrebbe segnato la seconda e terza rete.

 

 

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